sabato 26 febbraio 2011


Peres a Madrid
PERES, ISRAELE HA MOTIVI PER ESSERE ADIRATO CON L'EUROPA

(ANSAmed) - MADRID, 23 FEB - "Se l'Europa è arrabbiata con Israele, Israele ha molte ragioni per esserlo con l'Europa".Cosi il presidente israeliano Shimon Perez, intervenendo a Madrid a un incontro informativo di Europa Press, ha risposto alle critiche sulla situazione a Gaza e in Cisgiordania."L'Europa ci critica su Gaza - ha detto il premio Nobel -, ma l'Europa è quella che ha attaccato il Kosovo" e, dopo, sono venuti "l'Afghanistan, la Cecenia, la Somalia". "E' molto difficile lottare contro il terrorismo - ha aggiunto - contro chi utilizza la popolazione come scudi umani". Peres ha ribadito la volontà di Israele di raggiungere un accordo di pace e sulla creazione di uno Stato palestinese alla quale, ha sostenuto, "paradossalmente" sta contribuendo, "con la restituzione di terre ai palestinesi che né Egitto né Giordania avevano devoluto in passato". D'altra parte, le rivolte che si registrano nel mondo arabo e musulmano per una maggiore libertà e democrazia, secondo Shimon Perez, potrebbero favorire il processo di pace. Quest'ultimo, ha osservato, "è come un cavallo lanciato al galoppo che passa vicino casa: bisogna montarci su, perchè altrimenti correrà via senza di noi". E Israele è determinato a non lasciarselo scappare. Il presidente palestinese Abu Mazen (Mahmud Abbas) e il primo ministro Salam Fayyad, secondo Shimon Peres, "sono interlocutori validi". Anche se, dopo i 10,000 razzi sparati contro Israele dopo la ritirata unilaterale dalla frangia di Gaza, "chi può assicurare che non accadrà lo stesso se si abbandona la Cisgiordania? D'altra parte, Peres ha insistito sulla volontà di Israele di aiutare "gli arabi a raggiungere la propria libertà e indipendenza", anche perchè "non può restare come un'isola nell'oceano".


mare di Eilat
L'Iran a Suez: ecco il dopo Mubarak

di Fiamma Nirenstein Il Giornale, 23 febbraio 2011
Guardiamole bene quelle due navi iraniane che sono entrate alle quattro del pomeriggio nel Mediterraneo. È uno spettacolo del tutto nuovo, ed è tutto dedicato a noi, europei, israeliani e americani, messo in scena per farci digrignare i denti: dal 1979 l'Egitto non lasciava passare dal suo prezioso corridoio le navi dell'Iran khomeinista, il Paese della rivoluzione sciita integralista e nemica acerrima del potere sunnita, se non di quello estremista di Hamas, dei Fratelli Musulmani e di Al Qaeda e altri compagni del genere. Adesso, invece, ecco il primo gesto dell'Egitto post-rivoluzionario: visto che l'alleato americano si è scansato appena la folla si è messa in marcia, il nuovo-vecchio potere militare immagina prudentemente nuove alleanze. Meglio non litigare con Ahmadinejad che riempie di lodi la rivoluzione egiziana. Anche i sauditi, anch'essi sunniti, non hanno mai avuto simpatia per l'Iran khomeinista, al contrario. Anzi, ultimamente si sono battuti per difendere Mubarak: il re Abdullah ha fatto una telefonata durissima a Obama per dirgli di non umiliare il suo amico. Ma il presidente americano l'ha abbandonato, ed ecco che anche i sauditi tastano nuove possibilità strategiche: le navi iraniane hanno fatto scalo, sembra, al porto saudita di Jedda. Anche se l'Iran sostiene che non portano armi, le due navi sono una fregata classe Alvand, dotata di missili di vario tipo, e una nave appoggio di classe Kharg, assai grossa (33mila tonnellate) carica di chissà che; porta anche qualche elicottero, forse tre. Una graziosa esibizione di forza, che si inquadra nel «Decennio del Fajr», quando, ricorrendo l'anniversario della rivoluzione, si mostrano tutte le acquisizioni migliori del regime. Il ministro dell'Energia si è vantato che l'Iran continui senza remissione a costruire la sua potenza atomica: Se qualcuno ancora non sapesse a che serve, Khamenei, rispondendo alla reazione di Israele al passaggio delle navi ha detto che «Israele è una nazione cancerogena». Insomma, da distruggere. Tutto regolare, mentre Ahmadinejad esalta le rivoluzioni che finalmente metteranno il mondo musulmano sulla via del vero Islam e intanto scatena la Guardia Rivoluzionaria contro la propria popolazione che manifesta. Ma di nuovo c'è che, dopo le rivoluzioni arabe, l'Iran lancia la sua sfida direttamente, e non attraverso gli Hezbollah o la Siria o Hamas come fa sempre. Si presenta armato di fronte alle coste di quel paese che dichiara a ogni passo di voler distruggere; il simbolo di tutto ciò che l'Islam deve dominare per costringere il mondo a un califfato universale che inghiotta l'Europa e poi l'America, intenzione più volte ribadita. E certo gli è ben presente che poco lontano cui sono le coste europee, le nostre coste giudaico cristiane. Adesso con i loro missili, le navi iraniane si piazzeranno per un lungo periodo probabilmente nel porto di Tartus, in Siria, vicino agli Hezbollah cui portano probabilmente bei doni. Mentre transitano davanti a Israele tutto potrebbe accadere, un incontro ravvicinato fuor di controllo con la marina israeliana, un colpo scappato, diciamo così, per sbaglio... e fra qualche mese forse un rimescolamento di navi iraniane da guerra e la flottiglia (dicono fra le 50 e le 100 navi) programmata dall'Ihh turca e dai suoi amici per approcciare di nuovo Gaza! L'Iran esprime, con Suez, una volontà indubitabile di spostare l'attenzione dalla sua piazza repressa senza pietà allo sberleffo internazionale. Ma si tratta soprattutto, per il regime di Khamenei e di Ahmadinejad, anche di una vera mossa di conquista: il Mediterraneo è fatto, specie con la enorme confusione libica, di equilibri delicatissimi, di limitazioni reciproche talora esplicite e talora sottaciute che certo però non comprendono l'ingresso di un elefante nella cristalleria. Ahmadinejad, così certo pensa lui, mette le sue navi sul muso di Israele e davanti al muso di tutti noi, e queste navi irridono alle nostre inutili sanzioni, e anche alle autentiche ispirazioni occidentali e democratiche che certo animano gran parte delle rivoluzioni in Egitto, in Tunisia, in Marocco, nello Yemen, in Bahrein, in Libia... incitano tutte le parti più estreme delle folle arabe a aderire a un'ideologia islamista, e soprattutto, promettono guerra. Non dovremmo permettere che questo accada. Dove è l'Unione Europea? E Obama, ci lascia sempre più soli?


Gerusalemme - suoni e luci
Dalla piazza anti regime alla piazza anti israeliana

Le proteste arabe nascono dal malcontento verso regimi che hanno creato nepotismo, corruzione, stagnazione, repressione. Ma in quelle che Bernard Lewis ha definito “rivoluzioni popolari”, non democratiche, chi cercherà di approfittarne sarà l’islamismo, che vuole la leadership del mondo arabo dopo mezzo secolo di nazionalismo laicista e di patti con l’occidente. E’ un ritorno al 1979: crollano i fautori della pace con Israele e dell’alleanza strategica con gli Stati Uniti; società governate dalla sharia vogliono “democrazia” in chiave plebiscitaria (“una testa, un voto, una volta sola”); i cristiani vanno in esilio; Hamas e Hezbollah si drogano di missili e fanatismo; la Turchia è sempre più persa all’occidente; l’Iran torna nel Meditarreneo per la prima volta dalla caduta dei Pahlevi; l’America è debole e l’islam politico ovunque in ascesa. Manca l’annuncio di Teheran che ha sviluppato la bomba atomica. Nessuno conosce l’esito delle proteste arabe, ma i giornalisti hanno occultato il volto oscuro della rivolta accanto a Facebook e ai foulard dei “giovani”: l’attacco alla sinagoga di Tunisi, l’uccisione ieri di un prete copto nel sud dell’Egitto, la paura delle donne senza velo e dei cristiani, le caricature di Mubarak con la kippah, il grido “ebrea ebrea” contro Lara Logan.Al Cairo è caduto l’ultimo argine per l’ascesa dei Fratelli musulmani, che da sessant’anni inseguono il sogno califfale. Se dovessero prendere il potere vedremmo i cristiani relegati al rango di minoranza sottomessa. Niente più Miss Egitto. Niente più donne senza velo in tv. Niente più tolleranza per l’adulterio e gli alcolici. Niente più “mescolanza dei sessi”. Niente più muro contro Hamas. Mubarak aveva tanti torti e la sua acqua era imbevibile, ma “il faraone” aveva collocato il paese nell’orbita occidentale, si era schierato contro Saddam e Khomeini, aveva siglato un patto di pace con Gerusalemme, era scampato a sei tentativi di assassinio ed era stato l’unico leader arabo, assieme al giordano Hussein, ai funerali di Rabin. Non è poco in medio oriente. Oggi al Cairo l’imam Qaradawi, che sta all’islamismo come Himmler stava all’ideologia nazionalsocialista e che ha giustificato l’uccisione dei feti israeliani, arringa milioni di egiziani al grido di “libereremo Gerusalemme, milioni di martiri”. Cosa accadrà alle donne di Tunisia? L’ex presidente Bourghiba aveva dato loro diritti senza uguali nel mondo arabo. Che ne sarà di quel poco di modernizzazione e laicità? In Cisgiordania la vivacità economica non è garanzia di pace con gli ebrei e a Gaza governa un regime tenebroso. E Hamas potrebbe puntare presto i missili sull’aeroporto di Tel Aviv. Beirut è ancora una liberazione per i giovani arabi che vogliono godere di un po’ di luce, passeggiare senza chador e tenersi per mano. Sarà ancora così domani? E cosa accadrà a Israele e alla pace siglata col sangue di Sadat? La tenaglia si stringe, la rivoluzione va avanti e le nostre chattering classes giubilano come prefiche per la “piazza araba”. Ma spesso dopo la Rivoluzione viene il Terrore. 24 febbraio 2011 FOGLIO QUOTIDIANO di Giulio Meotti ,


*NERETINI DA COMBATTIMENTO* e questa volta, mica per dire! *FOTO*

NARDÒ – Da Nardò alla Calabria per insegnare l'arte del combattimento ai nostri militari. Protagonista il maestro neretino di Krav Maga Antonio Rutigliano.Sapersi difendere e saper difendere chi ci sta attorno è sicuramente molto importante, a maggior ragione se si rischia di trovarsi in situazioni di grande pericolo.Una regola fondamentale per chi svolge lavori che in queste situazioni di pericolo portano spesso. Perciò, secondo il principio che è meglio prevenire, niente di meglio di un corso che insegni come difendersi e difendere.Questo quello che ha pensato un gruppo di militari calabresi, che ha ben deciso di rivolgersi ad un istruttore neretino di Krav Maga, Antonio Rutigliano perché insegni loro come comportarsi in situazioni di pericolo. Questi i fatti. Poco più di un mese fa, la Federkravmaga Calabria ha organizzato uno stage di aggiornamento, un seminario teorico – pratico di questa disciplina di combattimento nata in Israele.Al seminario ha partecipato, in qualità di istruttore anche Antonio Rutigliano, che a Nardò gestisce il Kra.M.I.S. (Krav Maga Israel System). I partecipanti, tra i quali erano presenti anche molti militari, sono rimasti talmente entusiasti degli insegnamenti del maestro neretino da chiedergli di tenere un altro stage, questa volta tutto incentrato su quelle tecniche del Krav Maga più specificamente indirizzate all'ambiente miilitare. Così, a breve, il maestro neretino (che ha vissuto in Israele per diverso tempo, perfezionando la tecnica di questa disciplina di autodifesa e combattimento) terrà questo stage destinato ai militari calabresi che ne hanno fatto esplicita richiesta.Antonio Rutigliano, che viene da un passato di arti marziali e taekwondo, è diventato istruttore di Krav Maga per brutale necessità, quando, vivendo in Israele si è dovuto scontrare con la cruda realtà di un Paese dove la violenza è purtroppo all'ordine del giorno. Assieme ad alcuni amici israeliani, al sicuro di un bunker, Antonio Rutigliano ha imparato a combattere e difendersi secondo le regole del Krav Maga.Ma cos'è il Krav Maga? La disciplina, guai a definirla arte marziale, è un insieme di tecniche di combattimento prese da differenti sport di contatto, unite a ispirazioni più pratiche prese dai combattimenti da strada. Nato in Israele come combattimento destinato alle forze speciali, si è ben presto diffuso, grazie anche al fatto che essendo una tecnica abbastanza essenziale, l'apprendimento è relativamente veloce. Sebbene sia definito una disciplina di autodifesa, il Krav Maga si basa anche sul prevenire e contrastare le mosse dell'aggressore prima ancora che diventi una minaccia. Questo vale sia per le aggressioni a mani nude che per quelle con armi (coltelli o armi da fuoco), tanto che esistono diverse tecniche di disarmo.Una tecnica solo per professionisti? Certo che no, oltre che ai militari o agli operatori della sicurezza, il Krav Maga è una delle tecniche di autodifesa normalmente insegnate alle donne, proprio perché non richiede una grande forza fisica, quanto piuttosto una preparazione tecnica e naturalmente, un po' di sangue freddo.Inoltre, dato che sviluppa l'intuito e la prontezza di riflessi, è una tecnica che si può insegnare anche ai bambini, per i quali esistono specifici corsi anti-bullismo. Uno dei pochi corsi in Italia è stato tenuto a Nardò proprio da Antonio Rutigliano.Per chi volesse vedere il maestro .24 Febbraio 2011 http://www.portadimare.it/


Tel Aviv -museo della Diaspora

Il mondo arabo è in rivolta e l'Onu pensa solo a Israele

Venerdì scorso, mentre la Libia era già travolta dalle proteste, i cecchini del regime sparavano sulla folla e Bengasi stava passando sotto il controllo delle forze anti-Gheddafi, a New York era riunito il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. All’ordine del giorno vi era una risoluzione di condanna proposta dal Libano contro Israele per la sua politica di insediamenti. La risoluzione non è passata solo perchè gli Usa all’ultimo momento e a malincuore hanno posto il veto, ma gli altri 14 membri del Consiglio di Sicurezza, Francia, Germania e Gran Bretagna hanno tutti votato a favore.L’episodio non sorprende ma da la misura dello straniamento e dell’assoluta perdita di contatto con la realtà di quello che si rappresenta come il governo planetario. Mentre il Medio Oriente e il Nord Africa viveono una rivoluzione a catena, non prevista e senza precedenti, le cui conseguenze si proiettano sul mondo intero, il massimo organo garante della sicurezza internazionale si occupava di alcuni condomini costruiti da Israele e di come questi rischino di ostacolare il “processo di pace”.Perchè i fatti libici potessero ottenere una qualche attenzione dalle Nazioni Unite, molto altro sangue e molte altre violenze si sono dovute dispiegare sotto gli occhi del mondo. Solo martedì infatti il Consiglio di Sicurezza ha trovato la voce per “condannare la violenza e l’uso della forza contro i civili”, per “deplorare la repressione di manifestazioni pacifiche” e per “esprimere rammarico per la morte di centinaia di civili”.La sessione del Consiglio di Sicurezza si è svolta a porte chiuse, ma a parte le parole di condanna e la richiesta di sospendere le violenze non sembra che siano state discusse misure o minacce utili ad ottenere l’ascolto e l’attenzione del regime libico. Il massimo sforzo intimidatorio lo ha compiuto l’Alto Commissario Onu per i Diritti Umani, Navi Pillay, la quale si è spinta fino a chiedere una commissione di inchiesta indipendente sulle violenze perpetrate dall’esercito contro i dimostranti.Possiamo immaginare quale sconcerto questo abbia prodotto in Muhammar Gheddafi. Basterebbe ricordare in proposito il suo intervento all’Assemblea Generale nel settembre 2009, quando in un raptus oratorio di 100 minuti paragonò il peso del foro onusiano a quello di Hide Park Corner e ribattezzo il consiglio di Sicurezza come “Consiglio del Terrore” e chiese che venisse abolito.Ma nonostante il disprezzo mostrato verso le Nazione Unite il regime di Geddafi se ne è sempre sapientemente servito, scalando dal 2003 in poi – anno in cui vennero cancellare le sanzioni contro la Libia – tutte le posizione di maggior prestigio e potere dentro il Palazzo di Vetro. Fino ad arrivare nel maggio del 2010 a ottenere un posto nel Consiglio per i Diritti Umani con un amplissimo consenso: 155 voti su 188, di cui una gran parte proveniente, secondo le valutazioni di Freedom House, da paesi del cosiddetto “mondo libero”.Il peso della Libia all’interno dell’Onu è servito al regime per evitare qualsiasi indesiderata attenzione sul reale rispetto dei diritti umani nel paese. Tanto che neppure la vicenda dei 1200 detenuti del carcere di Abu Salim, uccisi e poi sepolti in una fossa comune dopo la rivolta del 1996, è mai arrivata all’esame di un qualsiasi organismo onusiano.Lo stesso Consiglio per i diritti Umani, nei sui 5 anni di vita, ha approvato 50 risoluzioni, di cui 35 contro Israele e non una solo contro la Libia. Fosse per il Palazzo di Vetro, Muhammar Geddafi potrebbe davvero governare fino alla fine naturale dei suoi giorni e magari uscire di scena come un eroe. (tratto da Il Tempo)


Haifa

Vento di libertà, uragano di fanatismo

Di Ari Shavit http://www.israele.net/
La grande rivoluzione araba promette molto porta con sé grandi promesse. Come ogni grande ribellione contro la tirannia, suscita solidarietà, entusiasmo e speranza. Nonostante il terribile massacro in Libia, senza dubbio il 2011 potrebbe essere il 1989 del Medio Oriente. Forse addirittura il 1789 del Medio Oriente. Il dispotismo arabo laico sta crollando davanti ai nostri occhi. Il gigante arabo si sta svegliando dal coma. Un intero ordine del mondo decadente degradato e corrotto si sta sgretolando. Milioni di persone oppresse provano per la prima volta un senso di liberazione.Ma la grande rivoluzione araba porta con sé anche grandi pericoli. Negli ultimi dieci anni gli Stati Uniti hanno smantellato l’Iraq, hanno smontato l’Egitto, hanno perso la Turchia. Così facendo, hanno distrutto il cuscinetto sunnita contro l’Iran. In questi giorni Washington lascia che si smantelli il Bahrain, che vacilli la Giordania e che rischi l’Arabia Saudita, facendo in questo modo dell’Iran la prima potenza della regione. Se la politica americana non cambia, il risultato potrebbe essere un disastro geostrategico.Sotto l’insegna della “democratizzazione”, i musulmani sciiti si impadroniranno di un considerevole numero di stati arabi del Golfo Persico. Sotto l’insegna della “liberazione”, gli estremisti si impadroniranno di una considerevole parte del mondo arabo. La pace fra Israele e palestinesi e fra Israele e Siria diventerà impossibile. I trattati di pace israelo-egiziano ed israelo-giordano svaniranno. Forze islamiste, neo-nasseriane e neo-ottomane plasmeranno il nuovo Medio Oriente. E la rivoluzione del 2011 potrebbe fare la fine della rivoluzione francese del 1789, con un Napoleone pronto a prenderne il controllo, ad approfittarne e a trasformarla in una lunga sequela di guerre sanguinose.Il cambiamento nel mondo arabo avrebbe dovuto innescarsi in un’altra epoca, uno o due decenni fa. Il cambiamento nel mondo arabo avrebbe dovuto generarsi in modo diverso, con le riforme e non con le rivolte. Ma ormai è tropo tardi, non si può tornare indietro; la rivoluzione è in pieno svolgimento. Ecco perché gli americani hanno ragione di voler stare dalla parte giusta della storia. Gli americani fanno bene a schierarsi dalla parte delle masse che reclamano i loro diritti. Ma gli americani sbagliano quando iniziano col lasciar rovesciare i regimi dei loro alleati. Gli americani sbagliano quando con le loro mani lastricano la strada alla vittoria della Fratellanza Musulmana e dell’Iran.C’è un solo modo per uscire da questo “comma 22”. Passare dalla difensiva all’offensiva. Barack Obama è pronto ad essere il nuovo George Bush? David Cameron è pronto ad essere il nuovo Tony Blair? Hillary Clinton è pronta ad mettere in atto la piattaforma dei neoconservatori? Buona fortuna, dunque, ma a condizione che non lo si faccia soltanto nel cortile di casa dell’occidente. Che non lo si faccia soltanto in Tunisia, in Egitto, nello Yemen e nel Bahrain. Che lo si faccia insieme a un energico intervento umanitario in Libia. E che lo si faccia anche in Iran.Si prenda il vento di libertà che spira dalle piazze del Cairo e lo si faccia arrivare alle piazze di Tehran. Si prendano le rivolte di Google, Facebook e Twitter e le si faccia arrivare dagli ayatollah. Si favorisca la caduta di Mahmoud Ahmadinejad come si è favorita quella di Hosni Mubarak. Si contrastino il fascismo religioso sciita e la follia di Muammar Gheddafi con la stessa determinazione con cui si sono contrastate le dittature filo-occidentali. Solo in questo modo si potranno affermare i valori democratici dell’occidente insieme ai suoi interessi strategici. Solo in questo modo si potrà aprire la strada alla libertà senza infiammare il fanatismo e senza scatenare la guerra.Per tre settimane la gran parte dei mass-media occidentali ci ha detto che la rivoluzione di piazza Tahrir era la rivoluzione senza volto della generazione di Google. Ma il 18 febbraio 2011, quando un milione e passa di egiziani hanno celebrato la loro liberazione nella piazza centrale del Cairo, è saltato fuori che il volto della rivoluzione era quello del fanatico sceicco Yusuf al-Qaradawi. Se le potenze occidentali non si ravvedono in fretta, potrebbero scoprire che il volto del nuovo Medio Oriente è quello di al-Qaradawi, del primo ministro turco Recep Tayyip Erdogan, dell’ayatollah Ali Khamenei: il volto di coloro che stanno cercando di trasformare il vento del cambiamento che soffia su tutto il Medio Oriente in un violento uragano di fanatismo.(Da: Ha’aretz, 24.2.11)


Acco
Allarme degli 007: rischio terrorismo

L’Europa, Italia compresa, «appare sempre più esposta al terrorismo di matrice jihadista» sia come retrovia logistico e di reclutamento per gli estremisti, sia come «potenziale teatro di pianificazioni offensive contro obiettivi istituzionali e ’simbolici', luoghi pubblici e personaggi accusati di essere nemici dell’Islam». Lo scrivono i servizi segreti nella relazione consegnata al Parlamento nella quale, tra l’altro, si sottolinea che ci sono «indicazioni» dell’arrivo o del rientro in Italia di «estremisti con trascorse esperienze jihadiste in contesti di crisi o addestrati nel quadrante afghano-pakistano»In particolare la minaccia nei confronti del nostro paese, dicono gli 007, proviene sia da «organizzazioni attive all’estero», che utilizzano l’Italia come snodo di transito per gli estremisti, retrovia logistico e «potenziale trampolino, se non obiettivo, per pianificazione terroristiche originate anche all’estero, sia da »individui presenti« nel nostro paese. Questi ultimi sono i cosiddetti "self starters" e rappresentano una "incognita particolarmente insidiosa": soggetti che si attivano in maniera «imprevedibile, al culmine di percorsi solitari ’ed invisibilì di radicalizzazione». Gli 007 segnalano inoltre quali sono gli ambienti più "sensibili" alla diffusione dell’ideologia jihadista: i centri di aggregazione soprattutto del nord e gli ambienti carcerari, dove i veterani sarebbero in grado di condizionare e reclutare giovani arrestati per reati comuni.Quella che sta vivendo l’Egitto «è una fase di passaggio non priva di criticità», rileva la Relazione 2010 al Parlamento dei servizi di sicurezza. «Seppure collocabile sulla scia dei moti tunisini, la crisi egiziana - spiegano i Servizi - ha assunto una propria fisionomia in relazione alla peculiarità del contesto nel quale si è sviluppata». «A pochi mesi da una scadenza elettorale che avrebbe dovuto sancire un avvicendamento al vertice nel segno della continuità - proseguono gli 007 - la protesta popolare ha disvelato un fronte del dissenso trasversale e composito, reclamando una rottura con il passato e profilando, nel contempo, una fase di passaggio non priva di criticità».Anche il pericolo di «repentini innalzamenti di tensioni» in particolare nella Striscia di Gaza a causa di una «recrudescenza di azioni anti-israeliane ad opera di locali gruppi terroristici, alcuni dei quali di orientamento jihadista» è evidenziato dalla Relazione 2010 al Parlamento dei Servizi di informazione per la sicurezza. «Nei territori Palestinesi, in caso di fallimento dell’attività diplomatica internazionale volta a favorire la ripresa del processo di pace con Israele - sostengono i Servizi - Hamas potrebbe vedere accresciuta la propria influenza sia tra i palestinesi sia nel mondo arabo, mantenendo alti i toni del confronto con Israele».24/02/2011 http://www3.lastampa.it/


mappa Mar Morto

Israele: rallenta la produzione industriale

Giovedì 24 Febbraio 2011 http://www.focusmo.it/
Malgrado nel 2010 l’economia dello Stato ebraico sia cresciuta significativamente – i dati parlano di un incremento del 7.8 per cento rispetto al 2009 e di 6mila nuovi posti di lavoro –, secondo l’Ufficio centrale di statistica, negli ultimi tre mesi del 2010 il settore secondario ha fatto registrare un calo del 6 per cento.Le cifre del periodo ottobre-dicembre non sono le uniche. Sempre per il 2010, l’istituto ha rilevato anche una diminuzione pari al 32.5 per cento nella produzione definita “di media-tecnologia”: prodotti chimici, macchinari, strumenti elettronici e di trasporto. Oltre alla riduzione nelle vendite, l’analisi mostra una diminuzione delle offerte di lavoro quantificata attorno all’1 per cento. L’indebolimento dell’industria – si legge nello studio – è dovuto a un calo nelle esportazioni, spiegato in modi diversi: gli industriali affermano che la causa sia lo shekel troppo forte rispetto a dollaro ed euro; gli economisti, al contrario, fanno notare che il rallentamento è un trend globale, e puntano il dito contro la crisi del debito dei Paesi europei. Altri ancora ricordano poi che la crisi economica mondiale esplosa nel 2009 non è ancora finita, e che questo grava sulla domanda di merci e beni da parte di Europa, America e Sudest asiatico. A prescindere dalle cause, l’Ufficio centrale di statistica conclude il resoconto affermando che il settore industriale nazionale sembra essere all’inizio di una crisi: «La crescita registrata fino a giugno 2009 si è fermata nel giugno 2010, e i numeri raccolti a partire dal mese successivo vanno tutti in direzione di un declino nella produzione».


Avi Pazner: "Violenze contro civili ricordano quanto accaduto in Iran"

L'ex ambasciatore israeliano in Italia all'Adnkronos: "Guardiamo con orrore gli avvenimenti in Libia" Roma, 24 feb. - (Adnkronos/Ign) - Le scene, raccontate dai testimoni e riportate dai media, di quanto sta avvenendo in Libia in queste ore, ricordano la repressione attuata in Iran contro i manifestanti anti governativi. E' questa la riflessione dell'ex ambasciatore di Israele in Italia, Avi Pazner: "Guardiamo con orrore gli avvenimenti in Libia con le forze di sicurezza che sparano contro i civili -dice Pazner all'ADNKRONOS- per noi, che abbiamo avuto esperienza di persecuzioni violente, sono scene particolarmente dolorose". "Il nostro pensiero -prosegue Pazner- è rivolto ai cittadini libici, quanto sta avvenendo ci riporta alla mente anche quanto è accaduto in Iran dopo le elezioni, con le guardie repubblicane che sparavano sui cittadini inermi: tutto questo non puo' non suscitare in noi molto disagio e inquietudine". Avi Pazner dice anche che l'invio di due navi da guerra in Siria, attraverso il Canale di Suez, "in questo momento di tensione nel Mediterraneo, non è certo una coincidenza" confermando l'arrivo delle due navi nel porto siriano di Latakia, operazione che ha definito "di routine". Per Pazner, invece, "è evidente che c'è il disegno di mostrare la propria presenza navale militare". "Conosciamo bene -prosegue Pazner- la politica dell'Iran verso Israele. Il presidente iraniano non ha nascosto che il suo desiderio è di cancellare Israele dalla mappa del mondo". Per questo, "E' evidente che dobbiamo vedere un significato in questo gesto da parte dell'Iran. Per noi si tratta di una minaccia alla pace e alla stabilità del Medio Oriente".


Gerusalemme - suoni e luci

MEDIO ORIENTE. Brevi da Israele.net

24/02/2011 Due razzi palestinesi tipo Grad lanciati mercoledì sera dalla striscia di Gaza si sono abbattuti nella zona di Beersheva, al centro del deserto del Negev (nel sud di Israele). Le Forze di Difesa israeliane hanno reagito con un raid contro obiettivi terroristici a Gaza. Sarebbero rimasti feriti tre terroristi della Jihad Islamica.24/02/2011 Il primo ministro britannico David Cameron ha detto mercoledì che alcuni leader del Medio Oriente utilizzano il conflitto israelo-palestinese per distrarre la gente dai loro regimi oppressivi. ''In troppi paesi del Medio Oriente - ha detto Cameron parlando a studenti del Qatar - i leader dicono al proprio popolo che è indignato per questa causa, ma voi vi indignate soprattutto per il fatto che vivete in società oscurantiste".24/02/2011 Parlando mercoledì alla Knesset, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha risposto alle critiche dell'opposizione circa la paralisi dei colloqui israelo-palestinese dicendo: ''Oggi non so se abbiamo un interlocutore, e ci sono parecchi dubbi circa un interlocutore per il domani".24/02/2011 Il vice ministro degli esteri libico, Khaled Kaim, ha messo in guardia i giornalisti: ''Ci sono giornalisti - ha detto mercoledì - che sono entrati illegalmente e noi li consideriamo come fuorilegge e collaboratori di Al Qaeda, e non siamo responsabili per la loro sicurezza".Leggi tutte le brevi, link esterno: http://israele.net/


canale di suez antica stampa
Iran, Israele: 'Le navi iraniane trasportano armi per Hezbollah'

Hanno attraccato in Siria. Si tratterebbe di un tentativo dell'Iran di aggirare le restrizioni Onu, che vietano a Teheran la vendita di armi agli estremisti libanesi - Fonti governative israeliane hanno dichiarato che le due navi da guerra iraniane giunte nel Mediterraneo attraverso il Canale di Suez avrebbero a bordo materiale bellico. Si tratterebbe di armi ad alta tecnologia destinate a Hezbollah: razzi di vario genere, fucili d'assalto, munizioni e visori notturni. Le fonti - che hanno scelto di rimanere anonime - hanno rilasciato le informazioni al quotidiano "Màariv", che le ha diffuse tramite il proprio sito web. Secondo gli israeliani, l'Iran sta cercando di aggirare le sanzioni che gli impediscono di vendere armi al movimento sciita libanese. Teheran, infatti, deve fronteggiare delle misure restrittive imposte dal Consiglio di Sicurezza Onu a causa del suo programma nucleare, e questo sta creando problemi nei rifornimenti di materiale bellico per Hezbollah. É la prima volta dal 1979 (anno della Rivoluzione in Iran), che due navi da guerra iraniane attraversano il Canale di Suez. Secondo una fonte iraniana a Damasco, le navi hanno attraccato in Siria, nel porto di Lattaquieh.http://notizie.virgilio.it/


spiaggia di Tel Aviv
Se Israele diventa l’unica cosa su cui gli egiziani si trovano d’accordo
Di Dan Eldar http://www.israele.net/
È stata una pace distorta fin dai tempi in cui venne fatta, più di trent’anni fa. La strategia “di pace” dell’Egitto, che mirava soltanto a recuperare il Sinai e ottenere un generoso sostegno americano, fu sin dall’inizio carica di ostilità e diffidenza verso Israele. A parte la non belligeranza, gli egiziani non hanno permeato il trattato di nessun elemento di pace piena e sincera con il loro ex nemico. I sentimenti popolari di ostilità verso Israele, il sionismo e il popolo ebraico sono tuttora molto diffusi fra la popolazione egiziana. Opinion maker che godono di grande popolarità, compresi intellettuali liberali, e i mass-media che finora erano strettamente controllati dalle autorità, per anni non si sono fatti il minimo scrupolo di demonizzare Israele e i suoi leader, di demonizzare il popolo ebraico con modalità antisemite, di fomentare odio per Israele in completo spregio dello spirito del trattato di pace.L’Egitto diede alla pace con Israele il significato più limitato possibile. I suoi leader e responsabili politici, da Anwar Sadat in avanti, vedevano il processo di pace con Israele principalmente come un mezzo per ridurlo alle sue “dimensioni naturali”, vale a dire alle linee pre-’67, privandolo di asset strategici.L’Egitto sotto il governo di Hosni Mubarak ha preferito rallentare il più possibile il processo di pace e la normalizzazione fra Israele e il resto del mondo arabo allo scopo di preservare la legittimità inter-araba per la sua attività diplomatica in quanto unico mediatore nella regione. Mubarak giocò un ruolo significativo del far fallire i colloqui israele-palestinesi a Camp David nel luglio 2000. Con il sostegno sia dei mass-media che del clero egiziano, avvertì Yasser Arafat che sarebbe stato considerato un traditore se avesse accettato le proposte avanzate ai colloqui, e gli negò la legittimazione di cui avrebbe avuto bisogno per prendere decisioni su Gerusalemme. In questo modo l’Egitto contribuì allo scoppio della seconda intifada, che gli garantì una sorta di guerra d’attrito contro Israele attraverso i palestinesi. Questo fu il paradigma egiziano della pace con Israele: controllo indiretto di uno scontro a bassa intensità. La combinazione della bieca realtà quotidiana interna in Egitto e della sua politica nel corso degli anni di “pace minima” con Israele rende conto di una prognosi amara circa il futuro dei rapporti fra i due paesi. Nei negoziati con l’opposizione interna sul futuro del regime, l’esercito egiziano potrebbe diventare assai più tollerante verso le tendenze islamiste, se non altro per preservare il proprio status di arbitro e di fattore stabilizzante. L’ostilità verso Israele, profondamente radicata nella coscienza egiziana e supportata da una crescente identificazione con l’islam politico, potrebbe diventare il legante fra i vari elementi dell’opposizione e l’esercito. Se la Fratellanza Musulmana sarà parte del prossimo governo, ciò potrebbe accelerare il deterioramento delle relazioni con Israele sino al punto di abrogare il trattato di pace, a dispetto delle recenti dichiarazioni dei capi delle forze armate. L’esercito egiziano, che a differenza di quello turco non è necessariamente fedele ad un ethos laico, potrebbe cambiare il suo orientamento verso il trattato di pace con Israele. I suoi programmi di addestramento considerano tuttora Israele come la principale minaccia. Lo slittamento verso un clima muscolare potrebbe procedere gradualmente, da un’energica retorica anti-israeliana ad opera dei partiti dell’opposizione legale, a pretese di cambiamento degli accordi di smilitarizzazione del Sinai presso i forum delle Nazioni Unite, fino a richieste di ispezioni delle armi nucleari che secondo l’Egitto Israele possiede. La politica di Israele verso l’Egitto, della sinistra come della destra, si è adattata nel corso degli anni ai parametri da pace fredda e distorta dettati dal regime di Mubarak, conservando anche una valutazione esagerata dell’importanza regionale dell’Egitto. Ora, con la rimozione di Mubarak, sembra arrivato il momento di aggiornare questa politica e di preparare ogni strumento diplomatico e di sicurezza a disposizione di Israele alla possibilità di sviluppi negativi sul versante meridionale.(Da: Ha’aretz, 20.02.11)



Tel Aviv - casa Ben Gurion

I Palestinesi guardano con preoccupazione ai disordini arabi

Mercoledì 23 Febbraio 2011 http://www.focusmo.it/
Il negoziatore dell’Autorità Palestinese, Nabil Shaath ha affermato che i recenti disordini in Medio Oriente rallenteranno il processo di pace israelo-palestinese.
“La debolezza della posizione araba era una delle ragioni dietro allo squilibrio fra la Palestina e Israele" ha dichiarato Shaath. Shaath ha poi escluso la possibilità che l’Autorità Palestinese, nelle attuali condizioni, ritorni al tavolo delle trattative con Israele. Il Presidente dell’Autorità Palestinese, Mahmud Abbas, ha dichiarato recentemente che le prossime elezioni si terranno a settembre. Tuttavia, ha aggiunto, che con molta probabilità Hamas boicotterà il processo elettorale nella Striscia di Gaza.


esercitazioni esercito israeliano nel Neghev

La caduta di Ahmadinejad? Per Peres è solo questione di tempo

La caduta del leader iraniano Mahmud Ahmadinejad “è solo questione di tempo” e potrebbe avvenire “prima di quanto ci si aspetti”. Lo ha dichiarato il presidente israeliano Simon Peres, in visita ufficiale in Spagna. Secondo il capo di Stato non si può pensare di governare “con sangue, bombe e odio” e le giovani generazioni iraniane, colpite da “una disoccupazione che ha raggiunto il 30 per cento”, “non si arrenderanno” fino a quando non avranno ottenuto la libertà. Il regime di Teheran “uccide troppe persone” ha aggiunto, sottolineando che manca un messaggio di speranza nel futuro e che il processo avviato dalle proteste degli ultimi mesi “è irreversibile” anche se “può richiedere del tempo”. L’Iran, secondo il premio Nobel per la Pace, “non rappresenta un pericolo solo per Israele, ma per tutto il mondo”.febbraio 23rd, 2011 http://www.online-news.it/


Una continuità di ispirazione politica e ideale

A un anno dalla prima visita ufficiale di Muammar Gheddafi in Italia un libro raccoglie tutti i discorsi del leader libico. L’intervento di Massimo D’Alema alla presentazione del volume Maggio 2010



luce sul Mar Morto

Valdo Spini: "Israele e Palestina insieme al Festival dei Popoli"

Promossa dalla rivista di dialogo interreligioso Confronti, l’iniziativa Semi di Pace mette per una settimana a confronto intellettuali israeliani e palestinesi che in tutta Italia si confrontano condividendo con il pubblico le loro esperienze e le loro analisi sul complesso problema mediorientale. Ieri pomeriggio si è svolta la tappa fiorentina dell’iniziativa, non a caso ospitata nella sede della Fondazione La Pira, intitolata a quel Giorgio La Pira “sindaco santo” di Firenze a cavallo tra anni Cinquanta e Sessanta che fu costante promotore della pacificazione tra i due popoli e che da presidente della Federazione Mondiale delle Città Unite lanciò lo slogan "Unire le città per unire le nazioni". Moderato da Valdo Spini, ex ministro dell’Ambiente ai tempi dei governi Amato I e Ciampi, e da Mario Primicerio, sindaco del capoluogo toscano alle porte del Duemila, l’incontro ha coinvolto due esperti di cinema mediorientale: l’israeliano Asher Salah, critico e docente di cinema alla Bezalel University di Gerusalemme, e il palestinese Mohammed Bakri, attore e regista di fama internazionale autore della controversa pellicola Jenin Jenin. Il quadro emerso dalla conversazione, integrata dalla proiezione di un duro filmato autobiografico realizzato da Bakri in cui gli elementi di ostilità tra i due popoli si acuiscono in un continuo crescendo, lascia presagire come la strada da percorrere per giungere alla pace sia ancora lunga e impervia. Il cinema resta però una delle chiavi di lettura più efficaci delle reciproche paure e incertezze, uno strumento attraverso cui decodificare stereotipi e ideologie stratificate in entrambe le società. Ne è convinto Selah che, interpellato dalla platea, si sofferma sul recente successo mondiale riscosso da alcuni film israeliani e sugli interessanti sviluppi della produzione cinematografica palestinese. E proprio dal cinema potrebbe partire un suggestivo messaggio di coesione, come auspica Valdo Spini in conclusione di serata. Perché non presentare, si chiede il navigato politico fiorentino, una rassegna comune di pellicole israeliane e palestinesi in occasione del prossimo Festival dei Popoli, grande evento internazionale che ogni autunno propone alla città di Firenze alcune delle migliori produzioni nel campo della documentazione sociale?Adam Smulevich, http://www.moked.it/


monsignor Michael Al Jamil

La Chiesa e gli estremismi
Sono stato spesso costretto ad essere critico della politica mediorientale della Santa Sede. Proprio per questo sono lieto di dar atto che anche all’interno della Chiesa c’è chi è pronto ad alzare la voce contro gli estremismi, le ingiustizie e le violenze del fondamentalismo islamico. Né possiamo dimenticare che nel 2006 fu proprio Papa Benedetto XVI ad assumere una posizione simile nella sua lezione magistrale di Regensburg. Eccovi l’intervista con l’arcivescovo emerito di Mosul dei Siri, monsignor Michael Al Jamil pubblicata dal sito Terra Santa.Sergio Minerbi, diplomatico,http://www.moked.it/

«In Iraq i musulmani devono fare di più per isolare i terroristi»

L’islam «migliore» non è riuscito fino ad oggi «né a deplorare a sufficienza l’aberrazione della violenza in nome di Dio, né a mettere fine» all’estremismo che si va diffondendo «come un cancro» tra i seguaci di Maometto, mentre i leader musulmani dovrebbero essere «più decisi nel proteggere la loro etica civile e religiosa». È la denuncia dell’arcivescovo emerito di Mosul dei Siri e dal 1997 procuratore siro-antiocheno in Vaticano, monsignor Michael Al Jamil, 71 anni, a margine di una Messa celebrata in rito orientale ieri a Novara, su invito del vescovo monsignor Renato Corti, per sensibilizzare i fedeli sul dramma dei cristiani iracheni.Eccellenza, lei è visitatore apostolico per i siri residenti in Europa occidentale e viaggia spesso in Italia e in Francia. Che cosa chiede in particolare ai fedeli in Occidente? Chiediamo ai cittadini né più né meno di quanto chiediamo ai governanti e cioè di restare fisicamente e spiritualmente, con una solidarietà concreta, al fianco dei cristiani iracheni, che sono diventati da anni bersaglio di attacchi atroci: preti uccisi, vescovi rapiti e uccisi, famiglie trucidate dentro le loro case, pullmini di studenti assaltati mentre andavano all’università, con morti e centinaia di feriti… L’ultima strage del 31 ottobre nella nostra chiesa siro-cattolica di Baghdad, con 55 morti e oltre 100 feriti fra le persone riunite in preghiera, è stata di una ferocia senza precedenti. La situazione è diventata sempre più difficile, tanto che molti si vedono costretti a fuggire.Pensa che sia possibile – e giusto – fermare l’emigrazione? Quel che penso è che per i cristiani iracheni emigrare porta una morte peggiore di quella che può venire dal terrorismo: perché in Iraq muoiono da martiri, mentre per molti di loro venire a vivere in Occidente significa voltare le spalle alla propria fede, alla propria tradizione e cultura, dimenticare la propria identità fino ad abbracciare costumi immorali. E questo è peggio della morte. Perciò esorto tutti a fare quanto possono per proteggere la presenza dei cristiani in patria, in Iraq e nel resto del Medio Oriente, e a fare pressione sui governi perché portino avanti con tutti i mezzi possibili la tutela delle minoranze non musulmane.Lo scorso gennaio il Parlamento europeo aveva approvato il testo di una risoluzione che è stata poi ritirata per la mancata menzione delle minoranze cristiane invece dell’espressione «minoranze religiose». Che ne pensa? Credo che fosse comunque un passo avanti, e che nella drammatica situazione in cui versiamo non è il caso di attaccarsi a dei cavilli. Però al di là di questo episodio, quel che vedo è che le democrazie occidentali, così sollecite a difendere i diritti umani a parole, non riescono a capire la mentalità orientale e soprattutto il pensiero politico di alcune correnti fanatiche dell’islam che considerano i loro concittadini cristiani come una estensione dell’Occidente colonialista, se non gli eredi delle Crociate. Perciò, come cristiani d’Oriente, quello che chiediamo all’Occidente è di osservare in profondità la situazione attuale e, anziché appoggiare con le armi e dando la priorità agli interessi economici il fanatismo tra le varie comunità religiose in Oriente, di alzare piuttosto la voce contro ogni estremismo, ingiustizia e violenza, in difesa della convivenza tra le varie componenti di ognuno dei nostri Paesi del Medio Oriente.Cosa fa il governo iracheno per prevenire e punire queste stragi? La risposta del governo è che i cristiani sono vittime del clima di violenza nel Paese, come lo sono gli altri cittadini. Ma in realtà non è così: i cristiani non appartengono ad alcuna delle fazioni in lotta fra sunniti e sciiti, non prendono parte ai conflitti interni e non hanno armi, neppure per difendersi. I cristiani non hanno obiettivi politici: vogliono soltanto continuare a vivere in pace nel loro Paese, con i loro concittadini musulmani. Chiedono perciò il rispetto dei diritti umani fondamentali e dei diritti di cittadinanza.Molti cristiani già si sono rifugiati in Kurdistan: il cosiddetto «Piano di Ninive» potrebbe dare più sicurezza ai cristiani? Assolutamente no: si tratta di un piano pericolosissimo, che potrebbe anche rivelarsi una trappola, e del tutto anacronistico: i cristiani non vogliono rinchiudersi in un ghetto: sia il clero iracheno sia la Santa Sede hanno sempre contrastato questa ipotesi.Quali azioni porta avanti il Vaticano a tutela dei cristiani? La Santa Sede, da molti anni, non si stanca di condannare in tutte le sedi diplomatiche e istituzionali questi crimini contro l’umanità, che sono tra l’altro la ragione principale dell’esodo dei cristiani da tutto il Medio Oriente, non solo dall’Iraq: l’emigrazione dalla regione è fonte di grande preoccupazione per tutti. Non stiamo parlando semplicemente di una minoranza religiosa, poiché in gioco c’è qualcosa di molto più grande: si tratta dei luoghi che racchiudono le radici stesse del cristianesimo, radici che costituiscono un lievito per lo sviluppo di una vita di coesistenza pacifica e di fratellanza fra cristianesimo, islam e altre religioni. La nostra paura è che questa cristianofobia si estenda ad altri Paesi, come già accade: l’abbiamo visto anche con la strage di Capodanno ad Alessandria d’Egitto.Si parla da molti anni dell’ambiguità del rapporto fra islam e violenza. Che riscontri avete all’interno dei fori del dialogo islamo-cristiano sul terrorismo di matrice islamica? Sappiamo bene che gran parte dei musulmani non sono terroristi, però è un dato di un fatto che finora non si è visto nessun terrorista che non fosse musulmano. Il che vuol dire che sono più inclini alla violenza di quanto ci si aspetterebbe da uomini di preghiera, di fede, dunque di pace. In effetti i cristiani aspettano che l’islam si mostri molto più deciso a recuperare il ruolo che aveva quando cristiani e musulmani, nel decimo secolo, fondarono a Baghdad una delle prime università del mondo e con essa gettarono insieme le radici della cultura araba. I cristiani chiedono ai leader musulmani di non permettere a queste correnti estremistiche di svuotare l’Oriente del cristianesimo e distruggere la convivenza secolare che c’è stata. Purtroppo però l’islam migliore non è riuscito finora né a deplorare a sufficienza l’aberrazione della violenza in nome di Dio, né a mettere fine a tali correnti. La nostra speranza è che i musulmani sappiano essere più decisi nel proteggere la loro etica civile e religiosa, impegnandosi a sostenere la presenza dei cristiani e soprattutto a fermare l’estremismo violento che da diversi anni ormai si sta diffondendo come un cancro all’interno dell’Islam.È stato il clero iracheno a chiedere la convocazione del Sinodo. Che cosa ha rappresentato questo evento? Il Sinodo ha segnato innanzitutto per le Chiese d’Oriente la presa di coscienza dell’essenza del loro ruolo, della loro vocazione storica in quella particolarissima area geografica del mondo, e del dovere di vivere la fede in modo esemplare, a dispetto delle difficoltà. Inoltre è stato un’occasione per lanciare l’impegno a essere molto più uniti nella pastorale, nell’apostolato, nella vita della Chiesa: nel mondo globalizzato, e a maggior ragione come minoranze, ha poco senso continuare a sottolineare le proprie differenze fra cattolici orientali. È ora di unirsi. Una terza area di intervento è certamente quella del dialogo con i musulmani, e qui speriamo davvero col tempo di procedere insieme nella costruzione dei nostri Paesi, per il progresso delle nostre società.Dopo la Tunisia e l’Egitto, i popoli del Nord Africa e del Medio Oriente stanno vivendo una rivoluzione della quale si fa ancora fatica a percepire la portata. È davvero iniziata una nuova stagione per il mondo arabo? È troppo presto per dirlo. Certamente dopo 30-40 anni era ora che questi tiranni se ne andassero. Ma, come dite in Italia, una rondine non fa primavera. Certi regimi non crollano dall’oggi al domani: ci vogliono anni per instaurare la democrazia in Paesi vissuti lungo tempo sotto il controllo delle Forze armate. E il mio timore è che, nella confusione generale che fa seguito a queste rivolte, i cristiani finiscano ancora di più nel mirino della violenza e del fanatismo.Manuela Borraccino, Terrasanta.net


Jewboxradio fra poche ore online

Domani sera, alla mezzanotte tra il 26 e il 27 febbraio, durante una grande festa di inaugurazione, sarà online JewBox, la prima web radio ebraica italiana. JewBox (www.jewbox.it) potrà essere ascoltata anche attraverso il sito di Radio 105, che ha sponsorizzato l’iniziativa e attraverso diversi siti ebraici italiani.Il giornale dell'ebraismo italiano Pagine Ebraiche, nel suo numero di marzo attualmente in distribuzione, dedica all'avvenimento questo articolo di Rossella Tercatin. A tutti gli amici che intraprendono questa nuova esperienza un caloroso augurio di buon lavoro dalla redazione del Portale dell'ebraismo italiano http://www.moked.it/

JewBoxRadio, parole e musica per raccontarsi al mondo

Da fine febbraio è online JewBoxRadio. La Comunità ebraica di Milano diventa così promotrice di una radio a tutti gli effetti, che potrà essere ascoltata 24 ore al giorno, attraverso il suo sito e quello di Radio 105, che ha sponsorizzato il progetto fornendo strumentazione e consulenza tecnica. Per scoprire il mondo di JewBoxRadio, Pagine Ebraiche varca una porta rossa. Dietro a quella porta ci sono conduttori, ospiti, autori, tecnici. Ma anche chi si occupa dei dettagli amministrativi: i diritti discografici, quelli fonografici, le liberatorie… Così circondati da microfoni, cuffie, mixer, pannelli per insonorizzare, i ragazzi di JewBoxRadio hanno fatto in modo che un progetto con grande potenziale, ma anche numerosi ostacoli da superare, diventasse realtà. “Questa radio, come suggerisce il nome, vuole essere un contenitore in cui i membri della Comunità possono diventare protagonisti, raccontando il loro modo di vivere l’ebraismo in tutte le sfaccettature - spiega Simone Mortara, consigliere della Comunità che insieme a Gad Lazarov ha seguito la realizzazione di JewBoxRadio - Il nostro motto è: tutti possono essere spettacolo”. E in effetti sono oltre sessanta le persone coinvolte, con sei redazioni tematiche, dall’intrattenimento all’attualità, dall’ebraismo alla musica, una decina di programmi originali, un gruppo di tecnici diciottenni formati “in casa”, una campagna pubblicitaria di lancio e molto altro. “Quando abbiamo cominciato a lavorare alla radio - racconta Ruben Gorjan, responsabile del progetto - avevamo tre obiettivi: diventare un gruppo, dare a dei ragazzi la possibilità di coltivare le proprie passioni sviluppando delle competenze professionali, raccontare la nostra Comunità e l’ebraismo alla società civile. I primi due obiettivi si sono realizzati, ora è arrivato il momento di scoprire come andrà con l’ultimo!”. Già perché JewBox si propone di essere un’emittente della Comunità per la Comunità, ma anche per chiunque provi interesse per la cultura ebraica. “Ora che la radio va online, la sfida sarà quella di migliorarne sempre più il contenuto, e magari studiare qualche collaborazione con iniziative analoghe, in Italia e all’estero” conclude Mortara. E chissà che in futuro non arrivi anche il brivido della diretta… Rossella Tercatin, Pagine Ebraiche, marzo 2011


Gerusalemme

RAI INTERNAZIONALE IN ISRAELE

ROMA\ aise\ - Dal primo febbraio Rai Internazionale è approdata in Israele. Rai World ha infatti raggiunto un accordo per la distribuzione del canale Rai per gli italiani all'estero con Yes DBS, l'operatore della tv satellitare a pagamento leader in Israele.Il Ministro Frattini ha partecipato alla presentazione dell’accordo, ieri in Rai, insieme con i vertici dell’azienda e l'Ambasciatore israeliano in Italia, Gideon Meir."La Rai diventa uno strumento potente di public-diplomacy", ha osservato Frattini, sottolineando come quest'accordo enfatizzi ulteriormente la "grande potenzialità della Rai di sapersi proiettare all'estero e, al tempo stesso, "incoraggia a fare di più in quest'area così vicina a noi". "Dobbiamo costruire insieme un Mediterraneo che sia davvero un ponte", ha aggiunto Frattini rivolgendosi ai vertici Rai.Si tratta di "un'intesa molto importante anche per il ruolo che Israele, oggi più che mai, può avere nell'area del Mediterraneo", ha detto il Presidente della Rai Garimberti sottolineando l'importanza che la politica usi tutti gli strumenti e i meccanismi a sua disposizione con l'obiettivo di una vera "unione per il Mediterraneo che crei sviluppo e condizioni di stabilità".Guardando ai futuri compiti di Rai World - la società della Rai che in base al piano industriale recentemente approvato dovrà sviluppare una nuova e più articolata presenza del Servizio Pubblico Radiotelevisivo nel contesto internazionale - Frattini ha rivolto l'attenzione a Rai Med. Va "riprogettata", ha osservato il Ministro, "magari pensando ad un canale multilingue e multipiattaforma che parli anche il linguaggio delle reti a quegli stessi giovani che attraverso le reti costruiscono proprio in questi giorni le nuove opinioni, pubbliche della sponda Sud".


Un arabo-israeliano denuncia la Coca Cola: “Alcol nella bibita”

26 feb http://falafelcafe.wordpress.com/
Per la Coca Cola è la più insidiosa battaglia della storia. Quella che potrebbe costringerla a rivelare – ironia della sorte – la ricetta meglio custodita al mondo: quella della bibita famosa in tutto il mondo. E tutto per colpa di chi ha fatto circolare in rete la lista (falsa) degl’ingredienti della bevanda marroncina piena di bollicine.Perché è da quel giorno che Malek Salaimeh, un arabo-israeliano, non si dà pace. Da quando ha letto nella finta ricetta che dentro la Coca Cola si troverebbe una piccola quantità di alcolico, vietatissimo per uno fedele come lui ai precetti religiosi dell’Islam. Ed è così che ha deciso di ingaggiare una battaglia legale molto rischiosa per l’azienda americana.«Per me si tratta di un vero incubo», ha raccontato Salaimeh alla radio militare israeliana. «Da buon musulmano, prego cinque volte al giorno e digiuno nel periodo del Ramadan», ha aggiunto l’uomo. «Non voglio certo andare incontro a punizioni divine per aver consumato, a mia insaputa, dosi di alcol».Secondo l’arabo-israeliano, la Coca Cola doveva precisare che fra gli elementi utilizzati c’era anche l’alcol. «Se lo avessi saputo le loro bottiglie non le avrei nemmeno sfiorate», ha spiegato. Da adesso ne ha comunque già cessato il consumo. E aspetta di sapere cosa farà il tribunale israeliano al quale si è rivolto e attraverso il quale ha chiesto alla società statunitense circa mille shekel (quasi 200 euro) per ogni israeliano di religione musulmana (poco più di un milione). Totale: 200 milioni di euro.La Coca Cola ha replicato che la produzione della bevanda è controllata in maniera meticolosa e che non è presente nemmeno la minima traccia di alcol. Ma se il giudice israeliano dovesse decidere di dare corso alla denuncia presentata dal signor Salaimeh, la compagnia potrebbe essere costretta a rivelare la ricetta segreta. Certo, con tutte le garanzie del caso. Ma siamo proprio sicuri che dentro quell’aula nessuno prenderà nota degl’ingredienti “miracolosi” che creano la Coca Cola?


Eco a Gerusalemme attacca il Cavaliere. E’ polemica

24 febbraio 2011 - Francesco Battistini, Corriere della Sera
Professore, che pensa di Ian McEwan che non ha boicottato questa Fiera del libro di Gerusalemme?… Ha fatto bene… Per lo scrittore britannico, venendo qui, non ha risparmiato attacchi alla politica d’Israele: anche lei è critico? Guardi, ho talmente tanto da dire contro il governo italiano che non ho il tempo di parlare del governo israeliano….Va bene, allora: siccome siamo in Medio Oriente e lei ha partecipato alla manifestazione milanese contro Berlusconi, che cosa pensa di chi paragona Berlusconi a Mubarak, a Ben Ali, a Gheddafi e a questi gentiluomini? Il paragone, intellettualmente parlando, potrebbe essere fatto con Hitler: anche lui giunse al potere con libere elezioni. Ma Berlusconi non è un dittatore come Mubarak e Gheddafi, perchè lui ha vinto le elezioni col supporto di una grande maggioranza degli italiani. In Italia non c’è lo stesso regime dei Paesi del Nord Africa e non va dimenticato il fatto che c’è un elettorato pronto a supportare Berlusconi. piuttosto triste, ma è così.Che echi: è in una saletta a un paio di chilometri da Yad Vashem, dov’è venuto a presentare il suo Cimitero di Praga, che Umberto Eco intellettualmente parlando seppellisce l’esperienza berlusconiana. Lo fa con un’iperbole in conferenza stampa, a mezzogiorno, davanti a una decina di giornalisti. Accendendo una polemica che la sera gli è difficile spegnere: Non volevo fare nessun parallelo col nazismo – precisa alle otto e mezza, poco prima d’accomodarsi a un caffè letterario con Abraham B. Yehoshua -. Non sarei stato così stupido da fare un paragone così in un Paese che conosce la differenza. In un’ora e mezza oggi s’è parlato di boicottaggio, d’antisemitismo. Quella era solo una parentesi in un discorso più ampio…. Troppo tardi. A quell’ora, gli ha già risposto duro Sandro Bondi, ministro dei Beni culturali: desolante che un uomo di cultura come Eco abbia voluto stabilire un raffronto tanto provocatorio quanto offensivo per la verità e la sensibilità di milioni d’italiani, e che abbia voluto farlo in una città come Gerusalemme. In scia ecco il suo vice, Francesco Giro: Eco ha perso la testa. E poi i pdl Margherita Boniver, lo scrittore entra nella grande tradizione della commedia all’italiana; Osvaldo Napoli, è riuscito a offendere gli italiani, gli israeliani e la comunità ebraica; Mario Valducci, imbarazzante. L’udc Maurizio Ronconi: Dichiarazioni come quelle di Eco puntellano le ragioni di Berlusconi, ha fatto una figuraccia. Il nome di quella cosa, il nazismo, fa sparire tutto il resto. Chiedono a Eco se non pensa che i giovani magrebini siano un po’ più svegli di quelli di casa nostra: Sono stupefatto per quanto succede in Nord Africa. Le nuove generazioni sono riuscite con Twitter e Facebook a organizzare una rivoluzione in cinque Paesi diversi, in una maniera che i loro padri non sarebbero stati in grado neppure di immaginare. Poi l’ultima risposta a Bondi, che arriva come un sibilo: irrilevante quel che il ministro dice. Non se lo fila nessuno.


Gerusalemme - spettacolo suoni e luci
Trecento palestinesi, minacciati in Libia,avranno il permesso di rientrare nei Territori

23 febbraio 2011 http://www.moked.it/
Trecento palestinesi, che si trovano il Libia, avranno il permesso di entrare nei Territori nei prossimi giorni. Lo ha dichiarato il premier israeliano Benjamin Netanyahu che si tratta di una scelta umanitaria concordata con il presidente Abu Mazen dato che i palestinesi in Libia sono minacciati. "A causa delle attuali violenze in Libia - ha affermato il premier israeliano - ho ricevuto una richiesta personale dal presidente Abbas per questo consentiremo a trecento palestinesi di entrare nelle aree palestinesi".


Volozhin yeshiva
Il metodo zarista nelle scuole ebraiche

La formazione delle guide religiose sta a cuore (abbastanza) non solo alle varie comunità ma anche ai governi, che ogni tanto vogliono decidere quello che succede. Una storia emblematica è quella della prestigiosa Yeshiva di Volozhin in Bielorussia, aperta nel 1803, che chiuse le sue attività in modo drammatico nel 1892. I motivi della chiusura non sono molto chiari; apparentemente il suo famoso direttore, il Natziv, acronimo di Naftali Zvi Yehuda Berlin non volle piegarsi agli ordini del governo zarista che imponeva studi secolari nel curriculum formativo. La questione non è così semplice, perché forse intervennero altri fattori e la questione di principio non era il rifiuto degli studi secolari, ma il modo in cui venivano imposti: obbligo degli studenti ad avere un diploma civile, orario esclusivo di studi civili dalle 9 alle 3 del pomeriggio, studi notturni proibiti, massimo ore giornaliere di studio dieci. Neppure in Italia, dove il principio delle scuole rabbiniche era che dovesse esserci un diploma e non c'era mai stata opposizione a studi secolari, sarebbe stata concepibile una tale forma di imposizione. Ma se invece di scuole rabbiniche pensiamo alle scuole ebraiche possiamo vedere che il metodo zarista non è così lontano dalla sua applicazione.Riccardo Di Segni, rabbino capo di Roma

Il punto

Secondo l'analisi strategica di un sito anti-imperialista italiano, la sequenza africana che ora è arrivata in Libia e sta demolendo Gheddafi, ha come primo obiettivo la distruzione del gasdotto Eni, avversato da sempre dall'imperialismo Usa. Ma attenzione, nella messa in scena della crisi, il bersaglio nascosto è l'incenerimento dell'Iran e naturalmente la fine della Palestina. Come non averci pensato: 1962, la misteriosa morte di Mattei. 2011, i misteriosi bombardamenti di Gheddafi. Per capirlo, prima inghiottire una parte di martini, poi due di gin, e se non basta, tre di vodka con dentro una salsiccia di cinghiale. Il Tizio della Sera, http://www.moked.it/


Hollywood attende le nomination

Domenica, al teatro Kodak di Hollywood, Los Angeles, California, si terranno gli Academy Awards, il più importante premio cinematografico del mondo. In alcuni ambienti del tempio del cinema serpeggia un sentimento ostile nei confronti di Israele e delle sue politiche, che in diverse occasioni ha assunto la forma del boicottaggio. Ciò, tuttavia, non ha impedito il pieno riconoscimento dei meriti artistici conseguiti dagli ebrei nel mondo dello spettacolo americano. La lista dei candidati ai premi Oscar della varie categorie consta infatti di numerose personalità appartenenti al mondo ebraico, il quale ha sempre svolto un ruolo centrale nel cinema americano, da che Hollywood è Hollywood. Il drappello dei produttori ebrei ha piazzato ben tre pellicole in nomination per la categoria Miglior film.Scott Rudin ha riscosso un successo mondiale con The social network, che racconta la storia di Mark Zuckerberg e la genesi della sua creatura, Facebook. Che gli incassi siano stati soddisfacenti è dire molto poco. Ora Rudin non aspetta altro che l'Oscar. I fratelli Coen hanno scritto, diretto e prodotto un nuovo western, Il Grinta, rifacimento del film del 1969 interpretato da John Wayne. Il Grinta ha ottenuto ben dieci nomination questa edizione degli Academy Awards: Miglior film, Miglior regia, Miglior attore protagonista (Jeff Bridges), Miglior attrice non protagonista, Miglior sceneggiatura non originale, Miglior fotografia, Miglior scenografia, Migliori costumi, Miglior sonoro e Miglior montaggio sonoro. Come se non bastasse i due fratellini del nuovo surrealismo americano hanno sbancato i botteghini di mezzo pianeta. Il terzo dei produttori ebrei che incrociano le dita affinché il loro film sia giudicato il migliore dell'anno è Mike Medavoy con Il cigno nero, diretto da Darren Aronofsky e apprezzatissimo dalla critica, tanto che è stato scelto come film d'apertura per la 67ª Mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia. Darren Aronofsky, quarantunenne cineasta di successo, divenuto famoso per la conturbante pellicola incentrata sul dramma dell'eroina Requiem for a dream (2000), ha ricevuto anch'egli la nomination per la Miglior regia con Il cigno nero. Durante un recente viaggio in Israele Aronofsky è stato intercettato dalla stampa locale. “È da quando, diciottenne, sognavo di vivere in un kibbutz raccogliendo e mangiando avocado, che non torno in questo paese”, ha confidato ai giornalisti israeliani. Incalzato sull'argomento, Aronofsky ha quindi condannato senza appello il boicottaggio artistico di Israele: “Non si può boicottare un'intera nazione”, ha dichiarato. “La società israeliana è estremamente diversificata, il suo mondo artistico in particolare non è certo appiattito sulle posizioni governative”. Il cigno nero, giudicato finora il suo capolavoro, ha fatto guadagnare la nomination all'Oscar come Miglior attrice protagonista la bellissima Natalie Portman. La giovane attrice dai natali israeliani, grazie alla toccante interpretazione ne Il cigno nero ha già vinto il Golden Globe, il secondo più prestigioso riconoscimento per le star di Hollywood. Ora attende il primo.Manuel Disegni, http://www.moked.it/


Brutti tempi per l'Europa.

Facebook è un'invenzione americana. I supporti mediatici sono in gran parte prodotti in Cina, Giappone, Corea. L'insurrezione si svolge in Nord Africa e in Asia occidentale, e con un occhio guarda alla Mecca ma l'altro occhio non guarda all'Europa. Il ruolo dell'Europa sarebbe quello di dare il buon esempio, di suggerire nobili idee, di educare alla democrazia, di illuminare al pluralismo e alla tolleranza, ma questo compito non è stato svolto, anzi è stato cancellato. L'Europa non ha la minima nozione di come si possa creare una strategia politica coordinata, se non unificata. L'unico obiettivo, per lo meno per i paesi rivieraschi mediterranei, è come evitare un'epica transumanza dalla sponda sud. Chi vuole evitare la caduta di Gheddafi dopo aver festeggiato la caduta di Mubarak dimostra di avere abbandonato ogni principio non solo di coerenza e moralità, ma anche di ingegnosità politica. Con grande imbarazzo abbiamo visto in altra occasione un presidente del Consiglio europeo baciare la mano di un tiranno nord-africano. Le stragi nelle piazze del mondo islamico non sono sufficienti a sollecitare interventi del Consiglio di Sicurezza dell'ONU, mentre con perfetta sincronizzazione di tempo nel medesimo Consiglio di Sicurezza il voto anti-israeliano dei paesi europei - Regno Unito, Francia, Germania, Portogallo - sembra un classico gesto di appeasement. La parola appeasement suscita commiserazione e ripugnanza. La crisi in Medio Oriente è anche e non meno crisi dell'Europa.SergioDella Pergola,Università Ebraicadi Gerusalemme, http://www.moked.it/

giovedì 24 febbraio 2011


Il massacro di Gheddafi, l’ignominia dell’Onu, la viltà del mondo

Se ne discute in Israele: recenti commenti sulla stampa israeliana
Scrive YISRAEL HAYOM: «Anche nel momento in cui il suo regime si disintegra, Muammar Gheddafi rimane fedele al suo corso. Esattamente come Hitler che nei giorni della fine, chiuso nel suo bunker, non esitò a sacrificare fino all’ultimo i suoi connazionali in nome della sua sopravvivenza, anche Gheddafi, nel suo violento discorso di martedì sera, ha invocato una devastante guerra civile.»(Da: Yisrael Hayom, 23.2.11)Scrive Smadar Peri, su YNETNEWS: «Che venga fermato immediatamente, con tutta la forza, prima che sia troppo tardi. Il mondo civile deve perseguire e arrestare Gheddafi e processarlo per genocidio a sangue freddo. Quel che si meritò Saddam Hussein, che aveva ucciso migliaia di iracheni, si merita anche il “colonnello” Gheddafi. Non c’è giustificazione né perdono per un uomo che ha arruolato mercenari a suon di migliaia di dollari al giorno perché uccidano i suoi stessi cittadini, che ha ordinato alle forze aeree libiche di bombardare manifestanti disperati, frustrati e senza lavoro. Il silenzio del mondo davanti a questo massacro fa orrore. Tutti hanno visto le immagini terribili, eppure ci sono voluti quattro giorni prima che i leader del mondo si dicessero “scioccati”, e ancora un altro giorno prima che si decidessero ad esprimere “condanna”.»«Non è la prima volta – continua Smadar Peri – che il pazzo di Tripoli semina terrore a livello globale minacciando di fermare le forniture di petrolio. E non è la prima volta che fa assassinare degli sventurati senza pensarci due volte. Ma questa volta ha superato ogni limite. Ecco un leader che definisce “cani” e “ratti” i disgraziati del suo paese, che manda i propri figli a minacciare in tv che il bagno di sangue peggiore deve ancora arrivare, che giura “piangerete centomila morti”. Credetegli: dice sul serio. E il mondo civile? Uno spaventoso silenzio. Se ne sta fermo senza che nessuno si levi per fermare questa follia. Il mondo legge i rapporti e si perde in patetiche congetture su come navigare passare senza danno attraverso la terribile tragedia che si consuma alla luce del sole, e di notte. Si dia ascolto ai poveri libici che su al-Jazeera invocano il mondo di “venire a salvarci; si dia ascolto ai due piloti che si sono rifiutati di obbedire all’ordine di massacrare e sono fuggiti a Malta. La si smetta di leggere i rapporti dei servizi di intelligence e si ascoltino le testimonianze, si guardino i corpi che giacciono per le strade senza che nessuno possa raccoglierli.» Conclude l’editoriale: «Non occorre convocare riunioni d’emergenza per informare le telecamere che ci si schiera a fianco del popolo libico. Se si è davvero al suo fianco, si ponga rapidamente fine al massacro e non si lasci via si scampo a Gheddafi: che abbia quel che si merita”.(Da: YnetNews, 23.2.11)Scrive YEDIOT AHARONOT: «Nel corso degli anni l’occidente ha smerciato l’idea che la pace fosse un ponte fra civiltà. Egitto e Giordania dovevano esserne la dimostrazione. E invece la pace non è diventata un ponte, ma soltanto una questione di interesse. Così, mentre i leader facevano la pace, Israele continuava ad essere il bersaglio prediletto della rabbia delle masse.» Secondo l’editoriale, per tutto quel periodo «in Israele le cose sono state fatte sulla base dell’idea che fossimo alla vigilia di un nuovo Medio Oriente, o di un’apertura nella barriera fra civiltà.» Ma il fatto che lo sceicco estremista Yusuf Qardawi abbia arringato due milioni di persone, la settimana scorsa al Cairo, declamando in modo forte e chiaro contro Israele contraddice tutto questo. L’editoriale ammonisce che «in questo frangente l’Egitto, già storico pilastro della pace, non è solo: processi di estremizzazione stanno interessando anche la Giordania e le piazze palestinesi. Ma nonostante tutto ciò, c’è ancora chi dice che questo sarebbe il momento giusto perché Israele faccia concessioni in nome della pace.»(Da: Yediot Aharonot, 22.2.11)Anche YISRAEL HAYOM mette in guardia contro «gli entusiasmi alla Tom Friedman, secondo il quale il Medio Oriente sarebbe investito da una tempesta liberale». Israele, afferma l’editoriale, «si trova ad affrontare sfide cruciali per la sua stessa esistenza: la realtà che abbiamo conosciuto negli ultimi vent’anni si sta sgretolando, l’egemonia americana in Medio Oriente si indebolisce e viene compromesso l’equilibrio di forze che finora ha contenuto l’Iran. Noi israeliani non possiamo permetterci il lusso di non vedere la realtà per quello che è.»(Da: Yisrael Hayom, 22.2.11)Il JERUSALEM POST, dopo aver ricordato che nel maggio 2010 le Nazioni Unite permisero la nomina della Libia a membro del Consiglio per i Diritti Umani nonostante il suo spaventoso curriculum in fatto di diritti umani, scrive: «Forse, se si fosse esercitato un minimo di pressione su Gheddafi quando poteva ancora essere disposto ad ascoltare, oggi i cittadini libici non verrebbero ammazzati a mitragliate per le strade dal regime del “cane pazzo”. O perlomeno le Nazioni Unite avrebbero conservato un minimo di legittimità morale.» E aggiunge: «Sebbene gli Stati Uniti non godano più nella regione del grado di influenza che avevano un tempo, prima l’invasione dell’Iraq, tuttavia l’amministrazione Obama all’Onu potrebbe passare dalla strategia difensiva che si limita a giocare di rimessa opponendo il veto alle tante risoluzioni unilateralmente anti-israeliane, ad un approccio più aggressivo, insieme ad altre democrazie, puntando il dito contro paesi come la Libia, nel quadro di una concertata campagna che li svergogni.»(Da: Jerusalem Post, 22.2.11) http://www.israele.net/


Gerusalemme

Enerpoint acquista l'israeliana Friendly Energy Ltd.

Mercoledì 23 Febbraio 2011 http://www.focusmo.it/
Enerpoint SpA, azienda italiana costruttrice di pannelli fotovoltaici, ha acquistato l’israeliana Friendly Energy Ltd., che diventerà Enerpoint Israel Ltd.Il prezzo della transizione non è stato dichiarato ufficialmente, ma indiscrezioni di stampa locale parlano di 15-20 milioni di shekel, pari a circa 3-4 milioni di euro. Attualmente, la Friendly Energy ha ordini arretrati per istallare 70 impianti fotovoltaici su costruzioni commerciali e residenziali in varie parti d’Israele: commissioni per un valore complessivo equivalente a 9 milioni di euro, che finiranno nelle casse della società italiana. Paolo Rocco Viscontini, presidente e fondatore della Enerpoint, ha commentato oggi: «Abbiamo esaminato il mercato israeliano per 18 mesi, e consideriamo la collaborazione con la Friendly Energy un’opportunità per combinare forze e capacità, così da diventare leader nel Paese. Abbiamo tutte le carte in regola per riuscirci». Enerpoint possiede già diversi impianti in Europa; lo scorso hanno ha registrato entrate pari a 250 milioni di euro e il totale degli ordini ricevuti finora per il 2011 è di 50 milioni di euro.