venerdì 1 febbraio 2013

Israele - Al via le consultazioni
 Dopo una settimana di colloqui ufficiosi è arrivato il momento delle consultazioni ufficiali. I risultati delle elezioni sono stati comunicati ieri al presidente israeliano Shimon Peres dalla Commissione elettorale, quando ormai gli esiti delle urne erano ben noti a tutti da sette giorni. Questo ha lasciato a Benjamin Netanyahu, il leader della coalizione Likud-Beytenu che ha raccolto il maggior numero di seggi (31 sui 120 della Knesset), il tempo di esplorare le varie possibilità a disposizione per dare vita a una maggioranza di governo già prima di ricevere incarico. Ora è arrivato il momento di concretizzarle, e fonti a lui vicine hanno fatto trapelare alla stampa israeliana che le intenzioni sono quelle di impiegare molto meno dei 28 giorni che la legge gli concede per formare la coalizione.Secondo quanto emerso a proposito dei colloqui già effettuati da Netanyahu, saranno il centrista Yair Lapid, l’ex giornalista che con il suo Yesh Atid ha conquistato 19 seggi e Naftali Bennett di Habaiyt Hayehudi, punto di riferimento politico degli insediamenti con 12 parlamentari, a rappresentare gli altri capisaldi del prossimo governo Netanyahu, con il partito religioso sefardita Shas che potrebbe rientrare se disponibile a venire a compromessi su alcuni aspetti, tra cui la questione dell’arruolamento dei giovani haredim nell’esercito, un punto centrale tra le istanze tanto di Lapid, quanto di Bennett.Il presidente Peres ha ascoltato innanzitutto le delegazioni di Likud-Beytenu e Yesh Atid, per proseguire con gli altri dieci partiti che hanno trovato posto nella diciannovesima Knesset. Salvo sorprese, Peres affiderà l’incarico di formare il governo a Netanyahu nella mattina di venerdì.Rossella Tercatin - http://www.moked.it/

In definitiva, il 22 gennaio gli elettori israeliani hanno dato cartellino giallo al governo di Benyamin Netanyahu, ma soprattutto hanno inflitto una dura punizione al primo ministro uscente – che poi dovrebbe essere anche quello entrante. Non è chiaro se le richieste di cambiamento di rotta, sia in politica economica, sia in politica estera, siano state ben comprese e metabolizzate da parte della leadership di Likud-Beitenu. La controprova verrà dal tipo di compagine governativa che emergerà da una trattativa che si annuncia lunga a complessa. L'ostacolo principale non sta tanto nella questione palestinese, o nella politica economica, o perfino nel servizio militare dei Haredim, bensí nella richiesta di Yair Lapid di ridurre drasticamente il numero dei ministri da oltre 30 a 18. Ciò comporterebbe il licenziamento di numerosi ministri in carica di Likud-Beitenu, con conseguente intifada all'interno del partito di maggioranza relativa. È certo che le nuove direzioni della politica israeliana hanno sorpreso gli osservatori nella Diaspora molto più che in Israele, dove peraltro la vera entità della contestazione è emersa completamente solo all'ultimissima ora. Il fatto è che per chi vive in Israele la politica riflette in larga misura le esperienze della vita quotidiana, mentre per chi sta altrove la politica è vissuta soprattutto sul piano dell'ideologia pura. Cosí, uno dei prediletti di una certa parte degli analisti italiani che si autodefiniscono pro-israeliani, l'ultranazionalista Dr. Arieh Eldad, non è stato rieletto perché il suo partito Otzmah Leisrael ha fallito la soglia necessaria del 2%. Difficile invece capire da fuori i motivi del successo di Lapid, popolare personaggio mediatico in Israele ma sconosciuto altrove. Lapid porta in parlamento 19 volti nuovi, tutti altamente istruiti e professionali, mentre Tzipi Livni e Shaul Mofaz – che fondamentalmente si sono contesi la stessa mattonella elettorale medio-borghese di Lapid – hanno ottenuto insieme solo 8 seggi, di cui 6 sono parlamentari esperti ma riciclati una o due volte da altri partiti. Anche questo è un messaggio forte che l'elettore israeliano ha voluto dare alla politica.Sergio Della Pergola,Università Ebraica di Gerusalemme.http://www.moked.it

Rischio calcolato 
01-02-2013 Di Alex Fishman. http://www.israele.net/
Stando alle notizie di stampa, all’alba di mercoledì scorso Israele avrebbe attaccato un convoglio di armi di Hezbollah al confine siro-libanese. Se l’attacco ha avuto luogo davvero, si tratta forse del preludio di uno scontro militare più ampio sul fronte settentrionale? Probabilmente la risposta va cercata innanzitutto nello stato maggiore delle Forze di Difesa israeliane. Il capo di stato maggiore Benny Gantz, il suo vice Gadi Eizenkot e il capo dell’intelligence militare, Aviv Kochavi, sono fautori delle attività “coperte” nel quadro di quella che nell'esercito viene definita “politica di prevenzione”: la stessa in base alla quale si possono interpretate le notizie relative a un precedente attacco contro un convoglio di armi in Sudan. Se, ad esempio, è possibile impedire il trasferimento di armi dall’Iran distruggendole lungo il tragitto, questo è preferibile rispetto a lanciare un’operazione di terra dopo che le armi sono già arrivate nella striscia di Gaza o in Libano.
In generale questa politica si applica ad ogni attività o preparativo ostile, con l’obiettivo di eliminare le minacce il più lontano possibile, preferibilmente quando sono ancora in fase di preparazione. Il rischio è che l’azione, in uno stato nemico, possa andare storta. E poi c’è il rischio di irritare paesi amici, mettendo in questo modo a repentaglio gli interessi nazionali. Questa politica funziona finché rimane sotto copertura, ed è qui che si trova il suo principale punto debole: non appena l’operazione viene alla luce, o se si vedono le “impronte digitali” degli autori, si induce l’altra parte a reagire. Ed è qui che potrebbe scoppiare una guerra: proprio quella guerra che si voleva prevenire, e il cui prezzo potrebbe non essere giustificato.Durante l’ultimo anno, il presidente siriano Bashar Assad, man mano che perdeva terreno di fronte alle forze ribelli, ha trasferito grandi quantità di armamenti strategici – come i vari missili Scud e gli agenti per armi chimiche – in aree su cui aveva un controllo migliore. Questi movimenti sono stati motivo di grande preoccupazione fra i servizi di intelligence occidentali, nel timore che tali armi siano sul punto di approdare in Libano. Ma la tensione nell’intelligence e fra i militari ha conosciuto continui alti e bassi, mentre il regime alawita si va a poco a poco sgretolando.Sempre stando alle notizie di stampa, in passato Israele avrebbe attaccato in Sudan dei convogli e un deposito di armi, e avrebbe distrutto missili a lungo raggio. Ogni tanto vengono colpiti dei convogli di armi in partenza dalla Libia; nel Mar Rosso sono affondate delle navi di contrabbandieri; in Libano sono saltati per aria diversi magazzini di munizioni. Ma finora Israele ha evitato di attaccare direttamente in Libano, sebbene sia a conoscenza del fatto che Hezbollah ha ricevuto partite di missili Scud, missili M-600 a lungo raggio e praticamente ogni altro tipo di missili e razzi in possesso dell’esercito siriano.Come ogni paese, Israele deve stabilire quando può prendersi il rischio calcolato, contando di non ritrovarsi coinvolto in una vera e propria guerra, e quando è invece meglio tirarsi indietro perché non si vuole correre il rischio di arrivare a un conflitto militare aperto.Benché Israele non sia interessato a un ampio scontro sul fronte libanese, da almeno un anno, e in particolare negli ultimi mesi, le Forze di Difesa si stanno preparando all'eventualità di un tale conflitto.(Da: YnetNews, 31.1.13)
ALTRI COMMENTI DALLA STAMPA ISRAELIANA
Secondo un editorialista di Yediot Aharonot, il raid è stato uno “schiaffo” al presidente siriano Bashar al-Assad. L’editoriale ricorda che nel settembre 2007 un bombardamento distrusse nel deserto siriano quello che era con ogni probabilità un impianto nucleare segreto. Bashar al-Assad non l’ha mai ammesso, e Israele non ha mai rivendicato. Oggi la Siria è in pieno caos, e ciò che Israele teme soprattutto è un trasferimento di armi, anche chimiche, agli Hezbollah libanesi.Su Ha’aretz, un esperto di questioni militari descrive con precisione i “paletti” posti da Israele in questo campo: è fuori discussione permettere il passaggio di missili terra-aria, né missili che potrebbe colpire navi israeliane o missili terra-terra a lunga gittata. Quanto a un trasferimento di armi chimiche, l'editoriale ritiene si tratti di un “tabù” assoluto che Assad non infrangerà tanto facilmente.Ma’ariv ricorda che "gli attacchi in Siria non sono una novità” e ipotizza che, qualunque cosa sia accaduta questa volta, “non porterà immediatamente a un round di combattimenti nel nord" perché, fra l'altro, "l'arsenale di armi di Hezbollah è stato costruito, in primo luogo, in vista del giorno in cui vi dovesse essere uno scontro tra Israele e l'Iran, e non come risposta ad un attacco a un convoglio di armi, per quanto importante possa essere”.Secondo il quotidiano Israel HaYom, “la palla è ora nell’altro campo”. Cioè: Damasco e Beirut devono decidere cosa fare. Da un lato, Assad può essere tentato di reagire perché, nella sua attuale situazione, ciò migliorerebbe la sua immagine: uno scontro con Israele è una ricetta sicura per accrescere la propria popolarità in tutto il mondo musulmano. Assad avrebbe bisogno di un grande exploit per far dimenticare i 60.000 siriani morti e i 700.000 siriani profughi che ha causato. D’altra parte, l’intero esercito siriano è occupato a combattere i ribelli. E poi, una reazione militare siriana porterebbe a un’ulteriore risposta israeliana, e questa è l’ultima cosa di cui il regime siriano ha bisogno in questo momento.(Da: Yediot Aharonot, Ha’aretz, Ma'ariv, Israel HaYom, 31.1.13)
 

Siria e Iran minacciano Israele:"Dura rappresaglia dopo il raid"

All'indomani dei raid dei caccia israeliani in territorio siriano Teheran minaccia: "Ci saranno serie conseguenze per la città israeliana di Tel Aviv". E Damasco parla di rappresaglie "a sorpresa". Mentre l'amministrazione Usa lancia un duro monito al regime di Bashar Al Assad, mettendolo in guardia dal trasferire armi ai miliziani sciiti libanesi di Hezbollah.Su quanto accaduto ieri non c'è ancora chiarezza. La Nato e l'Onu dicono di non avere informazioni sufficienti e continua il balletto delle accuse reciproche. L'Esercito siriano afferma che i missili israeliani hanno centrato e parzialmente distrutto il sito militare di Jamraya, considerato il polo tecnologico più avanzato del Paese e fulcro del programma missilistico. Fonti occidentali sostengono che i caccia hanno colpito un convoglio che trasportava missili anti-aerei SA-17 di fabbricazione russa destinati alle milizie Hezbollah in Libano. Non è da escludere che siano vere entrambe le versioni: le violazioni accertate dello spazio aereo libanese sono state diverse - almeno otto i caccia coinvolti - e sono durate per diverse ore, il sito militare di Jamraya si trova a pochi chilometri dal confine libanese, dove sarebbe stato colpito il convoglio.Quel che è certo, scrive il quotidiano israeliano Haaretz, è che quanto accaduto offre ad Assad la possibilità di gridare al "complotto straniero guidato dai sionisti e portato avanti dai terroristi", così come vengono chiamati dai media siriani i ribelli anti-regime.Il raid arriva poi in un momento cruciale per il conflitto siriano: il presidente della Coalizione dell'opposizione, Ahmad al Khatib, prima che venisse diffusa la notizia dell'attacco aereo, si era detto a sorpresa favorevole a negoziati diretti con rappresentanti del regime di Damasco. Altri esponenti del fronte anti-regime avevano lamentato di non essere stati consultati e di fronte a queste critiche il direttivo della Coalizione aveva precisato che "ogni negoziato deve partire dalla fine del regime". Il passo indietro era del resto stato anticipato dallo stesso Khatib, che oggi ha accusato Assad di non voler difendere il Paese dagli attacchi israeliani e di usare l'aviazione solo per bombardare i civili nelle zone che si sono schierate con l'opposizione.Damasco ha giustificato la sua inazione affermando che i velivoli israeliani provenienti dalla valle libanese della Bekaa - feudo degli Hezbollah amici degli Assad - volavano a bassa quota, eludendo così il sistema di sorveglianza aerea, installato e manovrato da tecnici di Mosca, da decenni il principale alleato internazionale degli Assad.L'azione israeliana è stata condannata da Hezbollah, che apparentemente ha consentito ai caccia dello Stato ebraico di sorvolare le sue batterie di missili in Libano, dalla Lega Araba, dall'Egitto e dall'Iraq. Il governo russo, che nel Consiglio di sicurezza Onu ha finora osteggiato ogni misura contro Assad, si è detto "preoccupato" e ha sollecitato la comunità internazionale "misure immediate" per chiarire l'accaduto "in tutti i dettagli". L'amministrazione americana non ha commentato il raid, ma funzionari Usa hanno confermato la versione dell'attacco a un convoglio che portava sofisticate armi antiaeree destinate alla milizia sciita libanese e hanno reso noto che Israele aveva informato Washington preventivamente. Le ripercussioni dell'azione militare israeliana hanno messo in secondo piano le notizie sul conflitto, che anche oggi ha provocato decine di vittime. Secondo i Comitati di coordinamento locali dell'opposizione, nel corso della giornata sono rimaste uccise almeno 47 persone. (31 gennaio 2013)http://www.repubblica.it/esteri/

Voci a confronto
L’emozione del presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Renzo Gattegna nella cerimonia di celebrazione del Giorno della Memoria al Quirinale insieme a Giorgio Napolitano per l’ultima volta è raccontata dal Corriere della Sera, che riporta anche il retroscena della reazione del Colle alle parole di Berlusconi su Mussolini, a firma di Marzio Breda. Napolitano e Gattegna lanciano anche un monito contro i fascismi e le intolleranze di ieri e di oggi (vedi tra gli altri l’Osservatore romano e il Tempo).Nella sua sezione interventi e repliche il Corriere riporta un intervento dell’ex ministro Pdl Renato Brunetta: “quelle parole su Mussolini Silvio Berlusconi forse ha scelto il giorno meno adatto per manifestare la sua riflessione, del tutto ovvia — e ampiamente condivisa — sul fascismo. La sinistra ha scelto il modo più sbagliato per scatenare l’assalto. Da antifascisti dei suoi stivali (molti dirigenti comunisti furono ferventi mussoliniani) si son trasformati In filoebraici delle nostre ciabatte, visto che passano la vita a lisciare Hamas ed Hezbollah. La vergogna delle leggi razziali, del resto, fu possibile anche perché l’Italia è popolata da gente simile, pronta a latrare a comando”.Sul Fatto quotidiano Furio Colombo risponde alle domande di un lettore ripercorrendo le tappe dell’approvazione della legge che istituì il Giorno della Memoria, percorso di cui egli fu protagonista in prima persona.Il Corriere della Sera Roma riferisce il sì del sindaco Gianni Alemanno all’idea di proclamare il 16 ottobre, anniversario della razzia del ghetto, lutto cittadino, lanciata unanno fa dal giornalista Pierluigi Battista. Sulle pagine della stessa testata un articolo è dedicato alla mostra “Israel now. Reinventare il futuro”.Per le notizie da Israele, sulla Stampa il grande scrittore Abraham Yeoshua offre la sua prospettiva sull’esito delle elezioni, mettendo in guardia Yair Lapid dal ripercorrere la via che ha portato tanti partiti centristi a grandi exploit per poi sgretolarsi dopo una o due legislature.Sempre più difficile la situazione in Siria: fanno orrore le foto di decine di cadaveri lungo un corso d’acqua riprese da vari giornali (tra gli altri Francesca Paci sulla Stampa). Tensioni fra il presidente Morsi e l’esercito in Egitto (Repubblica).http://moked.it/blog/

La Memoria e i rapporti con la Chiesa
Anche quest’anno, come sempre negli ultimi tempi, sono stato invitato a partecipare a un paio di incontri commemorativi in occasione del Giorno della Memoria. A entrambe le manifestazioni, tra i vari relatori, è stato invitato anche un ecclesiastico. Due persone serie e preparate, che hanno espresso parole di sincera esecrazione per quanto accaduto e di sentita vicinanza al popolo ebraico. In entrambe le occasioni, però, il dibattito si è inceppato quando è stata sfiorata la questione del ruolo svolto dal Vaticano durante quegli anni, perché i due ecclesiastici, a differenza di alcuni degli altri presenti, non solo rifiutavano di riconoscere la benché minima ombra nell’operato di Pio XII, ma ne rappresentavano l’azione in termini di totale eroismo e abnegazione, mostrandosi decisamente offesi che qualcuno, per puro pregiudizio e malevolenza, osasse mettere in discussione un dato di fatto tanto evidente e incontestabile.Tale situazione su ripete immancabilmente, come un copione fisso, e mette decisamente a disagio. Altre volte, ci si trova a litigare tra relatori che hanno idee diverse – a volte anche radicalmente contrapposte – sull’oggetto della discussione (per esempio, sulla questione mediorientale). Il dibattito può svolgersi civilmente o può anche degenerare, ma ognuno si sente libero, in genere, di dire la propria. In queste situazioni, invece, è diverso, giacché tutti i relatori, per lo più, vorrebbero esprimere una comunanza di intenti, un sentimento di unità e di comune impegno civile. Se il dibattito non tocca un determinato argomento, questo sentimento appare integro, e si ha l’idea che gli uomini di oggi siano davvero schierati, in modo unitario, a difesa dei valori di umanità e tolleranza. Se, invece, l’argomento tabù viene toccato, sia pure in modo marginale, l’incantesimo si spezza.Che fare, quindi? Parlarne o non parlarne? Meglio forse non toccare il punto spinoso, per cementare questa unità di intenti, per sentirsi, o apparire, uniti? O piuttosto affrontarlo in modo aperto, per cercare di fugare ombre, equivoci, retropensieri? Nel primo caso, ci si sente ipocriti, pavidi, falsi. Facciamo finta di andare d’accordo, ma sappiamo che non è davvero così. Nel secondo, si appare indelicati, divisivi, dal momento che si urta la sensibilità di persone che vorrebbero esserti amiche, e che tu sembri invece volere respingere, o mettere in difficoltà (oltre tutto, in modo gratuito e inutile, poiché c’è l’assoluta certezza che, da quella parte, non verrà mai la benché minima correzione di giudizio).Che fare? Non so rispondere. So solo porgere un’altra domanda: la Chiesa è un’istituzione umana (sia pure, per chi ci crede, ispirata da Dio), fatta da uomini, calata nella storia? E quindi soggetta anch’essa, come tutto ciò che è umano e storico, a errore, debolezza, contraddizione? O è sempre, in ogni suo atto, a qualsiasi livello, divina, perfetta, infallibile? E’ nel tempo, o fuori dal tempo? Se è fuori dal tempo, fuori dalla storia, allora analizzarne i comportamenti storici in un pubblico dibattito è del tutto fuorviante e inopportuno, come lo sarebbe dibattere su una verità di fede, con un credente che la difende e un non credente che cerchi di smascherarne la falsità: sgradevole, intollerante, offensivo. Se è nel tempo, nella storia, perché dovrebbe essere al di sopra di qualsiasi umano giudizio? Può esistere, nella storia, qualcosa di perfetto, assoluto, sovrumano, metastorico? Francesco Lucrezi, storico.http://www.moked.it

Il cono d’ombra
Calato il sipario sul 27 gennaio, ogni anno sono inseguito da un incubo. Mi sveglio d’improvviso, gli occhi sbarrati. Sogno di essere prigioniero dentro un cono. L’ombra del professor De Felice mi rincorre urlando: “Fuori, e vedi di sparire anche dalla mia ombra”. I luoghi comuni storiografici turbano i miei sonni, perché in Italia tendono a ripetersi come un disco rotto: fra l’altro ho un ricordo molto gradevole di un pranzo a Roma con il Professore, che non aveva il fascino di un attore di Cinecittà, ma non era Dracula. Il suo libro mi capita di riaprirlo spesso, vi imparo sempre qualcosa, anche se nel frattempo la ricerca è andata avanti. Questo ritornello del cono proprio non mi persuade. Le cifre parlano chiaro: di tutti i paesi che hanno subito l’occupazione tedesca, l’Italia si situa dopo la Danimarca e la Finlandia. È il terzo paese con la più bassa percentuale di vittime dello sterminio. Se si considera che la maggior parte degli ebrei erano residenti nella parte della penisola dove più a lungo durò l’occupazione nazista, su quel 17.3 % bisognerebbe ragionare con più serenità, lasciando da parte gli accanimenti postumi contro il Professore. La percentuale è comunque spaventosa, ma come insegna Mario Pirani nella sua autobiografia, lecito dire che, forse, poteva andare anche peggio. Fuori del cono d’ombra del nazismo s’è visto di tutto, un arcobaleno di atteggiamenti, dal nero delle delazioni, alla pietas di un fascista di Salò. Fuori del cono d’ombra s’è visto innanzitutto un viluppo di odio e di amore. Giacomo Debenedetti, come  gli odierni detrattori del Professore, non vedeva altro che lacrime e sangue. Faticava a spiegargli che cosa fosse quel viluppo di odio e di amore il dolcissimo Umberto Saba delle Scorciatoie, che vado subito a rileggermi appena mi riprendo dall’incubo annuale di fine gennaio.Alberto Cavaglion.http://www.moked.it/

 

Il governatore della Banca d'Israele lascia l'incarico
Il Governatore della Banca centrale, la Bank of Israel, Stanley Fisher si è dimesso improvvisamente martedì sera senza spiegare al pubblico i motivi che lo hanno spinto alle dimissioni. Egli rimarrà al suo posto fino al prossimo mese di giugno. Il momento da lui scelto, non poteva essere peggiore. Il governo ha scoperto qualche settimana fa di avere un deficit di bilancio importante, circa 40 miliardi di shekel. Proprio adesso Israele aveva bisogno di una persona onesta e competente che gode della fiducia di tutti i tecnici della finanza pubblica, alla guida della Banca centrale. Qualcuno sussurra che il momento scelto alla vigilia della formazione del nuovo governo indica che Fisher potrebbe aspirare a diverntare il ministro degli Esteri di Israele, ma l`interessato non ha confermasto questa supposizione. Nell`incertezza causata dalle recenti elezioni legislative, Fisher era un`isola di sobria stabilità, logica, giudizio equilibrato e rinomanza internazionale, scrive il quotidiano “The Marker” stamane. Fisher gode della stima dei professionista della finanza e del pubblico ed è un personaggio raro nella politica israeliana. Permane un grande punto interrogativo sulle ragioni che lo hanno spinto a questo passo. È certo che tali ragioni non sono un complimento per la classe dirigente israeliana ma piuttosto un ammonimento e un invito alla serietà.Sergio Minerbi  
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Ho trovato molto bella l’intervista a Claudio Magris di Guido Vitale pubblicata sull’ultimo numero di Pagine Ebraiche. In particolare, mi è molto piaciuta la diagnosi, assai controcorrente, per cui la crisi europea dipenda dalla perdita di “un sano senso di ipocrisia”. Mi pare una brillante definizione del tentativo di civiltà europeo, che, aprendo ad un’ottica universalista, si incammina nel difficile tentativo di contenere pulsioni territoriali e identitarie legittimate, invece, in altri progetti sociali. È pur vero che, spesso, l’Europa si dimentica che l’origine di questo percorso è ebraica e che nessuno come l’ebraismo ha affrontato il tema della sublimazione delle pulsioni profonde dell’animo umano. Ed è anche vero che serve a poco “ricordare” se poi, in Paesi membri dell’Unione, si rimuove la matrice ebraica con progetti di legge per l’abolizione della kasherut o con sentenze giuridiche che paragonano la brìt milà a una mutilazione. Meglio restare sanamente “ipocriti”, facendo finta che alterità e differenze di ogni tipo non diano fastidio. Abbiamo tutti provato, in questi giorni, quale brutta sensazione provochi la perdita di ipocrisia nelle classi politiche.Davide Assael,ricercatore.http://www.moked.it/

ASSOCIAZIONE ITALIA – ISRAELE DEL FRIULI

Ho il piacere di invitare i Soci, ma anche i simpatizzanti e gli amici ad un

BUFFET ISRAELIANO
ovvero il nostro appuntamento annuale per incontrarci e per sostenere
la nostra attività e che avrà luogo
Sabato 23 febbraio 2013 - ore 20
Villa Linda- via della Villa 15 – Plaino di Pagnacco
La scelta della logistica, come vedete, vuole sottolineare il tono informale di una riunione fra amici. Quanto alla parte gastronomica , sarà protagonista la cucina ebraica mediterranea e israeliana in particolare ,curata da Francesca.
Costo a persona: € 45,oo
Prenotazioni entro il 20 febbraio 2013 :e-mail italia-israele@giorgiolinda.it

Il Presidente
Dott. Giorgio Linda


Raid aerei israeliani, la Siria: “Ci hanno colpito”

Ci sono tre ipotesi che tuttavia convergono su un punto di significato cruciale, ovvero la situazione estrema che la rivoluzione siriana ha ormai creato: sarebbe stata bombardata una carovana di camion carichi di armi forse in parte chimiche in viaggio dalla Siria in Libano, per finire nelle mani degli hezbollah. Oppure, ipotesi due, sarebbero stati distrutti alcuni depositi in cui erano pronti oltre all’ingente arsenale di missili iraniani forniti alla Siria e agli Hezbollah anche degli SA17 russi, che cambiano decisamente l’equilibrio balistico dell’area. Oppure, terza ipotesi, ambedue i tipi di armi sono stati oggetto dell’attacco israeliano. Sembra che sia stato colpito il territorio siriano, anche se sul confine.Si sa sempre poco in Medio Oriente degli eventi basilari, finchè essi non si spalancano come un fiore carnivoro e rivelano i loro significati fatali. Così accadde con il bombardamento del reattore di Osirak nel 1981 in Irak e poi di quello siriano nel 2008, a lungo Israele negò e non spiegò. Anche ora si sa poco delle incursioni degli F16 israeliani che hanno (forse) bombardato nella notte fra martedì e ieri (non è confermato, anzi, il riserbo è totale) “qualcosa” sul confine fra Siria e il Libano: “I jet israeliani hanno violato il nostro spazio aereo all’alba di oggi e hanno effettuato un attacco diretto contro un centro di ricerche scientifiche per testare il nostro livello di difesa e resistenza” l’unica conferma firmata alla Sana dal comandante dell’esercito siriano.Fra tutti questi “sembra”, la verità inequivocabile, secondo i criteri con cui viene decisa un’operazione di questa portata e di questa evidente potenzialità strategica (è la prima volta che Israele interverrebbe direttamente e per sua iniziativa in una situazione creatasi a causa di una rivoluzione araba) è che non se ne può più fare a meno, e anche che ci se ne aspetta i massimi risultati. Il governo di Netanyahu, in varie forme, ripeteva da giorni che non doveva essere sorpassata la “linea rossa” del cambiamento strategico degli armamenti presenti nella zona. Aveva addirittura riunito il gabinetto poche ore dopo le elezioni per parlare appunto, di Siria. Evidentemente le armi o sono già passate in mani di nuovi proprietari imprevedibili o stanno per farlo. Il regime di Assad potrebbe forse durare ancora qualche mese, ma sono chiari i segni dello smottamento totale della Siria e dello scivolare della sua potente, moderna fornitura d’armi nelle mani degl! i sciiti hezbollah o dei ribelli Gli uomini di Nasrallah hanno ultimamente stabilito nuove basi in Siria presso gli arsenali di armi non convenzionali, mentre anche i sunniti si organizzano allo stesso scopo.
Per Israele, come del resto per gli Stati Uniti e persino per la Russia che ha fornito qualche segnale in questo senso, il passaggio delle armi chimiche e convenzionali in mani estremiste è uno sviluppo che segna un pericolo imminente. E’ per questo che Israele ha piazzato Kipat Barzel, le nuove potenti batterie di difesa aerea, sul confine del nord. Se l’attacco di ieri è avvenuto, se l’ha compiuto Israele, tutte cose piuttosto realistiche, ora c’è da chiedersi se l’IDF è pronto ad affrontare un’eventuale reazione. Anche qui la risposta ha varie sfumature: Assad non è nel migliore stato per intraprendere una guerra con Israele, e anche gli Hezbollah, dato che il loro amico Bashar non rappresenta più una base logistica affidabile, non vedono volen! tieri uno scontro duro, che alla fine risulterebbe distruttivo per la loro presa sul Libano. Può anche darsi che i veri capi degli hezbollah e di Assad, gli iraniani siano in questi giorni molto occupati con i loro danni dopo lo scoppio della struttura di arricchimento delle’Uranio di Fordo, che la CIA sostiene essere di dimensioni molto notevoli. Tutto questo però può crollare di fronte all’istinto fanatico e antisraeliano di molti nemici di Israele attratti dall’occasione bellica. Gli israeliani affrontano con calma la consueta cerimonia, che purtroppo talvolta è risultata assai realistica, per cui si tirano fuori le maschere antigas, si spolverano, si provano, si ascoltano e si leggono le istruzioni per rimetterle in funzione Il numero di normali cittadini che hanno rinnovato il loro kit contro le armi non convenzionali è triplicato nell’ultimo mese. Questa è la nuova situazione. E anche il grande caos egiziano che ieri ha fatto altre due vittime nelle piazze, non promette niente di buono. Il Sinai, abbandonato alle bande beduine, diventa sempre di più una giungla qaedista sul confine di Israele. Fiamma Nirenstein.Il Giornale, 31 gennaio 2013