sabato 11 aprile 2009



Lago Kinnereth (Tiberiade)

GIOCHI COMMONWEALTH, INDIA: OFFERTA DA ISRAELE PER SICUREZZA

Una società specializzata israeliana (International Security and Defense Systems) si è fatta avanti offrendo i suoi servizi al governo di New Delhi di fronte ai potenziali rischi di attacchi terroristici che potrebbero gravemente danneggiare i Giochi del Commonwealth previsti nel 2010 in India. Lo scrive oggi il quotidiano Indian Express, al quale un responsabile del Comitato organizzatore dell'evento ha confermato che "con la necessità di presidiare oltre una decina di località principali dove si svolgeranno le varie discipline e molte altre sede di allenamenti, il compito di rendere i Giochi sicuri sarà enorme. Senza tenere conto che per molti atleti ci sarà bisogno di un meccanismo di sicurezza individuale". La Isds, fondata da ex responsabili dei servizi segreti (Mossad) e delle forze armate israeliane, ha una lunga esperienza nella protezione di eventi sportivi, essendo stata coinvolta nelle Olimpiadi di Barcellona, Sydney, Atene e Pechino. 10/04/2009, http://sport.repubblica.it/

venerdì 10 aprile 2009

Yad Vashem

Il Gruppo di Cooperazione Internazionale per la Ricerca sull’Olocausto, l’Insegnamento della sua Realtà e la Perpetuazione della sua Memoria (ITF)

ha un nuovo presidente: la Norvegia che succede all’Austria. L’ITF, composto da ventisei paesi, promuove l’insegnamento, la ricerca e le commemorazioni riguardanti le persecuzioni degli ebrei durante la Seconda Guerra Mondiale. E’ nato nel 1998 su iniziativa del primo ministro svedese Goran Persson, del presidente americano Bill Clinton e del primo ministro britannico Tony Blair. La Norvegia, membro dal 2003, manterrà la presidenza fino al marzo 2010 e sarà l’ambasciatore Tom Vraalsen a presiedere l’organismo. Vraalsen durante la cerimonia del suo insediamento ha ringraziato l’Austria per il lavoro svolto e ha ricordato che l’ITF ha una sede permanente a Berlino. Il Ministro degli Esteri norvegese Jonas Gahr Stare ha ribadito il dovere di tutti affinché l’antisemitismo non ritrovi mai più radici. La Norvegia vuole rafforzare la cooperazione tra l’ITF e altri organismi come l’ONU, l’OCSE e l’Unione Europea. Saranno organizzate due riunioni in Norvegia, a Oslo e a Trondheim. Mentre, in collaborazione con il centro studi sull’Olocausto e le minoranze religiose, l’ITF terrà a Oslo nel giugno del 2009 una conferenza: “Verso una prospettiva integrata sulla politica nazista di genocidio”. Tonino NOCERA

mercoledì 8 aprile 2009

Daniel Barenboim

Giallo sul Nilo Improvviso cambio nel cartellone. La decisione presa da Faruq Hosni, il ministro della Cultura accusato di antisemitismo
Le «Nozze di Figaro» vietate al Cairo. E Barenboim suona Liszt

Giù dal podio, ordinò il ministro al maestro. E posi quella bacchetta: «Queste Nozze non s' han da fare». L' ultima volta era capitato a Muti, bocciato dalla Regina Elisabetta per un una questione di gusti. A Daniel Barenboim, ancora non s' è capito se sia toccato un diktat politico, una censura morale, un affare diplomatico o un intrigo di palazzo. Il fatto però c' è: primo direttore con passaporto israeliano invitato in Egitto, in programma «Le Nozze di Figaro» con l' Orchestra sinfonica egiziana, il suo concerto alla Cairo Opera House è stato cancellato all' ultimo minuto. E non per qualche problema artistico. Il «nessun suoni» è stato ordinato direttamente da un ministro di Mubarak, Faruq Hosni, responsabile della Cultura. Che ha tolto l' opera di Mozart dal cartellone e rinviato tutti a un galà, il 16 aprile, sempre con Barenboim. Ma senza Figaro. Giallo sul Nilo. «Non so più cosa son, cosa faccio», canterebbe a questo punto il Cherubino delle «Nozze». Perché il direttore, che non ha rifiutato d' esibirsi, ora dichiara d' essere «felice d' andare a suonare in quella data»: proporrà Liszt al pianoforte e una Quinta di Beethoven. Pura cortesia, dicono al Cairo: il concerto era già stato rinviato in gennaio, per la guerra di Gaza. In realtà, scrive un pò acida la stampa israeliana, «al maestro importa solo essere visibile, mentre è caduto in una trappola ed è stato usato per altri scopi» (va detto che l' impegno della bacchetta non è mai andato giù a certa destra: fondatore con l' egiziano Edward Said della Divan Orchestra dei giovani, critico della politica nella Striscia, l' anno scorso Barenboim ha aggiunto alla sua tripla cittadinanza israeliana-argentina-spagnola anche quella palestinese). Ma perché cambiare l' opera? Tv e giornali egiziani si sono scatenati. Secondo Amjad Mustafa, critico musicale egiziano, s' è solo preso tempo nell' imbarazzo della nomina di Lieberman a ministro degli Esteri di Gerusalemme. Secondo la stampa israeliana, a ordire tutto è stato il ministro egiziano: candidato alla carica di segretario generale dell' Unesco, avrebbe voluto mettere cappello su un concerto organizzato dall' ambasciata d' Austria. Per ripulirsi dalla sua fama d' antisemita. O magari per mostrare ai Paesi arabi, suoi elettori, che un Barenboim non può andare in Egitto a suonare senza il suo permesso. «La volpe del deserto», è il soprannome di Faruq Hosni: fu lui a vietare lo stand israeliano alla Fiera del libro del Cairo, a vietare la diffusione di film israeliani, a garantire che «non ci sono e non ci saranno libri in ebraico alla Biblioteca di Alessandria: se ne trovo uno, lo brucio». Avvicinandosi l' Unesco, Faruq ha calibrato i toni: la scorsa settimana, a Parigi, s' è lanciato in una memoria della Shoah. Ora, la bacchettata al filopalestinese Barenboim. Quel che serve a prender voti di qua e di là. Dietrologie? «Tutto è disposto - per dirla con Figaro -. Aprite un pò gli occhi...». Francesco Battistini Il ministro Faruq Hosni Nato ad Alessandria, pittore, capo a Roma dell' Accademia egiziana, dall' 87 ministro della Cultura. Vicino alla First Lady Controversie Hosni s' è inimicato i Fratelli musulmani, i riformisti, quasi tutti. Compreso Israele, per frasi antisemite che gli sarebbero costate la candidatura all' Unesco
Battistini Francesco 7 aprile 2009Corriere della Sera

martedì 7 aprile 2009

da Solange un simpatico augurio per Pesach
cliccate per ingrandire

lunedì 6 aprile 2009


Tel Aviv

Rotschild Boulevard - Tel Aviv ha 100 anni Non più occidente e non ancora oriente Tel Aviv come Beirut.

Adesso che la città più popolosa d’Israele ha compiuto cent’anni, molti hanno colto l'occasione per raccontare i suoi ritmi, il suo spirito libero, la bella vita, la cultura che sempre reinventa se stessa, la tecnologia futuribile. Io, che di Tel Aviv amo tutto questo, proprio adesso non riesco a togliermi dalla mente Beirut, un viaggio avvenuto pochi mesi dopo quella terribile guerra del 2006. Lasciate le vie che mostravano i segni di esplosioni recenti e di vecchie sparatorie, a pochi metri dalle tendopoli di Hezbollah, la promenade di Beirut mi era sembrata bellissima e inaspettatamente familiare, con tutti quegli alberghi e quelle case bianche un po' trascurate. “Somiglia proprio a Tel Aviv”, non ho potuto fare a meno di pensare ad alta voce.E' un pensiero un po' strano, no? Specie visti i tempi. Eppure nonostante tutto - le guerre, il sangue, l'odio e la politica – la somiglianza salta all'occhio. Non sono l'unica a pensarla così: ha avuto la stessa impressione anche una collega che a Tel Aviv vive circa da un decennio. Poche settimane dopo il mio viaggio, nel suo reportage realizzato da Beirut per la televisione israeliana (e che come potrete immaginare le ha causato non pochi guai), anche la giornalista Lisa Goldman ha raccontato pure lei: com'è strano pensare che due città così divise dagli eventi, viste da vicino si somigliano tanto. Più recentemente ho scoperto che anche Oriana Fallaci, nel suo bellissimo romanzo autobiografico “Un Uomo”, aveva notato la somiglianza: “Tel Aviv o Beirut, non più occidente e non ancora oriente”. Forse il fascino sta tutto qui.
Anna Momigliano http://www.moked.it/

Daniel Libeskind

Le mie architetture sono un inno alla vita Intervista a Daniel Libeskind

È uno dei più grandi architetti contemporanei. Ha firmato il Jewish Museum di Berlino e San Francisco e il suo progetto per l’Expo 2015, Citylife, cambierà il volto di Milano. Ma soprattutto è stato il suo progetto a vincere il concorso per la ricostruzione del World Trade Center di New York, al posto del buco lasciato dalle due Torri Gemelle. Star indiscussa del panorama architettonico attuale, maestro superpremiato e in corsa per il Pritzker Prize (una sorta di premio Nobel per l’architettura), dopo aver appena ricevuto il Building Type Awards 2009, Daniel Libeskind, cittadino israeliano, è un uomo sorridente e affabile, che non dimostra per nulla i suoi 62 anni passati. Capelli a spazzola, una vivacità contagiosa, dietro le spesse lenti degli occhiali si avverte uno sguardo pieno di calore umano. Niente a che vedere con il solito sussiego delle archi-star. Libeskind da sempre aiuta i giovani senza mezzi a studiare architettura così come, un tempo, giovane, talentuoso musicista, suonava gratis la fisarmonica e il piano per gli immigrati polacchi. Nato a Lodz, in Polonia, nel 1946, da genitori sopravvissuti ai lager nazisti, emigra a sei anni, insieme alla famiglia, negli Stati Uniti e poi in Israele. Oggi Libeskind è un vero cittadino del mondo; da New York a Milano, da Denver a Gerusalemme le sue architetture avveniristiche riescono a dialogare con la storia del passato utilizzando linguaggi contemporanei del tutto inediti. Come è cambiato il suo ebraismo nel corso degli anni? Come si rapporta alla tradizione e alla cultura ebraiche? Mi sono sempre sentito profondamente ebreo. La tradizione ebraica per me non è solo astrazione, ma anche qualcosa da vivere tutti i giorni. Secondo me la componente più importante nell’essere ebrei è la capacità di reazione al mondo; un mondo in continuo sviluppo, che sta cambiando, in cui Israele è sotto pressione e l’antisemitismo risorge ovunque. Ecco, per me l’atmosfera di oggi non è poi così diversa da quella della mia infanzia, vissuta nel clima antisemita della Polonia comunista. Combattere per l’identità ebraica, combattere per una società aperta e libera, ha sempre fatto parte della sensibilità del popolo d’Israele. L’ebraismo è molto più che una religione; è una sensibilità appunto, e in questo senso, in Polonia, più crescevo, più avvertivo il pericolo che stava correndo l’identità ebraica in una società che spingeva verso l’assimilazione totale.Quindi, secondo lei, da allora niente è mutato?No. Il panorama è lo stesso, abbiamo battaglie diverse da combattere, ma quella per l’identità non è cambiata. Quando venni in Israele, negli anni Cinquanta, c’era la guerra; in Polonia dove crebbi, si diceva che Israele stesse perdendo e che stava per essere conquistato dagli arabi. La Polonia non aveva relazioni con Israele, non lo riconosceva. Certo, oggi quel riconoscimento c’è stato, ma ci sono altri nemici. Sono i nemici delle democrazie occidentali e degli ebrei in quanto rappresentanti di una società moderna, illuminista, occidentale. Credo che l’ebraismo abbia contribuito a edificare quei valori che sono profondamente inscritti in ogni democrazia, americana o europea che sia. I valori ebraici oggi, come migliaia di anni fa, sono sempre forti e attuali. Il testo biblico è più immediato, più accurato della Dichiarazione universale dei Diritti dell’Uomo dell’Onu. Osservo con tristezza che anche se il mondo è cambiato, la storia ebraica si ripete: i nemici mutano il loro nome ma non cambia il loro pregiudizio. Il mondo non impara le lezioni della storia; quando ero piccolo, in Polonia, l’Olocausto non veniva neanche menzionato. Oggi, la festa di Pesach è alle porte. E che tu sia religioso, laico, ortodosso, conservatore, hassid piuttosto che socialdemocratico o liberale, l’identità ebraica riguarda sempre la libertà, un valore profondamente inscritto nell’anima ebraica. Ho sempre pensato che la storia di Pesach fosse un messaggio per l’umanità: noi non siamo più schiavi, ma ci sono altri popoli schiavi nel mondo, schiavi di idoli, della religione, della discriminazione etnica, di gente senza scrupoli. Il punto di vista etico è molto importante nella tradizione ebraica. E anche per me. E’ questo che rende l’ebraismo così unico: essere ebreo vuol dire tentare di affrancarsi dalla propria schiavitù interiore o almeno lavorarci intorno, e cercare di avere una mentalità aperta.Lei come si definisce: religioso o laico?Cosa intendiamo per essere religiosi? Una spiritualità diffusa? Il rispetto delle tradizioni? Certo, non sarei quello che sono se non fossi nato ebreo, se non fossi legato alle Scritture, se non facessi parte del popolo di Israele e della comunità ebraica. Ripeto: penso che l’ebraismo sia molto di più che una religione. Il Museo Ebraico di Berlino: che significato ha quest’opera per lei, come figlio della Shoà e figlio di sopravvissuti? Un significato di riscatto. Non si può cambiare la storia, non puoi portare indietro milioni di morti, ma puoi dare una nuova speranza. La Germania e l’Europa sono cambiate, è vero. Ma la storia non riguarda solo il passato, ci parla a volte anche del presente. Non è soltanto una favola dal cattivo o lieto fine, la sua trama si evolve e siamo noi a tesserla. C’è qualche episodio, nella sua vita pubblica o privata, che l’abbia segnata come ebreo?Sì. Quando mi trasferii a Berlino con la mia famiglia non c’era niente di simile a un museo ebraico. Io invece credevo fermamente nella necessità di costruirne uno proprio lì, in quella città-simbolo. Gli ebrei non sono una minoranza etnica, non sono un dipartimento della storia; sono stati coinvolti in duemila anni di vicende europee e tedesche. Ma all’epoca mi scontrai con l’indifferenza generale e presi una decisione: non mi sarei mosso da Berlino finché il museo ebraico non fosse stato costruito. Quando lo dicevo, chi mi sentiva scoppiava a ridere credendo a una battuta. Faccio ancora fatica a dimenticare quell’ostilità nei confronti del mio progetto: un anno dopo l’intero Parlamento di Berlino decise di cancellarlo: “Non abbiamo bisogno di nessun museo ebraico ma di infrastrutture, strade...”. Il voto fu unanime. Ma oggi quel museo esiste e l’ho fatto io. Si figuri che quando avvenne l’inaugurazione del Jewish Museum di Berlino e le porte aprirono i battenti al pubblico, era la mattina dell’11 settembre 2001. Pensi alla coincidenza! Quel giorno, nel mio studio, avevo detto ai miei collaboratori che questa era la prima volta in vita mia in cui potevo non pensare più alla Storia. Adesso c’era un museo e il mio compito era stato finalmente assolto. Avevo appena finito di dirlo che alle 14.30, ora di Berlino, assistemmo in tv al crollo delle Torri Gemelle. In quel momento capii che non puoi mai dire di non dover più pensare alla Storia.Dopo il Wohl Center di Ramat Gan, ha altri progetti architettonici in Israele? Stiamo lavorando a Tel Aviv e a Gerusalemme. Ho appena incontrato il nuovo sindaco di Gerusalemme, una persona incredibile. Tra le sue prerogative c’è lo sviluppo della capitale di Israele.Come vede il dopo elezioni in Israele?Un balagan, una situazione complicata; resa ancora più critica da un sistema elettorale che è orribile... I problemi interni sono tanti, ma io ho fiducia; Israele è una società dinamica. Malgrado l’instabilità apparente credo che alla fine in Israele ci sia una profonda stabilità. Del resto quale altro Stato nella storia moderna è entrato in guerra coi suoi vicini perché si sono rifiutati di riconoscerlo? E questo innumerevoli volte e per più di mezzo secolo? E il processo di pace?La pace appartiene alle nuove generazioni. Possiamo già vedere in atto grandi cambiamenti, le opportunità non spariscono anche se oggi le persone sono sempre più depresse, sfiduciate rispetto al futuro, credono che tutto stia collassando. Ma io non smetto di essere positivo, vedo i giovani israeliani e penso che il cambiamento ci sarà.Lei è d’accordo con la soluzione “due popoli due Stati”?Tutti ci stiamo sperando, anche se sono passati anni dalla Prima Intifada e quest’idea si sta dimostrando sempre più astratta. È tempo di decisioni coraggiose da entrambe le parti. Sono preoccupato dalla virata a destra della società israeliana. L’odio contro il proprio vicino non porta da nessuna parte. La strada per il futuro è vivere insieme. Un percorso difficile, perchè le due parti devono imparare a rispettarsi.Tutti i suoi lavori racchiudono un forte valore simbolico. Quale può essere la chiave per interpretare le sue costruzioni per l’Expo di Milano?L’identità ebraica ruota intorno alla vita; per l’ebraismo tutte le cose sono vive e io ho voluto inserire proprio questo concetto anche nel mio lavoro milanese. Già a partire dal nome del progetto, Citylife, si capisce che parliamo di dare vita alla città e ai suoi cittadini, creando un ambiente sostenibile, bello e in relazione con la natura. Credo che questo sia il profondo significato ebraico del mio lavoro di architetto.Lei ama molto Leonardo da Vinci, tanto da averlo usato come fonte d’ispirazione sia nel progetto del Museo d’arte Contemporanea di Milano sia nella torre curva di Citylife.Sì, è così. Leonardo è molto importante, pensava che l’uomo fosse misura di tutte le cose. Leonardo ci aiuta a comprendere cos’è l’uomo e come si proporziona alla realtà. Il suo pensiero, e in generale tutta la concezione rinascimentale, sono un passo molto importante per capire che non siamo soli, che non viviamo il mondo solo per dominarlo.Come cambierà Milano con l’Expo?L’Expo porterà Milano nel mondo e il mondo a Milano. Sarà un importante meccanismo per rinnovarla facendola diventare la metropoli che non è mai stata.
Lavì Abeni e Fiona Diwan http://www.mosaico-cem.it/ 31/03/09,

domenica 5 aprile 2009

Il mercante di Venezia


di Riccardo Calimani , Mondadori Euro 18,50
Scrittore e storico apprezzato da un vasto pubblico, profondo conoscitore dell’ebraismo italiano ed europeo al quale ha dedicato molte opere, Riccardo Calimani dopo il saggio “Ebrei eterni inquieti” del 2007 torna in libreria con un romanzo d’avventure e di intrighi: Il mercante di Venezia”.Il titolo che rievoca il dramma di Shakespeare non deve trarre in inganno il lettore perché non c’è nulla del celebre usuraio Shylock nel saggio e carismatico Moses Conegliano, l’ebreo creato dalla penna di Calimani.Siamo all’inizio del Cinquecento in una Venezia che lotta per conservare la libertà messa a repentaglio dai vicini potenti, Carlo V e Francesco I di Francia oltre al papa Giulio II che non tollera i fermenti libertari della Serenissima.In questo affresco storico che non esclude la Riforma di Lutero e il Sacco di Roma del maggio 1527, Calimani racconta le vicende dei Conegliano, una famiglia di ebrei che cacciata da Treviso cerca rifugio nella città lagunare: “…L’acqua che protegge questa città è meglio di qualsiasi muraglia”.
Sotto la guida di Moses, uomo previdente e privo di qualsiasi ambiguità, un capofamiglia generoso che decide di farsi carico dei figli di Abraham De Leon, inizia per i numerosi personaggi che costellano il romanzo una nuova vita a Venezia tutt’altro che facile dove ciascuno sarà artefice del proprio destino: l’irrequieto Gabriele, il figlio con il quale Mosaes non riesce a entrare in sintonia e che si convertirà al Cristianesimo senza tuttavia trovare pace; l’adorato figlio Davide che decide di partire per l’Oriente; la giovane Stella che dopo la morte dell’amato Mandolin si legherà a un patrizio veneziano, Francesco Sebastiano Giustiniani, uomo dai solidi principi che accetterà de veder crescere i suoi figli nella religione ebraica; Sara, l’affettuosa e devota moglie di Moses, una donna timida e introversa che sboccerà nella sua femminilità una volta diventata madre del piccolo Simone Simhà Abraham, destinato a diventare rabbino.Attorno ai Conegliano si muovono individui scaltri e spregiudicati come il nobile Vettor Mocenigo, gaudenti come Giorgio Foscarini o donne sensuali e di prorompente bellezza come Angela Barbarico “capace di farsi ammirare dagli uomini e invidiare, se non odiare, dalle donne.”Sullo sfondo una città piena di fascino, turbolenta e cinica, spensierata e tollerante nella quale le varie peripezie dei protagonisti si intrecciano ai momenti più salienti della storia della Serenissima: il terremoto del 1511, il rogo dell’Arsenale, gli echi delle lotte tra cattolici e luterani e l’istituzione del Ghetto – il primo in Europa – per volontà del Maggior Consiglio e nel quale non tutti i membri della famiglia accetteranno di essere costretti a vivere.Attraverso le vicende dei Conegliano Riccardo Calimani con il rigore dello storico e la capacità narrativa del romanziere delinea i difficili rapporti fra ebrei e gentili, i tentativi dei primi di emanciparsi, la sofferta accettazione di vivere nel Ghetto per alcuni e la drammatica scelta di fuggire da Venezia per altri, abbandonando i propri affetti e le proprie case.In questo scenario costruito con grande sapienza l’autore, partendo da una prospettiva ebraica, offre uno scorcio su uno dei periodi storici più complessi della storia italiana restituendoci un mondo che, pur intravedendo segnali infausti attorno a sé, continua a credere nella libertà dell’uomo e a sperare in un futuro migliore.“…Si possono bruciare le pagine di un libro, di molti libri, ma non si possono, per fortuna, bruciare le idee”. Giorgia Greco



Money - Bank Hapoalim finisce in rosso,ma promette una svolta positiva

Israele non sfugge all’onda lunga della recessione: la seconda banca più grande del paese, Bank Hapoalim, ha infatti annunciato una perdita netta nel 2008 di 895 milioni di shekel (circa 163 milioni di euro), ancor più grave di quella che era stata stimata nel “profit warning” di febbraio che parlava di 780 milioni.In seguito a questa situazione si è dimesso il Ceo Zvi Ziv, anche per le incomprensioni e differenti vedute con il presidente del Consiglio d'amministrazione Danny Dankner, il quale ha affermato che nonostante le perdite, la banca sta già adottando i provvedimenti necessari per uscire dal periodo di difficoltà legato inevitabilmente alla crisi economica internazionale. Inoltre afferma sempre Dankner “la banca ha una solida base finanziaria e ci aspettiamo rendimenti positivi nei prossimi anni ed una rinnovata crescita nel lungo periodo”.Ziv sarà sostituito dal suo vice Zion Keinan, capo del Corporate Banking e con un’esperienza internazionale di 30 anni e a detta della banca il candidato naturale per questa posizione.La notizia ha ovviamente avuto grande risalto visto che questa è la prima volta dal 1988 che la banca finisce l’anno in rosso e fa ancora più scalpore se si pensa al risultato del 2007 nel quale i conti di Hapoalim avevano visto un utile di 2,7 miliardi di shekel (circa 490 milioni di euro).In un contesto del genere e in un periodo da caccia alla streghe nei confronti dei manager e dei loro superbonus, (in senso non solo metaforico dopo le immagini viste recentemente negli Usa e l’assalto alla casa del Ceo di Aig), fanno notizia anche gli stipendi dei top bankers: il dipendente più pagato in casa Hapoalim è il Ceo della divisione Capital Markets che nel 2008 ha guadagnato la bellezza di 11,5 milioni di shekel (poco più di 2 milioni di euro), mentre Dankner “solamente” 4,8 milioni di shekel (ovvero 870 mila euro).Notizie che non avranno certo fatto piacere ai correntisti della banca, i quali hanno anche saputo che l’ormai ex Ceo Ziv, il quale ha annunciato le dimissioni 21 mesi prima che il suo contratto scadesse e che lascerà la banca a fine anno dopo di 35 anni di servizio, che stando ai dati del 2008 ha gravato sui conti per la modica cifra di 3,3 milioni di shekel (circa 600 mila euro).Benjamin Oskar, http://www.moked.it/ 3 aprile 2009

Richard Goldstone

Gaza: Onu; Goldstone, media Israele notano origini ebraiche

I media online israeliani sottolineano stasera come un elemento di curiosità le radici ebraiche di Richard Goldstone: l'ex procuratore sudafricano del Tribunale per la Jugoslavia e per il Ruanda chiamato oggi alla guida di un'inchiesta Onu su "tutte le violazioni" connesse alla recente offensiva 'Piombo Fuso' nella Striscia di Gaza.http://www.bluewin.ch/ 03.04.2009