lunedì 27 aprile 2009

Asmahan Youssef Al-Wihidi in Tribunale

Asmahan Youssef Al-Wihidi, giudice

La prima donna nel mondo musulmano. Quando le chiedevano cosa avrebbe voluto fare da grande rispondeva: “il giudice”. Adorava seguire il padre avvocato nei tribunali. Invece delle storie per bambini leggeva ogni tipo di materiale legale che trovava a casa, ma mai e poi mai avrebbe immaginato di diventare la prima donna nel mondo musulmano che siede a capo di un tribunale islamico. Asmahan Youssef Al-Wihidi, 33 anni, tre figli, è stata nominate Khadi, presidente di corte islamica, dalla Autorità Palestinese per Hevron, insieme alla collega Khulud Mohamed Ahmed Faqih per Ramallah. La corte islamica si occupa del diritto di famiglia, un parallelo del tribunale rabbinico israeliano. Matrimoni, divorzi, alimenti, diritti della donna, questi gli argomenti che più interessano Asmahan, e di cui si è sempre occupata. Si tratta di una vera rivoluzione nel mondo musulmano, voluta sopratutto dallo Sceicco Tayseer Rajab Al-Tamimi, capo dei giudici e presidente del Consiglio Superiore della Legge Islamica della Autorità Palestinese. “La nomina di Asmahan Youssef Al-Wihidi è appoggiata dalla scuola giuridica islamica, Hanafi, che consente e legittima la candidatura e la nomina di donne in posti di interesse pubblico della società”, ha spiegato Tamimi dopo aver annunciato la sua decisione. Per lungo tempo Il tribunale islamico palestinese ha avuto difficoltà a seguire tutte le cause per la scarsità di giudici. Qualche mese fa Tamimi aprì le iscrizioni per gli esami per diventare giudice Shari. “Lo sceicco fece sapere che chiunque poteva iscriversi all’esame e per la prima volta nella storia anche le donne” racconta Wihidi al quotidiano israeliano Maariv. “Lo sceicco è una personalità molto influente, conosciuto per le sue idee all’avanguardia. Da tempo voleva dare la possibilità alle donne di diventare Khadi, ma solo oggi ci sono abbastanza donne nel sistema giudiziario palestinese con la capacità e l'esperienza necessaria. Mi sono iscritta immediatamente”. Al- Wahidi e Faqih sanno che la loro nomina non è apprezzata da tutti. Le critiche non hanno tardato a farsi sentire ma le due donne non hanno dubbi: porteranno avanti il loro compito seguendo le leggi islamiche al meglio.“Molte donne non riescono a esporre i propri problemi coniugali davanti a un giudice uomo. Si sentono in imbarazzo, il giudice non riesce a cogliere la problematica e spesso sentenzia a favore dell’uomo. La legge islamica difende i diritti della donna, è la tradizione che porta alle ingiustizie”, racconta il neo giudice. “Una volta arrivò in tribunale una ragazza di 24 anni, sposata con un vedovo di 90. Chiese il divorzio. Motivo: il marito non provvedeva ai bisogni di donna della moglie. “Cibo e bevande li posso trovare anche a casa dei miei genitori", aveva spiegato la ragazza alla corte. “Le donne si sposano per vivere con un uomo al loro fianco, non per servirlo”, spiega Wihidi, “e infatti la ragazza vinse il processo e divorziò: secondo la legge islamica il marito ha il dovere di provvedere a tutti i bisogni della moglie!”.Dal suo ufficio, a 5 minuti dalla Tomba dei patriarchi, Wihidi, cercherà di migliorare la vita di molte donne palestinesi ma che sia chiaro, alle 15.00 esatte il giudice torna a casa: i figli tornano da scuola. Mara Vigevani Tel Aviv

kibbutz Lavi in Galilea

Agenti israeliani sulle navi per la sicurezza

TEL AVIV (26 aprile) - Occorre aver compiuto un servizio militare completo di tre anni in una unità combattente di Tsahal (l'esercito di Israele) per poter entrare in una delle società israeliane che offrono protezione alle navi civili. Sul mercato c'è crescente richiesta di personale ma le condizioni di lavoro sono difficili e occorre essere disposti a restare lontani da Israele anche per un anno intero. Agli interessati viene richiesta una buona conoscenza dell'inglese; il possesso di un altro passaporto - oltre a quello israeliano - è considerato un vantaggio. Fra i giovani israeliani di età compresa fra 21-28 anni comunque il lavoro sulle navi non è particolarmente ambito: preferiscono invece la protezione di aerei, ambasciate, o di altre istituzioni. La protezione delle navi commerciali e passeggeri israeliane è diventata una priorità negli ultimi anni, per la minaccia rappresentata sia da cellule di al-Qaida sia dagli Hezbollah libanesi, che secondo i servizi di sicurezza israeliani cercano di vendicare la uccisione del loro comandante militare Imad Mughniyeh, avvenuta un anno fa a Damasco. Secondo la stampa israeliana, lo Shin Bet (servizio di sicurezza interno) provvede ad aggiornare di volta in volta i comandanti delle imbarcazioni israeliane delle minacce più o meno concrete che si profilano nei loro confronti.

domenica 26 aprile 2009

anni '50: lavoro in kibbutz
Arance da Israele, scandalo in Iran

Sono vendute spacciandole per cinesi
Le autorità iraniane sono furiose: i media locali hanno infatti scoperto che nei mercati della periferia di Teheran sono in vendita arance israeliane, spacciate per cinesi. Immediatamente è stato chiesto l'intervento della magistratura per capire in che modo gli agrumi abbiano violato il boicottaggio dei prodotti dell'odiato nemico. Per ora è solo stato accertato che la merce è arrivata via Dubai.Benché i commercianti vendessero le arance come cinesi, l'agenzia Mehr ha pubblicato alcune foto nelle quali si legge chiaramente la dicitura "Jaffa Sweetie Israele PO".Il vicecapo della dogana, Mohammad Reza Naderi, ha definito quanto accaduto "incredibile", aggiungendo che l'unica pista ipotizzabile è quella del contrabbando: "Gli importatori sono a conoscenza delle leggi e non prenderebbero mai rischi del genere per poche tonnellate di merci".
25/4/2009, http://www.tgcom.mediaset.it/

Gianfranco Sarfatti
25 aprile - I mille ebrei italiani che combatterono per la libertà

Il 25 aprile è la data convenzionale nella quale con gioia celebriamo la Liberazione d'Italia dalla Repubblica Sociale Italiana e dall'occupazione del III Reich nel 1945. In effetti gli Alleati erano sbarcati in Sicilia nel luglio 1943 e Roma e Firenze vennero liberate nel 1944; ma fu nell'ultima decade dell'aprile 1945 che partigiani e alleati raggiunsero le città del nord della penisola. La Liberazione fu il risultato di un vasto e complesso impegno militare e politico. Tra i combattenti della Resistenza italiana, vi erano circa mille ebrei, un decimo dei quali fu ucciso in Italia o in deportazione (alcuni furono deportati quali ebrei, altri come politici). Alcune decine di essi erano stranieri, giunti nella penisola nei decenni precedenti, o dopo il 1933 tedesco, o negli ultimi anni di guerra. Molti altri ebrei, provenienti da vari paesi e continenti, combatterono in Italia sotto la bandiera della Brigata ebraica o - anch'essi spesso volontari - nei reparti statunitensi e inglesi; tra essi vi furono alcuni italiani emigrati, che scelsero di rientrare a combattere in Italia per l'Italia. A differenza di quanto accadde in alcune aree europee, i partigiani ebrei italiani non costituirono "raggruppamenti ebraici". I più aderirono alle formazioni comuniste "Garibaldi" e a quelle azioniste "Giustizia e Libertà". Vari furono "commissari politici" o svolsero incarichi dirigenti, anche nazionali. Erano quasi tutti maschi, anche perché sulle donne - più libere di muoversi senza destare sospetti - pesava maggiormente il compito di proteggere le famiglie nascoste. Accanto ai partigiani in senso stretto, altri ebrei furono impegnati in quella che gli storici definiscono "resistenza civile": l'elevatissima percentuale di rabbini deportati attesta il loro impegno a mantenere vivo l'ebraismo; e molti ebrei braccati poterono sopravvivere anche grazie ad eroici (e talora caduti) attivisti della Delasem e di altri network di soccorso. La morte e la vita degli ebrei d'Europa e d'Italia dipesero dagli insuccessi e dai successi di chi combatté nazisti e fascisti, ebreo o non ebreo che fosse. Gli ebrei partigiani in Italia furono e resteranno i secondi genitori dei loro confratelli che il 25 aprile riottennero il diritto alla vita, alla libertà, alla democrazia. I circa cento ebrei caduti nella lotta ci sono particolarmente cari (non posso qui non ricordare Gianfranco Sarfatti, che portò al sicuro i genitori in Svizzera e poi rientrò a combattere e morire in Valle d'Aosta). Di un altro caduto, Emanuele Artom, possiamo leggere i "Diari", ripubblicati l'anno scorso da Bollati Boringhieri a cura di Guri Schwarz. Sono pagine ricche di vita ebraica e di vita partigiana. Alla data del 1 dicembre 1943, riferendo dell'ordine di arresto di tutti gli ebrei emanato il giorno precedente dal governo fascista, il giovane ebreo piemontese scrive: "Che cosa ne sarà della mia famiglia? Forse non vedrò più né mio padre né mia madre. In questo caso chiederò al comandante di essere mandato in una missione tale da essere ucciso". Fu invece lui a essere arrestato, durante un ripiegamento, da SS italiane: denunciato da una spia quale commissario politico e quale ebreo, Emanuele Artom morì in carcere il 7 aprile 1944 dopo sevizie inenarrabili. Michele Sarfatti direttore Fondazione Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea www.moked.it