venerdì 5 dicembre 2008


Il dito è «letto» su frequenze speciali e l’impulso è trasformato in caratteri
Israele: il laptop del Sabato ortodosso

Ha una tastiera ultrasensibile per permettere di non infrangere le norme sul riposo
Caso uno: «Rabbi, domani operano il paziente e il mio laboratorio d’analisi deve stampare i risultati degli esami. Però oggi è sabato: come devo comportarmi?». Caso due: «E’ appena stato arrestato un ladro, lo portano qui in carcere: dobbiamo registrare i suoi dati. Come facciamo?». Caso tre: «Ci hanno chiesto dal ministero dell’Interno un’informativa urgente, ma oggi tutto deve stare spento. Come gliela mandiamo?». Da anni, i rabbini ricevono domande del genere. Perché per gli ebrei la Legge è chiara e i 39 divieti vanno rispettati: di sabato, è proibito disegnare, scrivere, cancellare, accendere o spegnere fuochi… E questo significa che è vietato pure utilizzare elettricità e pigiare i tasti, che stiano su un ascensore o su un computer. Nelle emergenze, da tempo l’interpretazione è elastica e se si tratta di vita o di morte, non c’è divieto che tenga: la salvezza d’un uomo viene prima del rispetto della regola. Ma ci sono mille altri casi, meno gravi e comunque seri: come fa, chi nel giorno del riposo ha anche altri doveri da assolvere e, soprattutto, un pc da usare? TASTIERA A SFIORAMENTO - Ci sono voluti anni, ora la soluzione è arrivata. Si chiama «Shabbath Computer Keyboard», la tastiera del sabato, ed è l’ultima trovata dell’informatica ultraortodossa. Dopo il «Jewberry», ovvero il blackberry che consente di pregare nei luoghi e alle ore più scomode, l’organizzazione benefica dello Zomet Institute ha studiato il laptop che permetterà di conciliare la professione della fede e la fede nella professione. La presentazione, lunedì a Gerusalemme, nel mezzo d’un congresso internazionale che raduna 80 rabbini da 25 Paesi. «Ci abbiamo lavorato un anno – spiega Yisrael Rosen, che ha diretto la ricerca, 20mila dollari d’investimento -, e le prime applicazioni saranno nel campo della medicina e della sicurezza». Il pc del sabato sostituisce la tastiera con una superficie liscia e compatta, sulla quale il dito non deve cliccare o schiacciare né interruttori, né mouse e nemmeno pulsanti, ma solo sfiorare con leggerezza: nessun circuito elettrico viene attivato o spento e il comando è trasmesso mediante sensori, microprocessori, fibre ottiche, pixel. FUTURE APPLICAZIONI - «E’ un po’ quel che succede per le telecamere nei più moderni circuiti di sicurezza – dice il rabbino Rosen -, il dito è ‘letto’ e interpretato su frequenze speciali, in vari punti del pannello, e l’impulso è trasformato in caratteri, numeri, qualsiasi altra funzione. Questa lettura evita che sia la mano a imprimere direttamente il comando a un circuito elettrico». Sperimentata dal «rabbino militare», la tastiera speciale è già stata acquistata dall’esercito israeliano, ma la sua applicazione potrebbe andare oltre l’ambito dei religiosi osservanti: «Questo sistema – spiega Rosen – s’ispira a quelli già usati in ambienti sterili, vedi le sale operatorie, o dov’è necessario proteggere il laptop dall’ambiente esterno, per esempio in mezzo a un deserto. Però presenta maggiori garanzie di sicurezza». La tastiera del sabato non costa neanche molto, circa 200 euro, ma l’idea è di scendere ancora: «Ne facciamo pochi esemplari. Per adesso, siamo costretti a fabbricarla in metallo. Se troviamo chi ci finanzia, potremo farlo diventare uno strumento di massa». 02 dicembre 2008, http://www.corriere.it/

Raphaël Zagury-Orly

Leggere Heidegger a Gerusalemme

Un filosofo israeliano ebreo riabilita il pensatore tedesco "Era nazista, ma nei suoi scritti non c’è antisemitismo"
FRANCESCA PACI CORRISPONDENTE DA GERUSALEMME
Leggere Heidegger in Israele è problematico. Almeno quanto ascoltare la musica di Wagner che, come il grande filosofo tedesco autore di Essere e tempo, viene associato alla Germania di Hitler. Del primo però si discute, l’altro resta tabù. «Il nazismo di Heidegger è meno ovvio di quello di Wagner», spiega Raphaël Zagury-Orly, seduto al ristorante Cantina di Rothschild Boulevard, nel cuore Bauhaus di Tel Aviv. Enfant prodige della filosofia contemporanea, scoperto tra i banchi della Sorbona di Parigi da Jacques Derrida, Zagury-Orly è nato a Haifa 41 anni fa da genitori ebrei marocchini, ma si è trasferito in Israele solo nel 2003. È tornato per la gioia dei polemisti: il saggio che ha appena pubblicato con l’amico e collega Joseph Cohen sulla rivista Les temps modernes, la bibbia del pensiero francese fondata da Sartre all’indomani della seconda guerra mondiale, analizza Martin Heidegger separando la dottrina del professore che amò in modo tormentato Hannah Arendt dalla sua adesione al nazismo. Un filosofo ebreo può davvero affrontare Heidegger senza inciampare nella teoria razziale?«Heidegger non ha mai sposato le teorie razziali. Il suo nazismo non fu biologico ma spirituale. Peggio, magari. Il punto però è un altro: io non evito il nazismo, cerco d’individuare nei testi di Heidegger un’indecisione tra "il luogo" definito dal contesto nazionale e nazionalista e "il luogo" dell’essere che Heidegger lascia indefinito. La filosofia è proprio questa doppia sfida: inserire il pensiero nel contesto storico e poi sganciarlo. Una dinamica che si capisce bene in Israele». Perché?«Qui sperimentiamo ogni giorno la contraddizione tra generale e particolare, universale e nazionale, ebraismo e laicità». Come spiega l’interesse d’Israele per Heidegger e il rifiuto di Wagner, uno dei massimi compositori della storia della musica? «In Israele ci sono sopravvissuti alla Shoah che hanno ascoltato la musica di Wagner diffusa dalla radio dei Lager. Wagner è stato usato dai nazisti, Heidegger no, era incontrollabile. Il saggio di Wagner Il giudaismo nella musica è pervaso di antisemitismo, mentre non ce n’è traccia negli scritti di Heidegger, non più comunque di quanto compaia nei libri di Kant, Hegel, Voltaire. Heidegger era nazista, forse antisemita, ma in maniera assai più complicata».Qual è l’eredità di Heidegger?«Il tentativo di ripensare l’uomo con una definizione diversa da quella di essere autonomo. Per questo è fondamentale per il pensiero ebraico, perché la definizione biblica dell’uomo precede la sua libertà. Responsabilità in ebraico si dice hahraiut, una parola che deriva da aher, altro. Senza la chiamata di Dio, Abramo non si sarebbe mai incaricato del suo popolo che, contrariamente a quanto predicava il nazismo, si definisce eletto perché non ha scelto ma è stato scelto».Lei ha scelto di tornare. Le manca la dimensione della diaspora?«La diaspora è parte d’Israele, dove convivono nazionalismo e esilio. A differenza di quanto crede la Francia, e forse anche l’Italia, Israele non è solo affermazione d’identità. Il sionismo avrebbe voluto omogeneità, ma ha prodotto molteplicità. Non parlo della babele di lingue e culture. In Israele gli ebrei si confrontano con la questione dell’identità come mai in passato. Era facile essere ebrei tra non ebrei, nella diaspora. Ora abbiamo di fronte gli stranieri, i religiosi, i laici, Dio e lo Stato».L’unico sopravvissuto dei terroristi di Mumbai ha rivelato che il commando voleva «uccidere gli ebrei». Israele ha risposto alzando l’allarme contro il jihad globale, il nuovo antisemitismo.«L’antisemitismo non è mai nuovo. Neppure quello cosiddetto di sinistra. Mi duole ammetterlo, sono un uomo di sinistra, ma la sinistra non è mai stata estranea al totalitarismo. A suo modo, certo, non come la destra. A questo si aggiunge la relazione complicata con Israele. L’Europa sente fatica per la questione ebraica, è normale, è giusto. Spero che gli ebrei restino un trauma per anni. Solo che attraverso questa fatica Israele diventa la scusa per dire: d’accordo, gli israeliani non sono diversi da noi. Inoltre l’Europa si è allontanata, o così crede, dall’idea di Stato nazionale. Israele le ricorda com’era negli anni 60, come avrebbe trattato i palestinesi allora ma oggi non più. È un doppio errore. Nonostante Israele sia legato all’Occidente e talvolta sia tentato dal peggio dell’Occidente, non è solo un agente del colonialismo, esce dagli schemi, spariglia le carte».Che ruolo ha la filosofia nella società israeliana contemporanea? «So che ruolo dovrebbe avere, quello di alimentare la tensione tra stare insieme e preservare l’identità. Coltivare la domanda, il luogo dell’apertura. Personalmente non potrei più vivere altrove».Per questo è finito a insegnare filosofia a Gerusalemme?Ride. «Da piccolo sognavo di fare il poliziotto».Allievo di DerridaRaphaël Zagury-Orly, 41 anni, è nato a Haifa da una famiglia ebrea marocchina. Allievo di Derrida alla Sorbona di Parigi, dal 2003 è tornato in Israele.3/12/2008 http://www.lastampa.it/

Tel Aviv -museo d'arte

Approvata all'unanimità in Aula la mozione su "Durban 2"

Mozione presentata dall'On. Nirenstein il 29 ottobre discussa e votata in Aula all'unanimità il 4 dicembre"sulle iniziative in vista della preparazione della Conferenza mondiale contro il razzismo, la discriminazione razziale, la xenofobia e l’intolleranza, che si svolgerà a Ginevra nel mese di aprile 2009"
La Camera, premesso che: la «Conferenza mondiale contro il razzismo, la discriminazione razziale, la xenofobia e l'intolleranza», svoltasi a Durban nel 2001 su iniziativa dell'Onu, secondo i firmatari del presente atto di indirizzo si trasformò in un processo politico contro lo Stato di Israele, chiamato, dal banco degli imputati, a rispondere ad accusatori che erano (e sono) per la gran parte regimi responsabili di politiche costituzionalmente fondate sul rifiuto del pluralismo culturale, sull'intolleranza religiosa e sulla persecuzione di ogni forma di dissenso e di «differenza» personale o civile; in quell'occasione, la Conferenza Onu - incentrata, secondo i firmatari del presente atto di indirizzo, surrettiziamente, sul «caso Israele» fece dunque del razzismo il pretesto per rilanciare una campagna di linciaggio morale, politico e religioso del popolo ebraico e dello Stato d'Israele; il clima della Conferenza di Durban venne quindi compromesso dall'atteggiamento discriminatorio di alcuni Stati e capi di governo (da Mugabe a Fidel Castro) e della maggior parte delle organizzazioni non governative (ONG) presenti: per questa ragione, gli Stati Uniti e Israele abbandonarono la Conferenza, nel corso della quale si verificarono numerosi episodi di natura antisemita, come la distribuzione ai partecipanti dei Protocolli dei Savi di Sion e l'esclusione di membri di ONG ebraiche da alcune sessioni del Forum delle ONG, che si svolgeva in concomitanza al vertice; fino all'ultimo dei nove giorni della Conferenza, alcuni paesi tentarono di reiterare il precedente della Risoluzione 3379 approvata dall'Assemblea Generale ONU nel 1975 (e peraltro revocata, dallo stesso consesso, il 16 dicembre 1991) e di inserire nella Dichiarazione finale del vertice la formula «sionismo uguale a razzismo»; il tentativo venne infine scongiurato anche grazie alle pressioni dell'Unione Europea; la prossima Conferenza mondiale contro il razzismo, la discriminazione razziale, la xenofobia e l'intolleranza, nota come «Durban II» o «Durban Review Conference», è programmata per l'aprile 2009, a Ginevra; il Comitato preparatorio è presieduto dalla Libia ed è composto da stati come Iran e Cuba. Osservando la preparazione, si evince che è alto il rischio che anche la prossima Conferenza contro il razzismo si trasformi in una conferenza razzista contro Israele; verso la metà di ottobre, il Comitato preparatorio ha raccolto tutti i contributi nazionali in un documento di lavoro in vista della predisposizione del Documento finale della prossima Conferenza di Ginevra; nel testo si allude in modo tanto implicito quanto scoperto a Israele come a un'entità «straniera occupante la cui legge si basa sulla discriminazione razziale [...] che costituisce una grave violazione dei diritti umani e del diritto umanitario, un nuovo modello di apartheid, un crimine contro l'umanità, una forma di genocidio e una seria minaccia alla pace e alla stabilità internazionale»; su questa base si «reitera la preoccupazione [dell'ONU] per la grave condizione del popolo palestinese soggetto all'occupazione straniera»; il fatto che i palestinesi siano l'unico popolo menzionato come oggetto di discriminazione prospetta una evidente continuità con la linea perseguita nella Conferenza di Durban; se la discussione su razzismo e discriminazione continuerà a poggiare su premesse di questo genere, la «Durban Review Conference» diventerà di nuovo un accanito forum anti-israeliano. Quanto al tema del razzismo, è oltremodo errato il pregiudizio tipico del vertice del 2001, che ritroviamo nei documenti preparativi attuali, secondo i quali il razzismo, l'intolleranza e la schiavitù sono responsabilità esclusiva dell'Occidente. La storiografia qualificata corrente ha confermato che tali fenomeni hanno una ben più vasta e globale diffusione. Un'analisi sbagliata renderebbe impossibile contrastare le politiche di oppressione etnica, culturale e religiosa che negli ultimi decenni hanno insanguinato vaste aree del mondo, tra le quali oggi emerge, con sempre più allarmante chiarezza, la persecuzione violenta dei cristiani in molti paesi islamici e in larga parte del continente asiatico; numerosi Paesi si sono già dimostrati consapevoli del rischio di replicare nel 2009 a Ginevra quanto avvenne nel 2001 a Durban: nello scorso gennaio il Canada, valutandone il processo preparatorio, ha annunciato tramite il proprio Ministro degli esteri e il Segretario di Stato per il multiculturalismo e l'identità canadese, che non parteciperà alla Conferenza di Ginevra; Israele ha dichiarato a sua volta che non parteciperà sotto la minaccia che la Conferenza si trasformi in una tribuna di propaganda antisemita. Il Congresso Americano ha adottato la Risoluzione 1361 (23 settembre) che impegna il Governo a «guidare un grande sforzo diplomatico [...] per sconfiggere la campagna di alcuni membri dell'Organizzazione della Conferenza Islamica per distogliere la Review Conference dai problemi reali [...], attaccando invece Israele, promuovendo l'antisemitismo e sovvertendo la Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo». Il Presidente francese Sarkozy ha annunciato il ritiro dal percorso preparatorio se esso non abbandonerà la deriva anti-israeliana; impegna il Governo:
a verificare con attenzione, assieme ai partners europei, gli esiti e gli orientamenti che emergono dal processo di preparazione della prossima «Conferenza mondiale contro il razzismo, la discriminazione razziale, la xenofobia e l'intolleranza»; a intervenire in sede europea affinché venga scongiurato il rischio che la Conferenza si svolga su una piattaforma ispirata all'intolleranza e alla discriminazione etnica, culturale e religiosa; ad agire perché i documenti preparatori contengano solo l'intento di combattere il razzismo e la discriminazione a qualsiasi latitudine e per qualsiasi motivo essa sì rappresenti e perché decada lo scopo non recondito della delegittimazione dello Stato d'Israele; ad esercitare la massima vigilanza e ad agire concretamente affinché la Conferenza sia effettivamente volta a promuovere la lotta contro il razzismo e contro le discriminazioni di ogni genere, piuttosto che un pretestuoso palcoscenico per l'incitamento all'odio nei confronti di alcuni popoli, stati o minoranze etniche e religiose. (1-00055) «Nirenstein, Bocchino, Boniver, Guzzanti, Pianetta, Picchi, Ruben, Pistelli, Repetti, Corsini, Colombo, Mecacci, Malgieri, Mazzoni, Maran, La Malfa».
Intervento in Aula (consegnato agli atti e riassunto al momento delle dichiarazioni di voto):Signor Presidente, Colleghi,
rischia di ripetersi oggi, a sette anni di distanza, un evento che ha portato grande disonore alla comunità internazionale rappresentata dall’ONU, e la mozione che ci accingiamo a discutere è intesa a salvare il senso del grande valore che appunto l’ONU, nato sulle ceneri della seconda guerra mondiale, dovrebbe dare alla lotta contro il razzismo. Invece durante la conferenza di Durban dell’agosto 2001 contro il razzismo, alla vigilia dell’11 settembre 2001, in Sud Africa si prefigurava ciò che sarebbe accaduto di lì a pochi giorni, ovvero l’attacco terroristico più letale e significativo che il mondo avesse mai visto, quello che purtroppo doveva aprire una nuova era.
A Durban le ONG invitate a fiancheggiare la conferenza dell’ONU contro il razzismo, marciavano in cortei che portavano il ritratto di Bin Laden, che maledivano l’America e ne bruciavano le bandiere, che proclamavano Israele stato di apartheid, i cui partecipanti inseguivano gli ebrei che osassero apparire con la kippà. Nelle varie sessioni della conferenza, Mugabe, Fidel Castro, Arafat, arringavano i delegati con accenti di disprezzo verso l’Occidente e di puro odio verso Israele. Dalle riunioni delle ONG, gli ebrei venivano cacciati a forza, documenti antisemiti dai toni inenarrabili inneggiavano alla guerra terrorista. Io li conservo, inondarono la conferenza e la stampa. Si distribuiva ai partecipanti i Protocolli dei Savi di Sion. Il fenomeno della schiavitù, da cui certo nessuna civilizzazione può dirsi aliena, veniva addossato alla sola società occidentale, con conseguenti deliri ideologici che faceva specie veder trattati da una tribuna internazionale così prestigiosa.Io ho visto tutto questo di persona, e mi ricordo quando, sconsolate, Margherita Boniver, allora Sottosegretario agli Esteri con delega per i Diritti Umani ed io ci incontravamo nei corridoi del palazzo che ospitava la conferenza dell’ONU. Le pressioni dell’Unione Europea e i furiosi interventi del Canada, di Israele e degli USA impedirono che nel documento finale si inserisse la dichiarazione “sionismo uguale razzismo”, che solo dieci anni prima era stata cancellata dall’ONU per rimediare allo scempio del 1975.Oggi siamo qui a cercare di impedire che quello scempio si ripeta identico nel prossimo mese di aprile a Ginevra, dove la seconda puntata di quella conferenza viene preparata esattamente con le stesse modalità di quello scandalo internazionale. Oltre all’Australia, alla Danimarca, al Canada, adesso i portavoce del presidente eletto americano Barack Obama hanno assicurato che gli USA non prenderanno parte a quella conferenza se si configurerà nei termini attuali; anche Hillary Clinton promise in campagna elettorale che gli USA saranno in testa alla campagna di boicottaggio della conferenza. Israele ha già dichiarato che stavolta non cadrà nella trappola. Infatti questa conferenza che dovrebbe essere contro il razzismo e “verificare i progressi” fatti dal 2001, sta preparando, sulla base del lavoro di un Bureau preparatorio presieduto dalla Libia e composto da stati come Iran e Cuba, violatori sistematici dei diritti umani, il documento che costituirà la base dei lavori della conferenza di Ginevra. L'ultima bozza di tale documento, pubblicata di recente, si riferisce a Israele come a un’entità "straniera occupante la cui legge si basa sulla discriminazione razziale […] che costituisce un nuovo modello di apartheid, un crimine contro l’umanità una forma di genocidio e una seria minaccia alla pace e alla stabilità internazionale”. I palestinesi sono l'unico popolo menzionato come oggetto di discriminazione e viene invocato il diritto al ritorno. I documenti, piuttosto di occuparsi della cultura dell’odio e del suo carattere discriminante nei confronti di svariate minoranze etniche e religiose, si riferiscono invece esclusivamente ai problemi derivanti dall’identificazione dell’islamismo col terrore e dei pregiudizi da cui la società occidentale sarebbe inondata su questo tema. Non sono citati i continui attacchi religiosi ai cristiani nei Paesi mussulmani, ma solo “il monitoraggio e la sorveglianza dei luoghi di culto dei centri di cultura e di insegnamento dell’Islam” e quando si ricorda quasi incidentalmente l’antisemitismo e la cristianofobia, si invita invece a fare “particolare attenzione” all’islamofobia. La conferenza contro il razzismo viene di nuovo dunque impostata su un terreno prefabbricato, pieno di bias e di cultura dell’odio. I nostri partner europei, Francia, Inghilterra, Olanda e Danimarca, dopo la pubblicazione dell’ultima bozza del documento preparatorio, stanno fissando delle linee rosse che se non tenute in considerazione porteranno all'abbandono del processo di Durban. L’Italia, dal suo onorato ruolo nell’ONU e nel Consiglio per i Diritti Umani nel 2010, ha i mezzi per monitorare nelle sedi competenti il processo preparatorio della prossima conferenza.
Sono sessanta anni in questi giorni dalla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo. Oggi, l'accoglimento della mozione in esame rappresenterebbe un omaggio a questo documento fondante della nostra società democratica e una semplice ma ben motivata difesa dell’onore della comunità internazionale, dell’onore che l’ONU abbandona soggiacendo alla forza delle nazioni e delle forze totalitarie e nemiche dei diritti umani, troppo spesso dimentico di se stesso, anche di fronte a un pericolo che è quello ben chiaro e ben presente del diffondersi della cultura dell’odio e quindi della guerra di religione, che porta al terrorismo internazionale e al disprezzo della democrazia.

martedì 2 dicembre 2008

Claudio Magris

Claudio Magris: "Mi sento un ebreo onorario"

L'identità: «Amo la loro resistenza incoercibile, la capacità di essere se stessi»
di ALAIN ELKANN
Siamo a Gerusalemme, Claudio Magris ha appena finito un dibattito pubblico con Abraham Yehoshua, lo scrittore israeliano parlava dell’importanza delle frontiere, lo scrittore triestino parlava di Trieste, di aneddoti ebraici, di vittorie ebraiche, con molta enfasi e con molto spirito. Il loro dibattito seguiva due interventi avvenuti in precedenza, uno del presidente Giorgio Napolitano e l’altro del presidente israeliano Shimon Peres. Claudio Magris si siede nel caffè adiacente alla sala conferenze, beviamo una birra e gli chiedo: «Che rapporto ha con la letteratura ebraica»? «Un rapporto molto intenso, soprattutto con quello della diaspora. Nel mio libro “Lontano da dove” ho spiegato molto bene questo e soprattutto penso al mio rapporto con due grandi scrittori Singer e Canetti. Più tardi sono arrivato alla letteratura israeliana». Ma com’è stato il rapporto con Singer? «Ci siamo scritti con la libertà di chi non si conosce veramente. Io gli scrissi a proposito di un suo libro chiedendogli perché scriveva romanzi stagionati e lui mi rispose: “Scrivo quello che ho voglia di scrivere”. La differenza è che forse io ero più intelligente di lui, ma lui era un genio. L’ho conosciuto agli inizi degli anni Sessanta. Lessi il suo racconto “Il non veduto”, un capolavoro, e gli scrissi una lettera da Trieste. Ricordo che era settembre, ero appena tornato dal mare e indirizzai quella lettera all’editore americano Farrar Strauss. Scrissi la lettera in tedesco, lui mi rispose “tanti saluti a lei e alla sua famiglia e ai suoi amici”. Questo fatto di includere gli amici mi parve straordinario». E invece Canetti? «Abbiamo avuto un rapporto intenso, io andavo Zurigo, lui veniva a Trieste. Devo molto a Canetti. In un momento difficile mi scrisse molte lettere. Quando si sposò la seconda volta mi scrisse. Poi ci fu un raffreddamento. Perché lui voleva controllare tutto. Gli dissi che la sua autobiografia era interessante ma non era a livello del suo romanzo “Auto da fé”, dove straordinaria è la follia. Canetti ad un certo punto del suo diario scrisse “La nostra amicizia è finita”, alludeva a me». E lo scrittore israeliano Appelfeld? «Lo conosco poco, ma l’ho letto e si sente la componente del bacino plurimo della Mitteleuropa». Yehoshua ha appena parlato della necessità dei confini territoriali. Lei cosa ne pensa? Ha ragione, è giusto? «L’ideale sarebbe superare i confini. I confini sono soltanto una necessità, non li sento come un ideale». Lei ha detto di essere un ebreo onorario, cosa significa? «Sono affascinato dalla incoercibile resistenza, dalla capacità di essere se stessi propria degli ebrei. Mi attrae il fatto che il fratello di Scholem sosteneva che la cultura tedesca fosse la più grande e quando andò in Israele e gli chiesero anni dopo, dopo il nazismo: “La pensa ancora nello stesso modo?”. Lui rispose: “Sì, certo, credete che basti un Hitler qualsiasi per farmi cambiare idea?”. E ricordo anche un personaggio straordinario a Trieste, Fano, aveva il terrore del raffreddore, era attivissimo, sempre calmo. Mi ricordo che andando a casa prendeva lo zucchetto, lo scaldava sulla lampadina e furtivamente si metteva a letto e gli chiedevo perché. E lui rispondeva: “Per risparmiare forze”». Ma cosa vuol dire tutto questo? «Era una civiltà piena di religiosità, ma di una religiosità irriverente». Essere a Gerusalemme cosa vuol dire per Lei? «E’ la prima volta che vengo, mi ha colpito molto. Ci ho messo qualche giorno prima di vedere il primo poliziotto. Ho trovato Gerusalemme più orientale e più tranquilla di quanto non immaginassi». E come scambio intellettuale? «Ho avuto sempre incontri privilegiati, però non conosco ancora la dimensione media, quella della vita quotidiana. Mi piace molto vedere che a Gerusalemme è come se ci fossero tanti quartieri tra loro staccati». E come si è trovato? «Non ho avvertito grande tensione. Ma la mia è la testimonianza di uno che non sa veramente come stanno le cose». Il tempo della nostra intervista è scaduto. Claudio Magris viene richiamato insieme a me per recarsi a un incontro con il Presidente Shimon Peres e il Presidente Napolitano. Poi seguirà una lunga passeggiata nei quartieri tedeschi e nel quartiere ebraico di Gerusalemme insieme al Maestro Uto Ughi e alla Professoressa Della Seta. Camminando, Magris ribadisce il concetto di prima e dice al violinista: «Gerusalemme è veramente una città fatta di tante realtà urbane diverse. Ma mi restano ancora alcuni giorni per cercare di conoscerla meglio».


Meidad Pariente and Raz Tamir of the Israel Nanosatellite Association (INSA) with the InKlajn-1 1:1 model.

Israele lancera' 1/o nanosatellite

Sara' nello Spazio entro la meta' del 2009
Il primo nanosatellite israeliano sara' lanciato in orbita verso la meta' del 2009 dal centro spaziale indiano di Satish Dhawan.'Sara' un prodotto di avanguardia tecnologica' ha previsto Raz Tamir, direttore dell'Associazione israeliana dei nanosatelliti (Insa). Questo tipo di satellite Gps, scrive la stampa, costera' 150mila dlr e avra' un peso massimo di 10 kg. Il suo lancio sara' piu' economico di quello dei satelliti standard di tipo Leo, la cui produzione costa 15 mln di dlr.


sobborghi di Gerusalemme

Storiella politicamente scorretta.

Ad un incontro per il dialogo religioso ebraico - musulmano si presentano un rabbino e un imam. Il rabbino annuncia "Introdurrò l'incontro raccontando un midrash: 'al tempo dell'Esodo, nel deserto del Sinai, Mosè si allontana dall'accampamento e trova un'oasi con un laghetto. Essendo accaldato, e non vedendo nessuno intorno a sè, si spoglia completamente e si immerge nell'acqua. Ma quanto ne esce non trova i suoi vestiti, perchè gli sono stati rubati da un palestinese'..." " E' falso, -urla l'imam,- a quell'epoca i palestinesi manco esistevano!!!!" "Bene, molto molto bene,- risponde il Rabbino, -ora possiamo iniziare a dialogare su ottime basi!!!!!!" dal blog di deborah


Spie all’ombra della Mezzaluna

di Anita Engle Baldini Castaldi Dalai Euro 18,50

Zikhron Ya’aqov, che in ebraico significa “Ricordo di Giacobbe”, è una città d’Israele a 35 chilometri a sud di Haifa; situata sul versante meridionale del Monte Carmelo domina il Mar Mediterraneo. E’ stato il primo insediamento ebraico nel paese, fondato nel 1882 dal barone Edmond James de Rothschild, ed è un luogo ricco di fascino e di storia che dovrebbe divenire meta di ogni turista che visita Erez Israel.Qui ha preso avvio una delle pagine più intense, ancora poco conosciuta, della storia degli ebrei di Palestina durante la prima Guerra mondiale.
Ad Anita Engle, ricercatrice inglese e autrice di diverse monografie, va il merito di aver ricostruito in questo agile saggio le esistenze di un gruppo di giovani che nei primi anni della guerra con inesauribile coraggio e determinazione hanno dato vita ad una organizzazione di spionaggio per aiutare gli inglesi nella loro guerra contro i turchi. Dopo aver sterminato gli armeni l’Impero ottomano aveva rivolto le sue mire alla terra di Palestina nella quale molte famiglie di ebrei in fuga dai pogrom dell’Europa dell’Est si erano insediate e, a prezzo di enormi sacrifici, avevano reso fertile una terra paludosa e insalubre.E’ in questo periodo che nasce la consapevolezza di dar vita ad una associazione segreta per la liberazione della Palestina dal giogo ottomano che possa costituire un collegamento fra le truppe inglesi di stanza in Egitto, comandate dal generale Edmund Allenby, e gli ebrei ostili al dominio turco. Nasce così il NILI (acronimo di Netzach Israel lo Ishakare, La gloria di Israele non mentirà e non si pentirà) di cui una giovane donna, Sara Aaronsohn, insieme al fratello Aaron e all’amico Absalom Feinberg, costituiranno l’anima e un punto di riferimento imprescindibile per tutti quei giovani come Yosef Lishansky, Naaman Belkind che mettendo a repentaglio la propria vita decideranno di unire le loro forze per la liberazione della Palestina.Il saggio di Anita Engle ricostruisce con rigore storico, passione e intelligenza avvalendosi altresì di una prosa fluida e scorrevole le figure dei protagonisti, un caleidoscopio di volti che lasciano un’impronta indelebile nella mente del lettore.
Seppur poco conosciuta in Israele, Sarah Aaronsohn è una delle personalità storiche più interessanti dei primi anni del Novecento. Cresciuta nel villaggio di Zikhron Ya’aqov dove la famiglia proveniente dalla Romania si era insediata in una casa ancor oggi circondata da un giardino rigoglioso e pieno di luce, non è solo l’anima del NILI nelle cui attività verrà sempre più coinvolta dal fratello Aaron, ma è anche una giovane donna operosa che insieme alla sorella Rivka aiuta la madre nelle faccende domestiche e si concede talvolta qualche breve passeggiata lungo la via principale del villaggio, indossando con civettuola femminilità abiti da lei stessa cuciti.
Aaron, il fratello di Sarah, è un giovane eclettico e intraprendente con un temperamento pratico ma ribelle al punto da entrare in conflitto con la propria comunità per la diversa prospettiva con la quale i capi dell’Yishuv intendono conservare il rapporto con i turchi: se Aaron è convinto che solo attraverso la vittoria degli inglesi potrà avvenire “la liberazione e la rinascita del popolo ebraico” l’Yishuv ritiene che solo la ricerca di una pacifica convivenza (non esente certo da compromessi) possa garantire la tranquillità agli ebrei di Palestina.
Aaron, dotato di una spiccata personalità, fin da bambino rivela un’ intelligenza eccezionale e le doti scientifiche che “avrebbero fatto di lui uno dei più grandi innovatori agrari a livello mondiale”. Dedicatosi alla botanica nel 1906 scopre il grano selvatico nelle montagne dell’Alta Galilea e lungo le pendici del monte Hermon, una scoperta che gli conferisce notorietà mondiale e che cambia le sorti dell’agraria moderna.Grazie a quel ritrovamento è inviato in America come consulente e nel 1910 torna in Palestina dopo aver realizzato il sogno della sua vita: aveva trovato i fondi per una Stazione agraria sperimentale in Palestina. Come terreno localizza una zona nota per la sua siccità: Atlit, ai piedi del Monte Carmelo, “dove dune di sabbia si alternavano ad acquitrini malarici”.Per tutto l’anno nella Stazione di Aaron ci sono piante e fiori; “…….con la siccità o con la pioggia i campi di grano, avena e orzo prosperavano”.
Attorno ad Aaron si forma un gruppo di allievi giovani e devoti: fra questi, Absalom Feinberg, dotato di un’intelligenza e di un intuito eccezionali, un ragazzo volitivo amante della musica e della poesia, impetuoso e temerario sarà una delle figure di spicco del NILI, capace di catalizzare le passioni di molti giovani. Absalom, attratto da Sarah che è anche un’ottima amazzone, condivide con lei la passione per il nuoto, le sfide a cavallo e il profondo amore per la Terra di Palestina alla quale sacrificheranno la loro vita.Purtroppo la considerazione di cui Aaron gode all’estero non è ricambiata in Palestina dove si è sviluppata una comunità più incline agli ideali e alle speculazioni filosofiche che al conseguimento di traguardi scientifici.
Con lo scoppio della guerra la situazione per gli ebrei si aggrava: l’antisemitismo dei turchi si acuisce e da Constantinopoli Sarah che nel frattempo si è sposata, racconta le atrocità commesse dagli Ottomani nei confronti degli armeni.Aaron decide di sacrificare le sue ambizioni di scienziato per mettersi a disposizione degli inglesi in quanto è fermamente convinto che “una vittoria tedesca o anche solo la sopravvivenza del governo turco, per gli ebrei avrebbe significato lo sterminio”.Dopo molteplici difficoltà, entra in contatto con il luogotenente Woolley dell’Alto Comando del Cairo, il quale acconsente ad utilizzare il gruppo di Atlit come servizio di spionaggio.
Fra i giovani appartenenti al NILI conosciamo Naaman Belkind di Rishon Le Ziyyon, un ragazzo gentile e affabile imbevuto del patriottismo di Absalom; Yoseph Lishansky, scalto e con una mente acuta, conosce perfettamente gli arabi e i drusi con i quali è cresciuto, è costretto ad assumersi molte responsabilità all’interno del NILI dopo la morte di Absalom; Liova Schneersohn, profondamente innamorato di Sarah, è consapevole del suo ruolo all’interno dell’organizzazione spionistica e non elude le sue responsabilità nemmeno dinanzi a operazioni rischiose.Grazie ad un’invasione di locuste che da marzo a ottobre del 1915 distrugge tutta la vegetazione della Palestina, Aaron ottiene dalle autorità ottomane, preoccupate per i rifornimenti delle truppe, il permesso di potersi muovere liberamente lungo tutto il paese insieme al gruppo incaricato di combattere l’invasione.Mentre Sarah Aaronsohn, tornata da Costantinopoli in Palestina per aiutare i suoi fratelli ebrei, sovrintende alle operazioni da Zikhron Ya’aqov, per i membri del NILI inizia un periodo di intercettazioni ardite, trasferte rischiose, viaggi pericolosi in incognito: dal febbraio al settembre 1917 la nave Monegan percorre la fascia costiera vicino ad Atlit e a un segnale convenuto si ferma per attendere la consegna di quelle preziose informazioni in grado di accelerare la vittoria degli inglesi.Nell’inverno del 1917 uno dei piccioni viaggiatori di cui i membri del NILI si servono talvolta per eludere la presenza di sottomarini tedeschi, cade in mano agli Ottomani che nel giro di una settimana riescono a decifrare il codice NILI.Per Sarah e per tutti i membri dell’organizzazione è la fine: nella prigione di Nazareth sono sottoposti a lunghe e ripetute torture ma nessuno rivela i segreti dell’organizzazione.A Sarah vengono inflitti patimenti ancor più atroci senza che la giovane donna si lasci sfuggire nulla che possa compromettere la vita degli altri, anzi suscitando nel generale Adrianus Bey ammirazione per la sua forza d’animo e il suo indomabile coraggio.Tuttavia temendo di non poter resistere oltre alle torture inflitte, con uno stratagemma entra in possesso di una pistola e si suicida.
Aaron verrà a conoscenza della morte di Sarah e della fine del NILI solo nel gennaio del 1918 quando tutto quello per cui si erano battuti si stava realizzando: la dichiarazione Balfour, il mandato inglese sulla Palestina e la conquista di Gerusalemme da parte del generale Edmund Allenby.Né Aaron né il NILI vengono menzionati o elogiati nei resoconti ufficiali della campagna in Palestina. ….Sono spie straniere, considerate come dei paria dagli ebrei palestinesi; la stessa famiglia Aaronsohn subirà l’ostracismo e contro Sarah e Aaron, quest’ultimo morto in circostanze misteriose a bordo di un aereo di ritorno a Parigi, circoleranno accuse infamanti.
Un comportamento reso ancor più ingiusto dal fatto che il gruppo NILI per tutto il tempo della guerra aveva fornito, attraverso la sua rete, enormi quantità di monete d’oro per garantire la sopravvivenza degli ebrei espulsi da Jaffa e Tel Aviv, ammassati nei campi di concentramento.
Pubblicato per la prima volta nel 1959 con il titolo Nili Spies, l’appassionante saggio di Anita Engle è l’accurata ricostruzione storica di una pagina molto importante della storia della Palestina che ha avuto un impatto determinante nella progressiva presa di coscienza dell’identità israeliana.Dedicato agli eredi spirituali del gruppo NILI – coloro che caddero nella guerra di indipendenza ebraica – il libro della Engle suscita profondo rispetto e ammirazione per il coraggio di quei giovani e per la situazione drammatica nella quale si sono trovati a operare.
Richiamandoli dall’oblio l’autrice è riuscita a trasmettere in modo mirabile la scintilla che li ha animati e la forza dell’ideale perseguito: anche per questo la Memoria specialmente dopo l’immane tragedia della Shoah, è un dovere imprescindibile. Giorgia Greco

lunedì 1 dicembre 2008

Gerusalemme - Knesseth

Una bellissima notizia!

Sandra la baby sitter che ha salvato Moshe il figlio di Rabbi Gavriel e Rivka Holtzberg uccisi alla Chabad House, arrivera' in Israele domani, con un visto speciale che le garantira' la possibilita di rimanere in Israele per sempre, in aggiunta le verra' conferito il titolo di Giusto fra le Nazioni che viene dato a persone che hanno aiutato o rischiato la vita per aiutare Ebrei.
dal blog di Deb

domenica 30 novembre 2008

Ebrei sempre nel mirino

Fra i 26 stranieri innocenti trucidati a Mumbai, otto, anche se i numeri sono ancora tutti da verificare, sono ebrei. Se fossero israeliani o meno non importava niente ai terroristi che avevano messo la casa dei Chabad «Nariman House» fra gli obiettivi. I macellai avevano due scopi generici: uccidere gli occidentali, specialmente americani e inglesi, i nemici imperialisti dell’islam; uccidere i cittadini dell’India, Paese traditore asservito all’imperialismo. E poi, un obiettivo specifico, uno solo: uccidere gli ebrei. Fra dieci obiettivi di massa come la stazione, due ospedali, svariati centri cittadini, i grandi hotel Oberoi e Taj ce n’era uno, invece, apparentemente insignificante, la casa ebraica dei Chabad, un centro guidato da un rabbino ventisettenne con una moglie di 26 anni e un bambino di 2. Una casa dei Chabad è un punto di raccolta per pecorelle smarrite, diremmo noi, un luogo in cui persone molto religiose, in questo caso appunto i Chabad, cercano di raccogliere ragazzi in viaggio, che spesso sono israeliani, che si perdono dentro il fascino troppo profumato dell’India; là si dorme, si mangia kosher, si canta insieme, si viene richiesti di stare tranquilli (niente musica rock, niente sesso) e di unirsi a qualche preghiera. A Pasqua e a Kippur, per le grandi feste, questo è un rifugio per ebrei di ogni età e provenienza.La scena della baby sitter che fugge con un bambino in braccio mentre i genitori ebrei vengono trucidati, è talmente iconografica, talmente classica che ognuno di noi ha in mente troppi film e libri in cui si compie un simile pogrom, in molte epoche diverse. Oggi, dopo il 1945, nonostante tanto scrivere e chiacchierare su questo, gli ebrei si sono abituati tuttavia di nuovo ad essere cacciati in tutto il mondo, ad essere presi di sorpresa: quando pregano (a Roma nel 1982, chi può dimenticare il bambino Stefano Tachè ucciso dai terroristi palestinesi); a Monaco, quando nel 1972 gli alteti israeliani furono sequestrati e poi trucidati uno a uno durante le Olimpiadi; a Entebbe, nel 1976, quando la selezione degli ebrei avvenne in base ai nomi sui passaporti; in decine di altri sequestri aerei; sulla nave Achille Lauro, 1985, quando un ebreo sulla sedia a rotelle, Leon Kinghoffer, fu gettato in mare dai terroristi palestinesi, selezionato fra tutti gli altri passeggeri; a Mombasa, nel 2002, in un albergo meta di turismo israeliano, quando tutti gli ospiti furono uccisi da una bomba nella hall; nelle città israeliane a tiro di katiusha e qassam di Hezbollah o di Hamas, dove sei un obiettivo anche se bambino, soltanto perché sei ebreo e ti insegue la citazione coranica: «Se l’ebreo si nasconderà dietro un cespuglio o una pietra - dice più o meno, senza che troviamo la voglia di andarlo a ricercare sulla carta fondativa di Hamas -, essi lo indicheranno al buon musulmano e gli diranno: “Uccidilo”». La minaccia insegue gli ebrei quasi ovunque viaggino, gli toglie la libertà di movimento, crea in Israele lunghe liste di Paesi non visitabili e carica il paese di una responsabilità inaffrontabile che riguarda ogni sinagoga e ogni scuola ebraica, rende impossibile far fronte a quella che è la più repellente minaccia globale poiché è la più efficacemente sperimentata dalla storia. Intendiamo dire con questo che finora vi è una responsabilità generica nella lotta al terrorismo, che invece va preso finalmente sul serio. E poi c’è la responsabilità specifica, quella del mondo attaccato dal terrorismo, di combattere coralmente in difesa del popolo ebraico condannato a morte dalla Jihad a ogni latitudine. Come nella Seconda guerra mondiale gli alleati salvando parte degli ebrei alla fine salvarono la democrazia, così oggi porsi il problema di come affrontare questo terribile e delicato capitolo può salvare la vita dell’intero Occidente. Il Giornale, 30 novembre 2008


Arturo Toscanini nel 1936, diresse il concerto inaugurale della Palestine Symphony Orchestra (ora Israel Philharmonic Orchestra) a Tel Aviv (vedi foto).
Toscanini divenne direttore del Teatro alla Scala di Milano, nel 1898, rimanendoci fino al 1908 e ritornandoci negli anni venti. Il 14 maggio 1931, al teatro Comunale di Bologna - dove doveva dirigere un concerto in memoria di Giuseppe Martucci - si rifiutò di eseguire Giovinezza e l'Inno reale al cospetto di Ciano e Arpinati e venne perciò aggredito e schiaffeggiato da una camicia nera nei pressi di un ingresso laterale del teatro. L'aggressione subita fu alla base della sua rinuncia al concerto e, in seguito, della decisione di emigrare negli Stati Uniti.
Alla Scala dirigerà per l'ultima volta nel 1946, al rientro in Italia dopo la fine della guerra, un memorabile concerto dedicato in gran parte all'opera italiana. Diresse anche al
Metropolitan Opera di New York (1908-1915) e Bayreuth(1930-1931; fu il primo direttore non tedesco) come pure con la New York Philharmonic (1926-1936) e al Festival di Salisburgo (1934-1937). ................http://it.wikipedia.org/


«Muro rosa»

GERUSALEMME — È piccolo, 38 centimetri per 46. E non è un capolavoro. Pur sempre un Matisse, però: quando glielo chiedevano, nemmeno il grande Henri sapeva più dove fosse finito. Il «Muro rosa» l'aveva dipinto in Corsica a fine Ottocento, pochi giorni di lavoro, esposto in un paio di gallerie parigine. Si ricordava d'un mercante d'arte bavarese, Justin Thannhauser, che l'aveva comprato nel 1914 e in treno l'aveva portato a Monaco. Tutto qui. Fra le due guerre, se n'erano perse le tracce. La tela era sparita nel nulla. Inghiottita nei gorghi della storia. Finita nella tragedia dell'Olocausto. Sballottata fra musei e magazzini. L'estate scorsa, «Il muro rosa» è stato esposto con altre opere a Gerusalemme, una mostra intitolata «Di chi sono questi quadri?». Giovedì, è arrivata la risposta: il governo francese ha restituito il Matisse a un'organizzazione benefica inglese e a Magen David Adom, la crocerossa israeliana. Restituendo a noi la straordinaria odissea di questo piccolo, grande quadro.La sua storia emoziona più dei suoi colori. E la pazienza d'una ricercatrice, Marina Blumberg, ne ha ricostruito le vicende. Passato di mano in mano, «Il muro rosa» era finito nell'eredità paterna d'un rampollo ebreo della telefonia tedesca, Henri Fuld Junior, fuggito a Londra (1937) dopo aver lasciato dov'era la collezione d'arte del padre.Messo all'asta cinque anni dopo da un antiquario berlinese, Hans Lange, il Matisse non fu mai battuto: Lange preferì regalarlo a un amico chimico, ufficiale delle Ss, Kurt Gerstein. Figura controversa, questo Gerstein, raccontata anche in un film di Costa- Gavras, Amen: quando scoprì d'aver brevettato un diserbante, il Zyklon-B, che veniva usato per le camere a gas, cercò di contattare il Vaticano per denunciare l'orrore, quindi si consegnò ai francesi, scrisse un dossier contro i gerarchi nazisti (utilizzato a Norimberga) e infine s'impiccò in cella, venendo riabilitato solo nel '65.E il Matisse? Dopo la guerra, Henri Fuld si mise a cercarlo.Inutilmente. Perché la tela, recuperata fra le cose di Gerstein, sul retro aveva un timbro dei doganieri francesi: era stato apposto nel 1914, quando il gallerista Thannhauser aveva portato l'opera in Germania, ma ciò bastò a far credere che fosse di proprietà della Francia. Finì nei magazzini, poi in esposizione al Museo d'arte moderna di Parigi. Nel '63, Fuld morì senza saperne nulla. I suoi averi passarono a una donna, Gisela Martin, pure lei ignara, che nel 1992 lasciò tutto a questa charity inglese legata alla crocerossa israeliana. Di qui, la lunga battaglia legale e la restituzione del maltolto: «Magen David Adom venderà il Matisse — commenta Stuart Glyn, il presidente — e i soldi saranno usati per fornire ospedali e acquistare ambulanze ». Chi esporrà il quadro, è da vedere: se lo contendono musei tedeschi e israeliani. Delle 60mila opere ritrovate dopo la guerra, molte rese a famiglie ebree, ce ne sono duemila in cerca d'un padrone: Vlaminck, Delacroix, Ernst, Courbet, Fragonard, Utrillo, Picasso, Léger, Monet, Cézanne... «Ora — dice Glyn — stiamo cercando di riavere in Russia, dall'Hermitage, due tele italiane del '500 e un Buddha del XII secolo». La caccia ai nazisti è quasi finita. Ai loro bottini, appena cominciata.

CORRIERE della SERA del 29/11/2008 che ripropone e ricostruisce una vicenda raccontata dal regista Costantin Costa-Gravas nel controversi film "Amen", da rivedere in questi giorni che hanno visto riemergere il caso delle responsabilità di Pio XII.