sabato 12 giugno 2010


Ancora Nabucco a Masada

Il ruolo degli ebrei

Dopo la Shoah, in seguito al dibattito infinito prodotto dalla creazione dello Stato d’Israele nel 1948 e da tutto ciò che ne è conseguito, l’ebreo, soprattutto nella diaspora, ha trovato assai difficile definire il proprio ruolo nel mondo. Il suo ruolo è stato rimesso in discussione dalla società e dalla storia. Il suo spirito cosmopolita è stato contestato e l’ebreo si è spesso sentito tirare per la giacca da chi, diffidando della sua fedeltà di suddito di una sola nazione, gli chiedeva reiteratamente di prendere posizione, di giustificarsi. Di giustificare la sua caparbia memoria antica, da un lato, e la divisione dei suoi affetti presenti, dall’altro. In questa crisi di identità, una parte non minore l’hanno sempre giocata i mille diversi modi in cui l’ebreo sceglie di vivere il suo ebraismo. Un popolo che appare all’esterno compatto e unito vive la propria identità nel più variegato e frammentato dei modi, religioso o laico, sionista o antisionista, religioso-sionista, religioso ma non sionista, sionista ma non religioso, e così di seguito, in una serie infinita di variabili.A questo punto, sospettare che l’ebreo abbia tutto il diritto di chiedersi: chi sono e che cosa significa essere ebreo? non sembra uno scandalo, e non dovrebbe sorprendere nessuno. Ma l’ebreo è dotato di tanto spirito critico da ritrovarsi spesso in disaccordo anche con se stesso, soprattutto sulla definizione da dare al suo essere ebreo. Per sfuggire alla crisi, a cui peraltro dovrebbe essere da tempo abituato, non resta all’ebreo che porsi non tanto il problema dell’identità quanto quello del suo scopo nella vita e del suo ruolo nella società moderna. La risposta alla domanda o, nella migliore tradizione ebraica, una vasta scelta di risposte, la possiamo trovare in un recente servizio della rivista americana Moment, che pone la domanda a 70 personaggi di spicco dell’ebraismo americano.Come l’irriverente regista e attore Mel Brooks, all’anagrafe Melvin Kaminsky, che racconta di come dovette cambiare il suo nome per non essere discriminato dall’establishment culturale dell’epoca. Il mestiere del comico, secondo il regista, è connaturato al destino degli ebrei: “Forse perché gli ebrei - dice Brooks - hanno sofferto e pianto per così tanto tempo che è per loro giunto il tempo di ridere”. Detto questo, Brooks snocciola una delle sue prime battute, ideata quando ancora era un artista in erba, non proprio una delle migliori ammette: ”You can’t keep Jews in jail, they eat lox.” “Non puoi tenere gli ebrei in gabbia, perché mangiano salmone” (con un gioco di parole tra “lox”, filetto di salmone e “locks”, serrature). Cosa possano offrire gli ebrei al mondo? A detta di Brooks, in primis ciò che è stato tramandato da Mosè e da Maimonide: “Possiamo offrire un vasta gamma di leggi che regolano il comportamento umano. Siamo stati il primo popolo a creare quella cosa definita legge, a distinguere tra ciò che è giusto e ciò che è sbagliato secondo i principi della Torah. Se poi volessero qualcosa di più gustoso, possiamo comunque offrire dell’ottima matzo brei (pane azzimo fritto insieme a uova)”.L’ebraismo può avere inoltre un ruolo fondamentale nella promozione e nella difesa dei diritti umani, come spiega Elie Wiesel, scrittore, premio Nobel per la pace nel 1986 e cofondatore di Moment magazine.Per Wiesel gli ebrei devono aiutare il mondo a comprendere che quando a una comunità di persone vengono negati i diritti, ne rimaniamo colpiti tutti: “Come ebrei dobbiamo prestare soccorso a coloro che ne hanno bisogno, ovunque essi siano. Dobbiamo comprendere le loro necessità, le loro paure, le loro gioie, e attraverso queste trovare noi stessi. Questa è una missione essenziale per noi ebrei, perché è quello che facciamo da quando siamo diventati un popolo. Sì, Dio ha donato la Torah agli ebrei, ma in un certo senso essa è un dono per tutti.”Il Rabbino Shmuley Boteach, autore del libro di successo Kosher sex, è decisamente più pragmatico: “Il nostro errore più grande è credere che l’ebraismo sia solo per gli ebrei. Mentre il cristianesimo e l’Islam si concentrano sulle questioni macrocosmiche: dove andrò quando morirò? com’è il paradiso? come posso essere salvato?, l’ebraismo si concentra sulle questioni microcosmiche: come posso imparare a non fare maldicenza? come posso creare una famiglia stabile ed evitare il divorzio? Noi ebrei siamo riusciti a definire alcune problematiche con cui la società moderna non è ancora riuscita a confrontarsi. Come creare un matrimonio appassionato. Come crescere e ispirare i figli. Dovremmo condividere ciò che abbiamo imparato con il resto del mondo.”Anche riguardo alle riflessioni etiche, Michael Broyde, rabbino e professore di legge alla Emory University, ritiene che gli ebrei possano fare molto: “Nella tradizione ebraica non si parla mai di bianco e nero, piuttosto di infinite sfumature di grigio, qualcosa può essere permesso, ma poco consigliato, disapprovato, ma non proibito”. Anche la bioetica è fatta di infinite sfumature e l’ebraismo negli Stati Uniti ha esercitato una forte influenza in questo ambito: “In contrasto con i paletti posti dalla chiesa cattolica - spiega Broyde - tutte le maggiori correnti dell’ebraismo si sono schierate a favore della ricerca sulle cellule staminali utilizzate in campo medico con scopi terapeutici. Come ebrei dobbiamo continuare a offrire al mondo, risposte ragionevoli a problemi, seppur complessi, che investono la sfera etica e che ci coinvolgono tutti”. Ma come discutere tali problematiche? Per Adam Berger, Amministratore delegato della Spark Networks, compagnia che possiede il celeberrimo sito di incontri Jdate, nel mondo ebraico le scelte vengono sempre fatte in seguito a un serrato confronto: “Le decisioni – afferma Berger –, che siano quelle della Knesset in Israele o di un’organizzazione caritatevole negli Stati Uniti, vengono prese solo dopo un’accesa discussione, ascoltando e valutando tutte i diversi pareri. Se ci fossero state più persone con il coraggio di mettere in discussione ciò che veniva prospettato dalla repubblica di Weimar in Germania, la storia sarebbe stata diversa. Noi offriamo al mondo il modello di una comunità in cui ogni membro ha la possibilità di intervenire in un dibattito e di fornire il proprio contributo alla discussione. Una vera e propria famiglia che non solo tollera le diverse opinioni, ma che ne apprezza le varie sfumature”. E in definitiva gli ebrei sono questo. Come in una famiglia, si è spesso in disaccordo. Si discute di frequente e si tende a essere ipercritici gli uni verso gli altri. Ma state pur certi che, quando qualcuno al di fuori della famiglia critica ingiustamente un membro o l’intero nucleo familiare, si è sempre pronti a schierarsi in difesa di chi è stato colpito.Michael Calimani, http://www.moked.it/


Ancora Nabucco

Una delle domande più frequenti dei nostri studenti, durante le lezioni di storia ebraica, è: ma perché ce l’hanno sempre con gli ebrei? Talvolta la stessa questione viene anche posta in termini affermativi - tanto ce l’hanno con noi da sempre! - considerando l’odio verso gli ebrei un dato quasi connaturato o una verità lapalissiana che non merita quindi ulteriori approfondimenti. Circola in rete un documento che affronta il tema in termini molto pragmatici ed efficaci già a partire dal titolo: “The big six: causes or merely excuses?” In esso si ipotizza che esistano sei teorie definite dagli storici (economica, popolo eletto, capro espiatorio, deicidio, diversità/outsiders, teoria razziale) alla base di tanta avversione. Ma si tratta di cause o di scuse? Dall’analisi articolata e puntuale di ciascuna emerge che sono scuse ma l’obiettivo esplicito dell’attività educativa è un altro: più che domandarsi lacrimevolmente “perché a noi?” è necessario sapere scegliere perché continuare ad essere ebrei. Conoscere e saper rispondere agli altri esprimendo però identità forti e non riflesse. Sonia Brunetti Luzzati,pedagogista, http://www.moked.it/


Ancora Nabucco

L’ebraismo e la modernità

Penso - e certo non sono il solo - che la questione del rapporto tra ebraismo e cristianesimo sia essenziale per la storia delle idee: anche se non mi piace chi brandisce l’Occidente come arma ideologica so bene che c’è, eccome, una storia dell’Occidente con percorsi e snodi tutti suoi, tra i quali si colloca anche - in posizione abbastanza centrale - il rapporto tra le due religioni. Tra quanti se ne occupano si manifesta una seria divergenza di opinioni: da una parte si schierano coloro i quali ritengono che tra ebraismo e cristianesimo vi sia un solido trait d’union fondato sulla comune matrice biblica, così che si possa senz’altro parlare di una vera e propria tradizione giudaico-cristiana; dall’altra quanti, come me, nicchiano, e pensano invece che le due fedi abbiano, sul piano storico come su quello ideale, caratteri tali di diversità da non consentire un rapporto che non sia di buon vicinato, o di correttezza istituzionale. Non vi è dubbio che il mondo cristiano - forse per retaggio di un duro antisemitismo pagano, fomentato anche da imperatori che hanno pur lasciato un buon nome di sé, tipo Vespasiano o Traiano (vedi: Martin Goodman, Roma e Gerusalemme, Laterza ed.) - ha presto tenuto a distinguersi e via via anche ad assumere un atteggiamento ostile nei confronti dei figli di David. Proprio ieri il cardinal Walter Kasper, autorevole collaboratore di Benedetto XVI, ha ricordato come “secoli di teologia cristiana anti-giudaica hanno contribuito alla Shoah favorendo lo sviluppo di un’avversione generalizzata agli ebrei che ha impedito alla resistenza dei cristiani verso l’antisemitismo razziale e ideologico del nazismo di raggiungere la dimensione e la chiarezza che si sarebbero potuti attendere”. Kasper avverte che la revisione di quell’atteggiamento ostile è giunta tardi, avendo “come tornante decisivo” addirittura il Vaticano II. D’altra parte il mondo ebraico fu sempre restio a farsi integrare e a perdere la propria identità, adattandosi alle imposizioni ma resistendo nelle sue fondamentali strutture religiose, culturali, linguistiche e comunque identitarie. Dove mi pare che la divergenza si approfondisca in modo irrecuperabile è nel rapporto che il mondo ebraico ebbe con la modernità, fin dal momento della sua costituzione ed affermazione: un rapporto assai diverso da quello della chiesa cattolica. Quale che sia il giudizio che si deve dare alla famosa iniziativa di Napoleone di convocare nel 1806 un sinedrio per regolare (o regolamentare?) il rapporto con gli ebrei francesi e italiani, la modernità seguita alla rivoluzione francese e all’illuminismo nasce avendo tra le sue fasce la stella di David. Un secolo dopo, a cavallo tra ottocento e novecento, assistiamo alla formidabile esplosione dell’intellettualità austriaca, negli anni in cui Vienna supera Parigi quanto a contributi alla formazione del paradigma della modernità. Bene, quel magico momento fu segnato da cervelli, menti, cuori di una borghesia ebraica sciolta dai ceppi dei ghetti e magari dei pogrom e libera di esprimere quella cultura che essa sempre privilegiava tra le attività degne dell’uomo. E va riconosciuto che i “viennesi” Freud e Schoenberg, forse più che il prussiano Nietzsche, hanno seminato e coltivato il fiore del nichilismo europeo. Lontano da Vienna, i Marx, Einstein o Wittgenstein, tutti di ceppo ebraico - ma potremmo elencare una infinità di altri nomi - ampliano a dismisura il portato ebraico alla formazione del mondo di oggi. Sarebbe interessante analizzare quanto debbano agli ebrei i concetti stessi di laicità e magari di laicismo, muovendo dalla Francia del capitano Dreyfus e dei vari Ferry e Combes. A me non piace la polemica virulenta contro la chiesa “reazionaria”. Sicuramente la chiesa fu, negli ultimi due secoli, “reazionaria” ma - credo si debba riconoscere - nel senso che reagì a una modernità che si allontanava da lei respingendola ai margini della storia e tentò di contrapporle una visione dello sviluppo sociale e culturale diversa, nella quale anche la chiesa avesse il suo posto. Ci fu il “Sillabo”, però il laicato cattolico della seconda metà del XIX secolo diede un contributo positivo alla crescita della società europea: oltre ai movimenti sociali che in Italia affiancarono dialetticamente quelli socialisti o comunque laici, va ricordato il Zentrum tedesco, nato per combattere il Kulturkampf di Bismarck ma sostenitore di Weimar contro il nascente nazismo. Concludendo: da una parte si ha una chiesa, un cattolicesimo, che elabora una sua risposta, modulata in modi e forme complesse, non sempre banalmente “reazionarie” ma certo in contrasto con la modernità avanzante, dall’altra una “intellighenzia” ebraica tesa alla definizione della modernità laica e del modernismo. Sono solo spunti approssimativi (e di questo mi scuso) ma forse non del tutto sballati e magari degni di approfondimento.da “Il Foglio”giovedì 10 giugno, di Angiolo Bandinelli


Ancora Nabucco

Grave che il gay pride di Madrid vieti la partecipazione del carro di associazioni lgbt israeliane da sempre impegnate per il superamento delle diseguaglianze e che danno protezione ai ragazzi palestinesi gay

8 giugno 2010 http://www.radicali.it/
Dichiarazione di Sergio Rovasio, Segretario Associazione Radicale Certi Diritti e Ugo Millul rappresentante di Certi Diritti in Spagna:
Antonio Poveda, Presidente della Federación Española de Lesbianas, Gays, Transexuales y Bisexuales (FELGTB), dà una duplice spiegazione al divieto di partecipazione delle associazioni israeliane che si occupano della difesa dei diritti delle persone LGBTQ "Come associazione che difende i Diritti Umani abbiamo l'obbligo di difendere i diritti di tutti, incluso quelli degli attivisti che accompagnavano la Flotilla con aiuti umanitari attaccata da Israele." Visto che il viaggio in Spagna delle associazioni israeliane era finanziato dal municipio di Tel Aviv e che: "non era conveniente che una istituzione che non ha condannato l'attacco possa partecipare". Sembra quindi naturale evincere che l'invito di partecipazione delle associazioni israeliane (e apolitiche) sia da annullare, e poi aggiunge la tra le motivazioni vi sono imprecisate problematiche relative alla sicurezza causate dalla condanna internazionale del Governo israeliano e dalle manifestazioni degli ultimi giorni.La vicenda è molto seria e rattrista che una manifestazione quale il Gay Pride di Madrid emetta un NIET sovietico alla partecipazione di associazioni che nulla hanno a che fare con le decisioni, giuste o sbagliate che siano, di un Governo. Consigliamo vivamente ad Antonio Poveda di recarsi in Israele, magari in occasione del Pride locale e informarsi dell'attività delle associazioni escluse dal Pride spagnolo, avrebbe occasione di ricredersi sull'operato e sull'ideologia di queste associazioni, a cominciare dall’eroico lavoro di Aguda di Tel Aviv che aiuta anche clandestinamente i ragazzi gay palestinesi.Cosa accadrebbe se una delle associazioni gay italiane fosse stata ufficialmente invitata e poi fosse venuto meno l’invito dagli organizzatori per un’azione del Governo di Berlusconi non condivisibile?


Nabucco a Masada

Politici e banchieri per il libro di Gheddafi

da Corriere della Sera del 11 giugno 2010, di Maurizio Caprara
Chi avesse avuto voglia di misurare l’attuale grado di influenza di Muammar el Gheddafi in Italia sarebbe dovuto passare ieri a Palazzo Giustiniani. Per la presentazione di un libro sul viaggio compiuto un anno fa a Roma dal Colonnello - la sua prima visita ufficiale da quando prese il potere in Libia con un colpo di Stato nel 1969 - si è radunato uno schieramento trasversale di maggioranza, opposizione, uomini d’affari, diplomatici. Una di quelle reti variegate che nella Prima Repubblica in due sono stati specialisti nell’intrecciare: Giulio Andreotti e Marco Pannella. Nel caso specifico, l’artefice era stato il primo. Ma l’intelaiatura di rapporti italo-libici consolidata in decenni dal senatore che è stato sette volte presidente del Consiglio per la Democrazia cristiana si è aggiornata con nuovi ingressi. Arduo, ieri, distinguere quanto si dovesse ad Andreotti e quanto a Gheddafi e al suo ambasciatore a Roma Abdulhafed Gaddur. Da direttore della rivista 3ogiorni, il senatore a vita ha fatto stampare i discorsi pronunciati durante la visita dal Colonnello. Dà un’idea del libro, Il viaggio del Leader. Muammar Gheddafi in Italia, una frase dell’intervento che il nemico di Ronald Reagan pronunciò un anno fa proprio a Palazzo Giustiniani: «Nessuno ai tempi dell’assassino Mussolini o di Balbo, avrebbe immaginato che la Libia sarebbe diventata una nazione forte, con risorse come il gas naturale o il petrolio, che l’Italia un giorno avrebbe avuto bisogno della Libia per queste...». Così ieri sul palco c’era un cast di rilievo. Un ministro degli Esteri, Franco Frattini. Due ex presidenti del Consiglio dei quali oggi uno nella maggioranza e uno all’opposizione, Lamberto Dini e Massimo D’Alema. L’amministratore delegato di una grande banca, Alessandro Profumo di Unicredit. Il presiedente della commissione parlamentare Antimafia, Giuseppe Pisanu. Di fronte, in platea, imprenditori delle costruzioni, da Salvatore Ligresti a membri delle famiglie Astaldi e Bonatti. Un veterano del giornalismo comunista, Valentino Parlato. Un veterano del craxismo, Massimo Pini. Senza protestare per la chiusura della sede di Tripoli dell’agenzia dell’Onu per i rifugiati, Frattini ha definito l’Unhcr a lungo «tollerata» benché «al di fuori della legislazione libica». Si è augurato collaborazione. Dini ha difeso il trattato di amicizia italo-libico firmato da Silvio Berlusconi e Gheddafi dall’accusa di confliggere con l’Alleanza atlantica perché prevede un patto di non aggressione. D’Alema, in Parlamento presiedente del comitato sui servizi segreti, ha ricordato che il Colonnello mise in guardia da Osama Bin Laden prima del 2001 («Mi disse: "Gli americani stanno finanziando un personaggio e gruppi che rappresentano un pericolo non solo per il mondo islamico"») e fornito un’analisi materialista delle relazioni italo-libiche: «Le opportunità per le nostre imprese sono un capitolo non secondario nel rapporto di amicizia». Profumo, che ha la Banca centrale libica tra gli azionisti, ha giudicato i fondi sovrani di Tripoli «fonte di stabilità per le nostre aziende». Gaddur aveva ricordato che la Libia in 15 anni vuol portare al 65% l’attuale 27% non petrolifero del prodotto interno lordo. Poi è andato a colloquio da Berlusconi. Che forse individua in lui il suo ideale di ambasciatore-manager..


Israele e i simboli complicati della storia

di Gad Lerner “Vanity Fair” 9 giugno 2010
La simbologia della terra e del mare in Israele è fortissima. Dagli albergoni sul Mar Morto, attraverso il panorama spettrale di Sodoma e Gomorra ci hanno trasportati in pullman fino a ridosso della fortezza di Masada, dove l’ultimo contingente ebraico che resisteva alla colonizzazione romana scelse il suicidio collettivo piuttosto che arrendersi, quattro anni dopo la distruzione del secondo Tempio di Gerusalemme a opera dell’imperatore Tito (70 dopo Cristo). E pazienza se il vento caldo del deserto di Giudea interferiva nei microfoni: era magico assistere lì, in mezzo al nulla, al Nabucco di Giuseppe Verdi, cioè la storia degli ebrei trascinati in cattività a Babilonia quasi 6 secoli prima di Masada, dopo che re Nabuccodonosor aveva distrutto il primo Tempio.Non mi era mai capitato che il direttore d’orchestra concedesse il tris. Dopo avere ripetuto una seconda volta il “Va pensiero sull’ali dorate”, sommerso da applausi emozionati, Daniel Oren ha interrotto l’esecuzione: “Per favore non applaudite fino all’ultima voce in discendendo, che è la più bella. Come per voi è magico anche per me condividere la musica in questo luogo santo. Partecipate al coro, e pazienza se non conoscete tutte le parole”.Così abbiamo cantato in seimila il “Va pensiero”, una terza volta, immedesimandoci negli ebrei che piangevano la perduta Gerusalemme. Tra effettacci scenici che trasformavano il deserto con l’acqua ed il fuoco. All’uscita, prima di reimbarcarci sui pullman, venivano offerti dei provvidenziali ghiaccioli al limone per reidratarsi. Ma siccome non si scherza con l’acqua ed il fuoco, con la terra ed il mare, la forza dei simboli ci costringerà a ricordare il Nabucco di Masada quale colonna sonora della tragedia consumatasi pochi giorni prima al largo di Gaza.Sapevo di suscitare la reazione insofferente di molti ebrei parlando di un Exodus rovesciato, dopo l’arrembaggio cruento e dilettantesco della marina israeliana alla nave turca “Mavi Marmara”. Ma era la mia sofferenza. Chi vive immerso nella simbologia, fino a trasformare quasi la memoria della Shoah in una religione civile, difficilmente sfuggirà a una tale nemesi. So bene che le navi armate da diverse ong internazionali per violare l’embargo della striscia di Gaza, congegnato assieme da Israele e Egitto, non solo lontanamente paragonabili all’Exodus che nel 1947 tentò invano di entrare nel porto di Haifa con a bordo 4500 soperstiti dei lager.. Le cacciatorpediniere britanniche speronarono l’Exodus, costringendolo a ripiegare su Cipro. Tutta un’altra storia? Certo.Saltiamo disinvoltamente fra il mito e la realtà, fra i secoli e i millenni, dalla Babilonia del 580 avanti Cristo, alla Masada del 74 dopo Cristo, fino al 1947 dopo Cristo. E rimaniamo feriti dalla nostra medesima disinvoltura. Chi trova nella Bibbia, e poi nel trattamento subito dagli ebrei dispersi per duemila anni nell’esilio, la legittimazione del loro miracoloso ricongiungersi come popolo d’Israele, sa bene quale grande responsabilità morale ciò assegni.I governanti e i militari israeliani che si macchiano di azioni disonorevoli non commettono dunque solo un errore politico disastroso, come dimostra la rottura della partnership con la Turchia. Essi macchiano la storia di quello che fu un nazionalismo mite, eppure grandioso e duraturo, così come lo abbiamo cantato tutti in coro, con le lacrime agli occhi, a Masada.

venerdì 11 giugno 2010


Foto-trappola per Israele

Il coltello dei pacifisti scompare di colpo dall'immagine Reuters. Ma gli "errori tecnici" dell'agenzia di stampa condizionano il giudizio dell'opinione pubblica.
La storia è questa: il quotidiano turco Hurryet pubblica una foto del recente blitz israeliano sulla nave diretta a Gaza nel quale sono morti 9 attivisti islamici; in questa foto alcuni «pacifisti» sono armati di coltello e circondano un militare israeliano ferito. La foto viene rilanciata nei circuiti internazionali dall'agenzia Reuters, ma con un piccolo accorgimento: viene tagliato il bordo destro così da far sparire la mano pacifista con coltello annesso. In questo modo la versione ufficiale israeliana, secondo cui i soldati avrebbero aperto il fuoco solo dopo l'aggressione armata degli occupanti, viene smentita e viene avvalorata l'idea che sulla nave diretta a Gaza vi fossero solo pacifisti inermi, colorati arcobaleni e hippie stile «love not war». La Reuters ha respinto ogni addebito, affermando che si è trattato solo di un errore tecnico. Noi non abbiamo motivo di dubitarne, se non fosse che in rete, alcuni blogger americani, hanno rintracciato una seconda foto della Reuters che ha subìto lo stesso errore tecnico. Il problema è che non è la prima volta che la più importante agenzia giornalistica del mondo incappa nell'errore tecnico della manipolazione. E guarda caso, sempre ai danni di Israele.Nel luglio 2006, all'epoca della guerra in Libano, fecero scandalo le foto taroccate della Reuters, scattate dal fotografo libanese Adnan Haji. All'indomani dell'abbattimento di un edificio in un quartiere di Beirut, sede di una postazione Hezbollah, la Reuters pubblicò la foto che ritraeva l'intero quartiere di Beirut in fiamme, smentendo la versione israeliana dell'intervento chirurgico su un unico edificio covo di terroristi. Tra un edificio abbattuto e un intero quartiere bombardato la differenza indubbiamente è tanta. Fu Little Green Football, curioso nome di un blogger conservatore americano (lo stesso che ha pubblicato le due foto della nave turca), a svelare l'arcano. La foto che il reporter libanese aveva realizzato era stata taroccata con un programma grafico, ampliando la colorazione del fumo per far credere che il bombardamento fosse stato indiscriminato su obiettivi civili. Risultato, la Reuters fu costretta a licenziare il fotografo e solo in seguito si scoprì che moltissime altre foto del reporter, che l'agenzia aveva venduto ai giornali occidentali, erano state falsificate o modificate per costruire un'immagine criminale di Israele. Nelle stesse settimane il New York Times pubblicò un'immagine che fece il giro del mondo.Dopo il bombardamento di Tiro ad opera dell'aviazione israeliana, le autorità di Tel Aviv avevano specificato che non vi erano stato morti ma solo la distruzione di obiettivi logistici. Eppure il prestigioso quotidiano diffuse l'immagine di un cadavere estratto dalle macerie in braccio ad un soccorritore, come fosse la Pietà di Michelangelo. Peccato che quella foto fosse parte di una sequenza di 5 foto visibili solo nella versione online del giornale, in cui il presunto morto compariva vivo e vegeto zampettando tra una maceria e l'altra. Era l'aiutante del fotografo americano in una scena costruita a tavolino. Dopo 10 giorni dalla pubblicazione delle foto, smascherato il trucco (grazie a dei blogger americani e italiani che rimbalzarono l'imbroglio sulla rete) il New York Times fu costretto a pubbliche scuse. Gli episodi raccontati, solo una parte di quelli che si potrebbero raccontare, obbligano ad alcune riflessioni. La prima è di tipo politico e riguarda Israele, l'unica democrazia mediorientale costretta a difendersi non solo dal terrorismo e dall'integralismo che vogliono annientarla, ma anche da quei media occidentali che spesso sono i principali alleati dei suoi nemici. Paradosso di una informazione democratica che sceglie di combattere una democrazia con le armi della disinformazione. La seconda considerazione riguarda il ruolo dei media nella narrazione dei conflitti e dei fenomeni globali, nella definizione dei limiti della verità e di ciò che chiamiamo diritto di cronaca.Nella moderna società dell'informazione, le immagini hanno il sopravvento rispetto alla comunicazione scritta e quindi la manipolazione di una foto o di un video falsifica la realtà e il senso di essa molto più efficacemente di qualsiasi articolo scritto e opinabile nei suoi contenuti. Un articolo è la visione di chi scrive. Una foto pretende di essere la realtà. La parola esprime un pensiero per forza parziale. L'immagine racchiude la totalità di un fatto. Ad una foto noi tendiamo a riconoscere una oggettività che non siamo abituati a dare ad un testo scritto. Per questo falsificare una foto è molto più grave che scrivere una falsità. Ogni volta che emerge uno scandalo relativo alla manipolazione dell'informazione da parte di chi ne dovrebbe essere il garante, e cioè i media stessi, viene messa in discussione il valore di una democrazia. La responsabilità sociale dei media è oggi il problema della libertà. Nell'epoca della grande rete interattiva globale che garantisce il libero accesso alla conoscenza, il tema del nostro tempo non è una impossibile limitazione di ciò che circola (paura novecentesca utile a stupide battaglie strumentali) ma il fondamento di verità di ciò che viene reso fruibile. Oggi il vero problema non è la libertà di informazione, ma la verità dell'informazione.Giampaolo Rossi 10/06/2010, http://iltempo.ilsole24ore.com/


Gerusalemme

ISRAELE, BLOCCO GAZA RESTERA' FINO A QUANDO NON VISITEREMO SHALIT

(ASCA-AFP) - Gerusalemme, 10 giu - Israele ha reso noto oggi che non abbandonera' il blocco della Striscia di Gaza fino a quando Hamas non concedera' alla Croce Rossa di visitare un soldato rapito nel 2006, ma il movimento islamico ha respinto la richiesta. Lo ha reso noto il ministro degli Esteri israeliano Avigdor Lieberman, dicendo che la ''condizione necessaria alla Croce Rossa per abbandonare il blocco e' visitare Gilad Shalit'', il militare 23enne detenuto in una localita' segreta a Gaza.''Fino a quando la richiesta non sara' esaudita, non c'e' ragione per cambiare la situazione'', ha aggiunto.Hamas, che ha respinto la richiesta, ha fatto sapere che rilascera' Shalit solo in cambio dei centinaia di palestinesi prigionieri in Israele, inclusi diversi leader politici e alti ufficiali militari responsabili di decine di attacchi mortali.Israele ed Egitto hanno imposto per primi la chiusura della frontiera con Gaza per la crescente preoccupazione per la sicurezza dopo l'arresto di Shalit e altri militanti nel giugno del 2006 da parte di Hamas.La tensione per il blocco imposto da Israele nell'enclave costiero della Striscia di Gaza e' salita nuovamente a seguito del sequestro di una flottiglia di aiuti per Gaza con l'uccisione di 9 attivisti turchi il 31 maggio scorso.


battesimi sul Giordano

Il passato è oggi: pareggio tra Italia-Israele

L'11 giugno 1970 finisce 0-0 l'ultima gara della prima fase in Messico
Nell'ultima partita del girone di qualificazione ai quarti di finale di Messico '70 l'Italia pareggia 0-0 conto Israele. E' il terzo impegno degli azzurri di Valcareggi dopo la vittoria contro la Svezia firmata Domenghini e il pareggio senza reti contro l'Uruguay. Basta non perdere per qualificarsi ma l'Italia gioca per il suo bomber Gigi Riva che deve trovare il suo primo gol mondiale. Nel secondo tempo le reti arrivano ma vengono annullate dall`arbitro Vieira de Moraes. L'incontro finisce 0-0 e l'Italia si qualifica ai quarti di finale dove affronterà il Messico. Nella partita contro i padroni di casa la nostra nazionale s'impone con un netto 4-1 e Riva segna una doppietta che la fa volare nella storica semifinale con la Germania. Redazione Datasport 11.06.2010


Abu Mazen ha incontrato rappresentanti comunità ebraica Usa

"Non negherò mai diritto degli ebrei a terra di Israele"
10 giu. (Apcom) - Il presidente palestinese Abu Mazen ha incontrato a Washington una trentina di leader della comunità ebraica Usa, in una tavola rotonda durata circa due ore, nel corso della quale ha detto che lui non negherà mai il diritto degli ebrei alla loro terra di Israele. Lo riporta il sito web del quotidiano israeliano Haaretz. Parlando poi all'emittente americano PBS, Abu Mazen ha detto che Israele deve comunque accettare di cedere Gerusalemme Est come capitale del futuro Stato palestinese. Si tratta - ha precisato - di una precondizione per qualsiasi accordo di pace. "Gerusalemme Est è un territorio occupato - ha detto il presidente palestinese -. Tutto il mondo lo riconosce, anche gli Stati Uniti, e non possiamo accetare una soluzione che escluda Gerusalemme Est". Abu Mazen è stato ricevuto ieri alla Casa Bianca dal presidente americano Barack Obama. Al termine dell'incontro Obama ha detto che la situazione nella Striscia di Gaza è "insostenibile" e che è necessario un nuovo approccio verso il territorio palestinese. Il presidente Usa ha anche annunciato lo stanziamento di altri 400 milioni di dollari in favore dei palestinesi, mentre Abu Mazen ha chiesto la revoca del blocco israeliano alla Striscia di Gaza.


Alain Elkann
«Tutti gli ebrei prendano la cittadinanza di Israele»

«Tutti gli ebrei dovrebbero essere cittadini israeliani». È questa la provocazione lanciata dallo scrittore Alain Elkann con un intervento «utopico» pubblicato da La règle du jeu, rivista on line legata al filosofo francese Bernard-Henri Lévy e con un comitato di redazione di primissimo piano in cui figurano Mario Vargas Llosa, Amos Oz e Claudio Magris.Secondo Elkann, nato a New York, cittadino italiano di origini ebraiche, la creazione dello Stato di Israele nel 1948 è un evento storico epocale con cui gli ebrei della Diaspora non hanno fatto i conti fino in fondo. «Se vogliamo che gli ebrei esistano e siano una presenza forte, dobbiamo innanzi tutto capire che esiste uno Stato israeliano, con Gerusalemme capitale. E che non esiste differenza fra “ebreo” e “israeliano”». Ma gli ebrei non sono perfettamente assimilati? «Certo - dice Elkann al Giornale - ma pensi agli ebrei europei prima del nazismo: erano ben assimilati, ma è bastato un folle come Hitler per scatenare la persecuzione e la tragedia di cui tutti abbiamo orribile memoria». E ancora oggi le istituzioni internazionali esitano davanti a chi vorrebbe cancellare Israele dalla cartina geografica.Gli ebrei ora sono popolo e hanno una nazione. Chi vive in Europa e nel resto del mondo dovrebbe assumere il doppio passaporto. «In cambio - spiega Elkann - dovrebbe anche partecipare attivamente, almeno per una parte della sua esistenza, alla vita di Israele. Gli ebrei potrebbero mandare i loro figli in quello Stato per un periodo di formazione, o anche a svolgere il servizio militare come fece, a esempio, Arrigo Levi. Non credo sarà una trasformazione immediata, ma la ritengo necessaria».La questione tocca anche l’ambito culturale. «Roth è un grande scrittore di lingua inglese. Kafka scrisse in tedesco. Italo Svevo in italiano. Ma sono tutti scrittori ebrei. Io credo che oggi gli ebrei dovrebbero almeno conoscere la loro lingua. Che è parlata e scritta in uno Stato». Questo non significa rifiutare la cultura in cui si è assimilati, né preparare le valigie per Gerusalemme. «Naturalmente, io rimango un figlio di New York, nato da un padre ebreo francese e da una madre ebrea italiana, e sono uno scrittore di lingua italiana. Rispetto profondamente la tradizione in cui sono cresciuto e in cui vivo. Ma sono anche orgoglioso dell’esistenza di Israele».Avere la doppia cittadinanza significa esprimere vicinanza a una democrazia continuamente minacciata. «E forse - aggiunge Elkann - permetterebbe a chi critica lecitamente la politica di Israele di capire meglio come stanno le cose. Quale Stato è perfetto? Così, anche se Israele a volte sbaglia, è un bene che esista. Bisogna essere coinvolti per giudicare senza le lenti dell’ideologia. Troppo comodo prendere le distanze restando seduti in salotto». 11 giugno 2010, http://www.ilgiornale.it/


Da Israele sì al piano inglese per alleggerire il blocco su Gaza

Londra, 09-06-2010,http://www.rainews24.rai.it/
Do ut des. La diplomazia britannica sarebbe al lavoro su una proposta per fare uscire Israele dal vicolo cieco in cui rischia di trovarsi dopo l'arrembaggio alla Navi Marmara. Si tratterebbe di uno scambio, secondo quanto rivela stamane il Daily Telegraph, tra l'accettazione da parte della comunità internazionale di un'inchiesta interna limitata, 'annacquata', sui fatti occorsi nella notte tra il 30 e il 31 maggio in acque internazionali e l'alleggerimento, da parte israeliana, del blocco terrestre e navale attorno alla Striscia di Gaza.Verso il sì ad osservatori internazionaliLe modalità dell'inchiesta interna, secondo la radio pubblica israeliana, sono oggetto di discussione del Consiglio di difesa israeliano riunitosi stamattina, e sarebbe al vaglio l'ipotesi di coinvolgere nella commissione giudica incaricata di svolgere le indagini due osservatori internazionali in rappresentanza di Stati Uniti e Unione Europea. Il premier Benjamin Netanyahu, il Ministro della Difesa Ehud Barak e il capo di stato maggiore Gaby Ashkenazi potrebbero essere interrogati dalla commissione. Barak stesso ha invece formalmente escluso che possano essere interrogati gli ufficiali della marina implicati nel blitz.Alcuni osservatori ritengono inoltre che il Consiglio di difesa del governo 'dedicherà attenzione' anche ad altre 'Flottiglie' di aiuti umanitari per Gaza, ancora in fase di organizzazione, concepite allo scopo di spezzare il blocco marinoA fine mese incontro Obama-NetanyahuA fine giugno, in una data ancora da fissare, dovrebbe avere luogo l'incontro del primo ministro israeliano con il Presidente Usa Barack Obama, cancellato dopo la sanguinosa azione delle forze armate dello stato ebraico contro la Freedom Flotilla. Prima di vedere Natanyahu, comunque, Obama inconterà a Washington il Presidente dell'Autorità Nazionale Palestinese Mahmoud Abbas, che lamenta lo stallo del negoziato di pace indiretto.


Masada

M.O./ Gates: Preoccupati per relazioni tra Turchia e Israele

"Speriamo che le relazioni tornino ad essere costruttive"
Roma, 9 giu. (Apcom) - Il segretario alla Difesa Usa, Robert Gates, si dice preoccupato per il deterioramento delle relazioni tra Turchia e Israele, fino a non molto tempo fa stretti alleati nella regione mediorientale. Secondo quanto riporta il sito web del Jerusalem Post, Gates parlando a Londra con i giornalisti ha detto: "Il deterioramento delle relazioni tra Turchia e Israele nell'ultimo anno è fonte di preoccupazione". "I due (paesi) avevano prima una rapporto costruttivo, che ha contribuito alla stabilità regionale; mi auguro che nel prossimo futuro questo tipo di rapporto costruttivo possa essere ripristinato", ha aggiunto Gates. I rapporti tra i due paesi sono entrati in crisi dopo l'offensiva israeliana di tre settimane nella Striscia di Gaza condotta all'inizio del 2009. Ulteriori momenti di tensione si sono registrati da allora, fino al blitz israeliano sulla nave turca Mavi Marmara diretta a Gaza, il 31 maggio scorso, che ha aperto una grave crisi bilaterale. Nel blitz sono rimasti uccisi nove turchi.


Acco

Israele aspetta da Usa via libera per commissione inchiesta

Gerusalemme, 9 giu. (Apcom) - Israele è in attesa di ricevere il via libera dagli Stati Uniti per la creazione di una commissione d'inchiesta israeliana sul blitz compiuto dalle sue forze di sicurezza contro la 'Freedom Flotilla" diretta a Gaza con un carico di aiuti umanitari. Secondo quanto riporta il sito web di Haaretz, il premier israeliano Benjamin Netanyahu ha confermato oggi che sono in corso consultazioni con gli Stati Uniti e altri attori internazionali per stabilire le modalità di svolgimento dell'inchiesta. Il premier, intervenuto a una conferenza organizzata dal quotidiano economico TheMarker (del gruppo Haaretz), ha assicurato che la commissione indagherà sia sull'operato dei militari e del governo israeliano sia sul comportamento tenuto dagli attivisti a bordo della flottiglia. Voglio che sia fatta luce su tutta la verità", ha detto. "Così è importante includere le risposte a quelle domande che sono state finora ignorate da molti attori della comunità internazionale", ha detto. Il video del blitz diffuso dalla marina israeliana ha mostrato le immagini degli attivisti a bordo della Mavi Marmara, la nave battente bandiera turca che faceva parte della flottiglia, che aggrediscono con spranghe e altre armi i soldati israeliani scesi sull'imbarcazione per mezzo di corde dagli elicotteri. Israele ha accusato che è stata un'azione premeditata: "Dobbiamo scoprire chi sta dietro questo gruppo estremista - ha detto Netanyahu - chi ha finanziato i suoi membri, e come coltelli, asce e altre armi siano finite a bordo". Oggi il presidente degli Stati Uniti Barack Obama, al termine di un incontro alla Casa Bianca con il presidente palestinese Abu Mazen, ha espresso l'auspicio che Israele si conformi ai criteri stabiliti dal Consiglio di Sicurezza dell'Onu nell'inchiesta sul blitz. Gli Stati Uniti si sono comunque opposti allo svolgimento di una inchiesta internazionale.


Eilat - parco del gjiaccio

Rassegna stampa (cliccare sui titoli giornali x testo completo)

In una rassegna stampa tornata a dimensioni ragionevoli dopo la campagna mediatica sulla flottiglia, domina la notizia delle sanzioni approvate dal consiglio di sicurezza dell'Onu contro l'Iran (Guido Olimpo su Corriere, Mario Platero sul Sole e molti altri). Sembrerebbe una buona notizia, ma le controindicazioni sono parecchie. Prima di tutto c'è il voto contrario di Brasile e Turchia e l'astensione del Libano, tutti ex alleati americani, che indicano "nonostante Obama (o come alcuni pensano anche a causa sua) l'erosione del soft power americano". Poi c'è il fatto che si tratta di sanzioni leggere, nonostante quel che dice Clinton, sostanzialmente limitate alla sfera militare, e che però il regime potrà usare per imporre alla popolazione una "psicologia di stato d'assedio" (le citazioni vengono entrambe da un articolo di Vittorio Emanuele Parsi sulla Stampa, significativamente intitolato "Ancora una volta ha vinto Teheran"). Il risultato è che Ahmadinedjad ha definito "spazzatura" la decisione dell'Onu (Franco Venturini sul Corriere, Anna Guaita sul Messaggero) e ha promesso di andare avanti e che i turchi parlano di "occasione perduta" (Marta Ottaviani sulla Stampa). Interessante il commento del politologo David Ignatus, intervistato da Paolo Valentino sul Corriere, secondo cui l'Iran interebbe fermarsi "a un passo dalla costruzione della bomba" per provocare una revisione strategica senza suscitare troppe reazioni ostili. Peraltro la voce che gli ayatollah dispongano già oggi di un paio di bombe atomiche continua a circolare. Nel frattempo Obama, ricevendo Abu Mazen, ha definito "intollerabile" la situazione in Medio Oriente e gli ha staccato un assegno di 400 milioni di dollari (Paolo Valentino sul Corriere, Lee Bricchi su Avvenire). Numerosi giornali danno notizia della decisione israeliana di consentire l'importazione a Gaza di un certo numero di merci ritenute prima pericolose (Il Giornale, Antonio Spampinato su Libero. Fra le analisi, da leggere anche quella di Barry Rubin, intervistato da Antonio Picasso su Liberal, che richiama il pericolo di un ministato islamista sul Mediterraneo, come diventerebbe Gaza "libera" e spiega così l'atteggiamento egiziano. Per capire la complessita delle vicende politiche (o in questo caso, politico-criminali) del mondo arabo, è interessante l'articolo di Carlo Panella sul Foglio a proposito della catena di omicidi fra alti gradi militari e dei servizi segreti in Siria.Venendo alla cronaca italiana, c'è un piccolo giallo sul discorso del ministro Frattini in parlamento sugli incidenti della flottiglia. Sembra che certe dichiarazioni coraggiose che compaiono sul testo scritto, dove per esempio si afferma che i manifestanti avevano provocato consapevolmente gli incidenti, non siano state pronunciate effettivamente dal ministro e siano poi state smentite (Nigro su Repubblica Matteo Muzio sul Secolo XIX e altri giornali). Da notare la notizia del Corriere (a firma di Francesco Battistini) per cui il presidente della Comunità Ebraica di Roma, Riccardo Pacifici, ha fatto visita ai marinai israeliani feriti durante l'ispezione alla nave turca e li ha invitati a venire in convalescenza in Italia. Da leggere l'articolo di Toni Capuozzo sul Foglio, che ricostruisce di nuovo ma in maniera non banale la vicenda della flottiglia, chiedendosi per esempio che cosa ci facevano 800 attivisti sulle navi, se lo scopo era di portare solo dei rifornimenti a Gaza?Un tema che inizia a venir fuori nella riflessione è quello della "guerra mediatica contro Israele" (David Rosemberg sul Wall Street Journal). Un esempio delle conseguenze di questa semina d'odio è l'esclusione della delegazione israeliana al Gay Pride di Madrid (Jesurum sul Corriere, editoriale del Foglio), tanto più grave in quanto Israele è un'isola di tolleranza e libertà per i gay, perseguitati in tutto il mondo islamico. L'intervento più importante su questo tema è la riflessione di Alessandro Schwed sul Foglio, intitolata "tornatevene ad Auschwitz" dalla risposta che qualcuno dell'equipaggio della flottiglia ha dato per radio all'intimazione della marina israeliana a fermarsi: un testo profondo e emozionante, da non perdere.Fra le notizie "curiose" o comunque da meditare vi è la decisione di Yahoo di fornire all'Iphone due diverse previsioni del tempo per "Al Quds" e "Yerushalaim", naturalmente identiche, ma divise come se si trattasse di due città diverse (notizia firmata F. Bat. sul Corriere) e l'altra pubblicata su Avvenire per cui è in preparazione a "Bolliwood" il primo film indiano su Hitler. Sembra che sia proprio il momento degli antisemiti.Ugo Volli http://www.moked.it/


Professionismo


Secondo la circostanziata ricostruzione del direttore della Reuter, il coltello insanguinato non compariva nella foto dato che taglia. Il Tizio della Sera, http://www.moked.it/


I nostri Giusti

Negli anni tremendi delle persecuzioni alcuni di coloro che non erano riusciti a scappare trovarono aiuto grazie a tanti (ma non abbastanza, purtroppo) uomini che seppero pensare con la propria testa. Qualunque fosse il loro pensiero politico (anche se fascisti convinti), o il loro ruolo (addirittura alcuni tedeschi furono tra loro), questi che noi consideriamo i nostri Giusti trovarono il modo di aiutare e di salvare tanti ebrei ai quali apparentemente non restava più alcuna via di fuga. Ma con gli anni ci stanno lasciando tutti.E' morto l'altro giorno Attilio (Tilliu) Francesetti (nell'immagine in alto a destra) che visse tutta la sua vita tra i monti delle valli di Lanzo. Visse da solo, isolato da un'umanità che sentiva così lontana. Ma quando gli ebrei si rivolgevano a lui per scappare in Francia lui non trovava ostacolo alcuno. Una giovane famiglia di francesi bussò alla sua porta, un giorno di freddo inverno, con una bambina piccolissima. La mamma di Tilliu diede i propri scarponi a quella donna che non poteva certo attraversare i monti coperti di neve con scarpe coi tacchi. Tilliu tosò una pecora per avvolgere la bimbetta nella lana che, dentro a un sacco, le fece da culla. E dopo otto ore di marcia dura e pericolosa per tutti affidò quella famigliola ad altri che poi la fecero arrivare fino all'oceano e, da lì, in America.Finita la guerra questa famiglia, memore, cercò di portarsi con sé Tilliu a New York, dove avrebbe potuto vivere tranquillamente con coloro che aveva salvato. Francesetti scelse invece di continuare la propria vita di uomo solitario tra i suoi monti. E nemmeno ricordava dove aveva messo il Rolex d'oro che gli era stato regalato.Ora anche lui ci ha lasciato, andandosene da solo come aveva voluto, ma come non avrebbe meritato.Come ci ha lasciati, poco tempo fa, Silvio Rivoir (nell'immagine in alto) che, di professione, faceva l'impiegato dell'anagrafe in Val Pellice. Egli fornì documenti falsi a chi aveva bisogno di una nuova identità, fino al giorno in cui, ad un controllo, la terribile verità venne scoperta. Il nostro Giusto finì in un campo di lavoro in Germania, dal quale per fortuna tornò alla fine della guerra. Queste traversie non gli impedirono di arrivare al centesimo compleanno, ed in quel giorno di gioia, a chi gli consegnava una semplice pergamena di riconoscimento, disse, con enorme fatica per il peso degli anni e della malattia, schermendosi: "non fu merito, ma dovere".Queste sono le parole e le gesta di alcune di queste grandi figure che ci stanno lasciando (anche Rivoir è mancato recentemente).Pochi giorni fa ha compiuto 90 anni don Francesco Brondello, proclamato Giusto di Yad Vashem. Ci disse di lasciare, ai posteri, pagine e pagine di testimonianza di quanto accadde in quei giorni; ma queste pagine saranno disponibili solo dopo la sua morte.Non abbiamo premura di leggerle, don Brondello, anche perché forse possiamo immaginare alcuni contenuti.Almeno lei rimanga a lungo con noi.Emanuel Segre Amar, http://www.moked.it/



Atlit campo internamento inglese


Gaza, Frattini: "Pacifisti hanno cercato scontro"

Il ministro degli Esteri riferisce a Palazzo Madama sull'attacco dell'esercito alle imbarcazioni di pacifisti internazionali cariche di aiuti umanitari: "Il materiale audiovisivo recuperato sulle barche dimostra che hanno cercato lo scontro". Ma la Farnesina smentisce
Roma - "Stando al materiale audiovisivo recuperato anche dalle telecamere a circuito chiuso dell’imbarcazione, emergerebbe l’intento di aver ricercato deliberatamente lo scontro con le forze israeliane". Lo ha detto il ministro degli Esteri Franco Frattini, riferendo al Senato sul blitz israeliano al largo di Gaza, precisando che vanno ancora acquisite "le versioni degli occupanti della nave". "Sono stati ignorati - ha proseguito il ministro - gli inviti a mutare rotta e consegnare il carico ad Ashdot, mentre alcuni attivisti a bordo si equipaggiavano con giubbotti antiproiettile, maschere antigas, svariate armi più o meno improprie, come tubi di ferro tagliati nelle ultime ore di navigazione dalle murate della nave con seghe circolari appositamente portate a bordo, e si dividevano in squadre per isolare e colpire quanti più militari israeliani possibile una volta lanciato l’abbordaggio". Frattini ha precisato che "i fatti accaduti a bordo della nave in quei convulsi tragici momenti vanno accertati con attenzione. Andranno acquisite le versioni degli occupanti della nave. Conosciamo per ora quella resa nota dagli israeliani". Ma la Farnesina smentisce: "Parole mai pronunciate".
Inchiesta indipendente Sull’incursione dei militari israeliani a bordo delle navi di attivisti filopalestinesi, che portavano aiuti per gli abitanti di Gaza, serve un accertamento indipendente ha detto ancora Frattini. "Occorrono accertamenti ampi, onesti e anche indipendenti", ha detto nell’audizione al Senato, parlando dell’attacco israeliano alla flottiglia degli attivisti, che ha portato all’uccisione di nove attivisti. "Il dubbio che vi sia stata la modifica delle immagini, che avrebbe cancellato delle armi dalle mani di alcuni occupanti dimostra la necessità di un accertamento pieno di tutta la verità". Frattini ha illustrato una formula che secondo lui potrebbe far salva la sovranità israeliana e garantire al tempo stesso una presenza internazionale nell’inchiesta. "L’inchiesta israeliana dovrà vedere la presenza di osservatori nominati da organismi internazionali e ritengo opportuno che questi siano degli inviati del Quartetto per il Medioriente" ha detto Frattini con riferimento al gruppo di mediazione diplomatico composto da Ue, Usa, Russia e Onu. "Se Israele accetterà la proposta, potremmo avere un team di investigatori che salvaguardi la sovranità israeliana ma che comprenda una presenza qualificata come quella degli osservatori del Quartetto" ha aggiunto il capo della Farnesina. Frattini ha detto che la Germania condivide questa idea e che la Gran Bretagna la ritiene ragionevole. 09 giugno 2010, http://www.ilgiornale.it/


kibbutz Ein Hashlosha
Sergio Romano, l'autorevole diplomatico, storico e columnist, è stato colto ieri da una momentanea amnesia. Nel rispondere a una lettrice del Corriere sulle cause dell'ostilità araba legate alle origini di Israele, Romano immagina una breve storia del Medio Oriente nel Ventesimo secolo. Israele sarebbe "uno stato nuovo costruito per ospitare una popolazione che era stata ferocemente perseguitata e cercava una nuova casa". Eppure Romano sa bene che il Mandato Britannico fu creato nel 1922 con l'accordo delle principali Potenze e con un ben preciso scopo: "la messa in atto della dichiarazione del 2 novembre 1917 in favore della creazione in Palestina di un focolare nazionale per il popolo ebraico" – "oltre che la salvaguardia dei diritti civili e religiosi di tutti gli abitanti della Palestina senza distinzione di razza e di religione". Gli arabi della regione, e anche questo Romano lo sa, si consideravano allora parte della Grande Siria. Dopo le gravi inadempienze dell'Inghilterra nei 26 anni del suo mandato, veniva la decisione dell'ONU nel 1947 di spartire la Palestina fra due stati – uno Arabo e uno Ebraico. Lo Stato Ebraico non era un fatto nuovo visto che in realtà realizzava, su una parte ridotta del territorio, gli impegni presi dalla comunità internazionale ben prima della Shoah. La vera invenzione politica era invece lo Stato Arabo che, per la prima volta nella storia, attribuiva una sovranità araba su un'altra parte del territorio mandatario – autarchicamente, e non come provincia di un'entità politica più ampia. Oggi, quella ebraica-israeliana e quella araba-palestinese sono due realtà politiche ben stabilite e irreversibili, ed è del tutto superfluo discettare su come e perché siano nate, se siano legittime o no, e fino a quando dureranno. Tutte le parti in causa non possono non riconoscere questa realtà duale che esprime identità culturali e politiche profondamente radicate e incompatibili. E se c'è un minimo di onestà, proprio questa diversità è condizione necessaria affinché il Medio Oriente possa trovare un assetto politico stabile e, nelle parole di Sergio Romano "fra le persone di buona volontà e di buon senso la convivenza sia possibile".SergioDella Pergola,Università Ebraica di Gerusalemme,http://www.moked.it/


Studenti afghani in corteo gridano slogan contro l'America e contro gli ebrei

Kabul, 8 giu - Centinaia di studenti dell'università afghana di Mazar-i-Sharif (provincia settentrionale di Balkh, riproponendo una protesta già fatta la settimana scorsa a Kabul, hanno sfilato per le vie della città gridando slogan ostili al cristianesimo e all'ebraismo, e chiedendo anche l'allontanamento dalle aule universitarie dei professori stranieri. Pronunciando slogan del tipo "morte all'America!, morte agli ebrei!, morte ad Israele", scrive l'agenzia di stampa Pajhwok, i dimostranti hanno inveito contro due associazioni cristiane (World Church Services e Norwegian Church Aid) che sono state sospese dal governo perché sospettate di fare attività di proselitismo. Entrambe le ong hanno comunque respinto categoricamente, e pubblicamente, questi addebiti. Ghulam Nabbi, uno studente della facoltà di Economia, deplorando l'esistenza di proselitismo a favore del cristianesimo, ha detto a nome dei compagni che "essendo l'Afghanistan musulmano per più del 99%, il governo è obbligato a prevenire la diffusione di altre religioni". Manifestazioni e proteste continueranno, ha sostenuto con forza, fino a quando non saremo stati ascoltati, aggiungendo che tutti gli studenti condannano la propaganda del cristianesimo e dell'ebraismo in questo paese dell'Asia centrale e che la protesta pubblica è il solo modo per proteggere l'islam. Alla fine della manifestazione gli organizzatori hanno distribuito un comunicato in cinque punti in cui si sollecita una punizione esemplare sulla base della legge islamica (che prevede fino alla pena di morte) per i colpevoli di proselitismo e si propone la chiusura di tutti i centri in cui si cerca di convertire i musulmani al cristianesimo. "Azione in cui sono implicati - si dice infine - anche professori di varie università afghane".


Mar Morto

Rassegna stampa (cliccare sui titoli giornali x testo completo)

Mentre si stanno lentamente attenuando le polemiche che hanno accompagnato l’azione di Israele contro le navi “pacifiste”, nell’attesa che anche il mondo ebraico impari a dibattere al proprio interno le ragioni dei dissidi al solo scopo di non continuare a fornire ai suoi nemici le armi migliori per attaccarlo (nei giorni scorsi Omar Barghouti ha girato per l’Italia per propagandare il boicottaggio e non ha avuto difficoltà a parlare quasi unicamente con le citazioni di ebrei odiatori, in un modo o nell’altro, di Israele), è interessante registrare come anche le maggiori "fabbriche di notizie", come la Reuters, devono ora riconoscere le loro manipolazioni, pur tentando di giustificarle, in maniera peraltro assolutamente risibile. Sulla rassegna di ieri ne abbiamo avuto un esempio di grande interesse, che per questa ragione ripropongo ai lettori, perché emblematica di un certo modo di presentare le notizie. La Reuters ha dichiarato di aver “tagliato inavvertitamente delle immagini”. Si potrebbe credere a questa falsa spiegazione se questa non fosse invece la norma, e chiunque si occupi di disinformazione conosce benissimo questa abitudine di tagliare per costringere i fatti entro il letto di Procuste dell'ideologia. Quale strumento migliore, per fissare un'idea nella mente del lettore, di un titolo e un'immagine? Ed è per questo che proprio lì dentro si sceglie di occultare l'inganno. Diverso è poi il problema di nascondere i fatti, le notizie, ma su questo potremo dilungarci in altra occasione.Iniziamo la rassegna odierna parlando di Sergio Romano che risponde a una domanda precisa e puntuale con i suoi soliti argomenti anti-Israele e non solo: oggi conferma la sua definizione di Israele come “corpo estraneo” in una terra che fu “provincia musulmana per più di mille anni”. Aggiunge, il nostro “storico”: “gli arabi non erano responsabili delle persecuzioni (quelle inflitte dal nazismo ndr)”. Basta dimenticare l’amicizia del Gran Muftì con Hitler, il suo sostegno militare, la sua vicinanza, anche fisica, per tutta la guerra, ed il nostro impareggiabile storico scrive un’altra invenzione delle sue. Dovrebbe avere l’onestà di ammettere, se vuol parlare di corpo estraneo, che questo è piuttosto quello costituito da tante nazioni islamiche, nate come imposizione su popoli abituati a conoscere solo la tribù e non un grande stato. Vien quasi da ridere leggendo parole del genere: “chi cerca di comprendere questi fenomeni (quelli religiosi ndr) con il distacco e la mentalità dello studioso”. Lascio al lettore la valutazione su queste parole! Su molti quotidiani viene ripreso l’episodio, riportato più sopra, che ha visto cadere la Reuters nella peggiore accusa per un’agenzia di stampa. Raccomando su questo argomento la lettura dell’articolo pubblicato sul Foglio che si dilunga sulle gravi abitudini delle agenzie di far politica di parte anziché giornalismo corretto. Nel giorno che dovrebbe vedere finalmente la proclamazione delle sanzioni contro l’Iran, abbiamo già la prova tangibile della scarsa effettività di queste. Sono state dimenticate le questioni energetiche, per non colpire i grandi interessi di chi le sanzioni le dovrà applicare; il Foglio ci ricorda che la Shell (ricordiamocene quando facciamo il pieno), dopo aver stracciato a marzo i precedenti accordi con l’Iran, si è premurato di firmare, la settimana scorsa, dei nuovi accordi che la metteranno al sicuro da impedimenti internazionali. E Liberal ci racconta anche di tante imprese italiane che aumentano a dismisura le proprie relazioni con il regime dittatoriale: dall’ENI a Finmeccanica, dalla Ansaldo alla Fata. Da parte sua Lorenzo Moore su Rinascita si scaglia invece contro le sanzioni contro l’Iran; le vorrebbe piuttosto contro Israele. Mentre Guido Olimpio sul Corriere, in un articolo corretto parla delle 123 navi iraniane che cambiano spesso bandiera per sfuggire ai controlli (e cambiano anche proprietà o gestore), aggiungendo che seguono complicate rotte, da Hong Kong alla Malesia, scelte accuratamente per far arrivare ovunque ogni tipo di merce proibita, in altro articolo scrive che “in MO non ci sono verità ma solo versioni”; non è così, signor Olimpio, ma il problema è che certe verità, scomode e politicamente scorrette, non arrivano ai lettori. Sempre sul Corriere Battistini intervista il generale Eilaud che risponde con precisione a domande sulla inchiesta che si apre in Israele sull’operazione Flotilla. Battistini dimostra, fin dalla prima domanda, di far sue tutte le accuse mosse ad Israele; già vorrebbe conoscere quale è stato il principale errore dei soldati, e non mette neppure in dubbio che magari i soldati non ne abbiano commessi. Ma quando i nostri giornalisti, quasi tutti, impareranno che le sentenze si emettono alla fine delle inchieste, e non a caldo subito dopo i fatti? Adriano Sofri su Repubblica “compatisce le innocenti vittime”; descrive i “pacifisti turchi come persone affezionate alla pace”; nel suo pezzo ha tuttavia l’onestà di comprendere che tanto si parla del conflitto medioorientale e poco dei conflitti, non minori, che si sono verificati vicino a casa nostra (Sarajevo, ad esempio). Peccato che poi torna sulle solite posizioni di Repubblica scrivendo di temere che la bomba nucleare israeliana (che quindi Sofri dà per certo che esista) finisca nelle mani di persone stupide. Credo che gli stupidi (e anche peggio che stupidi) abbondino piuttosto dall’altra parte dei confini di Israele, signor Sofri. Oggi, se guardiamo alla realtà che sta sotto gli occhi di tutti, sembra proprio di poter dire che Israele è nelle mani di qualcuno che stupido non è. Sul Messaggero si trova un’intervista al commissario della CRI Rocca; solite parole alle quali questa testata ci ha abituato: a Gaza condizioni umane terribili. Viene voglia di invitare il commissario Rocca ad andarsi a leggere gli articoli di coloro che a Gaza ci sono andati davvero, con occhi pronti a registrare quello che vi è, liberi da preconcetti. Gli suggerirei, per cominciare, Lorenzo Cremonesi, che certo grande amico di Israele non è. Eppure scrisse Cremonesi verità ben diverse da quelle di Rocca. E gli suggerirei anche di guardarsi la TV di Hamas; magari non comprenderà le parole, ma le immagini certo sì. Immagini che mostrano l’opposto di queste sue parole. Altra intervista troviamo su l’Unità di De Giovannangeli al premio Nobel Corrigan Maguire, reduce dal fallito, secondo sbarco a Gaza. Solite parole: come sempre tutto il male sta da una parte sola. E solito parlare di “genocidio”, anche se questa volta è “lento”; mi verrebbe voglia di chiedere se questo aggettivo sarebbe una aggravante o un’attenuante. Ancora su l’Unità Bertinetto esalta i piani ambiziosi di Erdogan, il nuovo califfo (parole del titolista); mi chiedo come faccia, oggi, Bertinetto a considerare Erdogan “un moderato”, quando poi lui stesso ricorda la potenza militare che ne sostanzia le ambizioni. E’ troppo chiedere un po’ di coerenza a chi scrive? Raccomando, dopo tanta disinformazione, la lettura del Foglio dove Umberto Silva fa il pelo ed il contropelo al presidente Obama: parole di assoluta chiarezza. Tra i tanti articoli della stampa estera oggi vale la pena ricordare Bret Stephens sul Wall Street Journal che parla di chi oggi sostiene e di chi invece contrasta Israele. Questo importante articolo si chiude con le parole di Eric Hoffer che già nel 68 diceva che se cade Israele l’Olocausto sarà su noi tutti: parole di grande attualità all’inizio del terzo millennio, sulle quali pochi sembrano riflettere. Su Le Monde Zecchini si dilunga sul blocco di Gaza, ma tra tante cifre manca ad esempio la spiegazione del perché oggi ci sia a Gaza tanta disoccupazione, e manca la domanda di dove finiscano i soldi che l’Occidente continua ad inviare (35000 dollari/anno per ogni singolo cittadino). Ancora su le Monde Barthe ci racconta del gioco a rincorrersi tra scavatori dei tunnel a Rafah ed egiziani (con gli americani): si inserisce nel terreno il muro? E loro lo perforano. Ma se poi lo inonderanno, ci si chiede? Vedremo, è la risposta. Così va il Medio Oriente. Da sempre.Emanuel Segre Amar,http://www.moked.it/



Impero ottomano

Il nodo di Gaza - La Turchia alla deriva

Considerato che in questi ultimi tempi non si fa altro che parlare di Flottiglie, imbarcazioni varie e qui premetto la mia grande sofferenza per la perdita di vite umane e sempre comunque da qualunque parte provengano, ho l’impressione che la Turchia viaggi sempre più verso Oriente. Si tratta di un aspetto che è stato poco considerato dagli osservatori e cioè il progressivo spostamento della Turchia, Paese NATO, verso alcune posizioni dell’Iran e di parte del mondo Arabo islamico, quasi a voler riproporre almeno in termini di influenza, ciò che fu l’Impero Ottomano. Si potrà dire che è in parte colpa della politica di chiusura della UE, sta di fatto che la Turchia, Paese amico dell’Europa, vicino, molto progredito e potenza regionale, VA verso Oriente, non sarà più alleato di Israele (nemico?) e comunque sempre più distante dall’Occidente. Questo ci riguarda, sia per Israele, ma anche per il futuro della storica ed importante Comunità ebraica turca.Un altro aspetto invece più evidente e che non è sfuggito agli osservatori più attenti ed informati è la “trappola” strategica e mediatica che si è cercato e in buona parte riusciti di far cadere lo Stato di Israele, che non è e non può essere perfetto e che forse non ha previsto la situazione, mai cui militari sono comunque stati aggrediti da passeggeri di una nave “pacifista”. Si tratta a mio avviso di un punto che non va sottovalutato perché coloro che non accettano e coloro che vogliono distruggere Israele hanno in comune una strategia di costante deleggittimazione dello Stato e persino dei suoi intellettuali e curano fin troppo bene gli aspetti della comunicazione e i riscontri mediatici di ogni iniziativa. Ciò ci riguarda non solo per il nostro legame con Israele, ma per la quantità di pregiudizi che vengono alimentati da questa comunicazione nei Paesi della diaspora.Detto ciò penso che questi siano passaggi della Storia reversibili e che dobbiamo sempre sperare e lavorare, ciascuno per il suo, per un cambiamento e che sia possibile un futuro di pacifica convivenza e di rispetto in Medio Oriente, per israeliani, per palestinesi e per tutti i popoli dell’area. Per quanto ci riguarda in Italia, penso, dovremmo ostacolare il pregiudizio che nella sua assolutezza è ben riconoscibile rispetto alla critica, valorizzare ed incrementare i rapporti con le altre fedi e con le varie origini oggi presenti sul territorio.Riccardo Hofmann, Consigliere Ucei


Il nodo di Gaza - Fervore internazionale

Grande fervore internazionale,a giudicare almeno da certa stampa,per organizzare viaggi di altre navi che,ovviamente sempre in gradevole stagione,cerchino di violare il blocco navale israeliano per dirigersi a Gaza. Si farnetica amche di navi “islamiche”, “ebraiche”, interreligiose e si auspica,per equità, anche non credenti. Ma se altrettanto fervore venisse dedicato per debellare invece il terrorismo integralista di Hamas,nocivo agli israeliani ed anche ai civili palestinesi ormai da anni vessati da questo vero e proprio regime dittatoriale?Gadi Polacco, Consigliere Ucei


Jaffa From The North-West, 1860

Il nodo di Gaza - La crisi e la chiesa

Ancora alcune considerazioni sulla vicenda della Freedom Flottilla, e sull’atteggiamento assunto dalla Chiesa in questi giorni di tensione.1) Se è legittimo dare valutazioni diverse sul cruento incidente e sul comportamento della marina israeliana, proporre una commissione di inchiesta internazionale sul caso, rifiutando l’idea che a svolgerla sia lo stesso Israele, significa, inequivocabilmente, negare la solidità e la credibilità delle istituzioni democratiche dello Stato ebraico. Un Paese, ricordiamo, nel quale un Premier (Rabin) si è subito dimesso per un deposito di poche centinaia di dollari, dimenticato dalla moglie su un conto corrente estero, contro le leggi valutarie vigenti, un Presidente dello Stato (Katzav) lo ha fatto per delle discutibili accuse di molestie sessuali, il figlio di un Premier (Sharon) è andato in prigione, senza battere ciglio, per una faccenda di finanziamenti non dichiarati, così come senza battere ciglio è andato sotto processo un altro Premier (Olmert), per fatti analoghi. Quale altro Paese al mondo può dire lo stesso? Onore al governo italiano, che, alle Nazioni Unite, ha votato contro la proposta della Commissione d’inchiesta internazionale. Quanto alla sinistra, che ha criticato tale scelta, prendiamo atto del riemergere degli antichi riflessi condizionati. Speriamo di non riassistere alle bare depositate davanti al Tempio di Roma (corteo dei sindacati confederali del 25 giugno 1982), o agli amorevoli appelli agli elettori israeliani (l’Unità del 16 gennaio 2003) affinché votino in un certo modo.2) Non ci sembra essere stato sufficientemente commentato il fatto che tra i pacifisti della Marmara c’erano anche delle madri con bimbi, uno dei quali di un anno. Le madri normali guardano due volte a destra e due a sinistra prima di attraversare la strada col carrozzino, anche se sono sulle strisce pedonali e c’è il verde. Ma queste, si sa, sono paure piccolo-borghesi, una mamma guerrigliera ha ben altro coraggio, e non esita a portare il piccolo al fronte, con asce, molotov e biberon. Complimenti. Se il bimbo fosse stato colpito, poi, facile immaginare le reazioni del mondo.3) La totale trasformazione semantica che il termine ‘pacifista’ sta subendo, già da molti anni, pare avere ormai raggiunto il punto di non ritorno. Dato che, tra coloro che si definiscono in tal modo, sono certamente ancora presenti molte persone sinceramente amanti della pace, suggeriamo loro di scegliersi una nuova denominazione, perché quella parola è oramai diventata sinonimo di teppista, o peggio.4) Dopo l’omicidio di monsignor Padovese, vicario apostolico di Anatolia, la Santa Sede si è subito affrettata a escludere, “in modo assoluto”, che il movente del gesto potesse consistere nel fanatismo religioso (nonostante le stesse parole pronunciate dal responsabile - quantunque, forse, squilibrato – lasciassero, con tutta evidenza, pensare il contrario). Evidentemente, il desiderio di non turbare i rapporti con l’Islam e con la Turchia suggeriva di ridimensionare al massimo la portata dell’episodio. Peccato che, quando si tratta di Israele e di ebrei, il comportamento del Vaticano sembra essere sempre l’opposto: che sarebbe successo se un vescovo fosse stato assassinato in Israele, da un ebreo?5) I duri giudizi pronunciati dal papa a Cipro, secondo i quali Israele emergerebbe, nel quadro del Medio Oriente, come il principale ostacolo sulla strada della pace, del dialogo e della stabilità regionale, possono preoccupare, addolorare, indignare. Non, però, sorprendere. Non si tratta di mere valutazioni politiche, c’è un filo preciso che lega tali parole al pesante, sistematico arretramento impresso dalla Santa Sede, negli ultimi anni, al dialogo ebraico-cristiano. È una realtà triste e inquietante, ma è una realtà.Francesco Lucrezi, storico,http://www.moked.it/