giovedì 5 giugno 2008


I carciofi alla romana di Caravaggio

Carciofi – acqua – succo di limone – prezzemolo – mentuccia – aglio – olio d’oliva – sale – pepe Preparazione Pulite dei carciofi togliendo le foglie esterne e lasciando un pezzetto di gambo, che priverete della parte dura; immergete quindi la verdura in acqua e succo di limone. Scolate i carciofi, apritene leggermente le foglie, farcitele con un trito di prezzemolo, mentuccia e aglio, salate e richiudete i carciofi. Sistemateli capovolti in un tegame dai bordi piuttosto alti, ricoprendoli d’acqua e abbondante olio, salate, incoperchiate e passate la pietanza in forno. I carciofi potranno essere serviti quando il liquido di cottura sarà completamente evaporato.


Cucina ebraica italiana

Parlando di cucina ebraica, bisogna distinguere fra le molte cucine delle diverse comunità israelitiche sparse per il mondo, e in particolare per l'Europa, il Mediterraneo e il Vicino Oriente. Ciascuna di esse, pur mantenendo fondamentali radici comuni, fra cui naturalmente quelle collegate all'osservanza dei precetti religiosi, ha assorbito caratteristiche specifiche delle regioni geografiche in cui si è trovata, talvolta trasportandole in altre regioni a seguito di esodi e migrazioni. L’evoluzione della cucina ebraica nel vecchio continente passa per l’allontanamento degli Ebrei dalla Palestina messo in atto dai romani nel 70 d.C. e la successiva distinzione degli Ebrei fuoriusciti in: ashkenaziti e sefarditi. Il nome dei primi deriva da “Ashkenaz” (Germania) e indica le comunità stabilitesi nell’Europa centrorientale. Quello dei secondi proviene da “Sepharad” (Spagna) e identifica gli ebrei della Penisola Iberica e della Francia meridionale. Questa distinzione si ritrova anche in cucina dove, ferme restano le norme religiose, gli ashkenaziti spiccano per sobrietà (brodo, pesci ripieni, aringa, patate, composte di frutta), mentre i sefarditi apprezzano piatti più sostanziosi e aromatici (stufato di carne e prugne, pesce in agrodolce, insalata di carote al cumino). La cucina ebraica ha sempre esercitato una forte attrattiva sui buongustai europei, sia per l’impiego di ingredienti poco consueti che per l’uso di spezie e particolari tecniche di preparazione. Quest’alimentazione è pervasa da sentori di cannella, zenzero e altri aromi, ma anche d’aglio, coriandolo, menta e zafferano.
L’esperienza italiana si presenta divisa dalla linea di spartizione costituita dalla dorsale appenninica. Da una parte, nelle comunità della valle del Po, dal Piemonte al Veneto e alle Romagne, oltre che nelle località delle Marche e del litorale adriatico, stà un'alimentazione e una gastronomia caratterizzate dai consumi dell'oca (allevata come succedaneo del proibito maiale), dei suoi insaccati e derivati (prosciutti, salami, foie gras, griboli, eccetera). Si tratta di una cucina unta con il grasso dell'oca, che nasceva dalla fusione di elementi propri della cucina araba con i piatti popolari della pianura padana, dove erbe e radici venivano consumate in grande quantità. Importante in questa area anche i sapori orientali in agrodolce come le celebri sarde in saor. A fianco della gastronomia padano adriatica, troviamo un'altra cucina ebraica, quella rappresentata dagli ebrei di Roma, caratterizzata dall'uso pressoché esclusivo dell'olio d'oliva per la cottura e il condimento. Questa cucina, che chiameremo romano tirrenica, condizionata da forti influssi meridionali, si introdusse in seguito, almeno in parte, nelle comunità di origine sefardita della Toscana, specialmente a Livorno. Documenti dei Cinquecento ci mostrano che gli ebrei romani abbondavano nella loro alimentazione di spezie (pepe, chiodi di garofano, coriandolo, cannella e zafferano), che consumavano spesso minestre di legumi, soprattutto lenticchie, e che apprezzavano le castagne e i marroni (lessi o arrosto). In particolare erano forti consumatori di finocchi e soprattutto di carciofi preparati alla giudia. Nell'età del ghetto (dopo seconda metà del ‘500) gli ebrei si trasformarono, più per necessità che per amore, in forti mangiatori di frattaglie e carne secca, preparate e cucinate in un'infinità di modi, dai sapori forti e seducenti. Se gli ebrei romani, a seguito delle ingerenze pontificie, s'inventarono gli aliciotti con l'indivia (tortino fatto di acciughe), o il baccalà servito con una salsa agrodolce, i livornesi tra Settecento e Ottocento crearono il cacciucco, anche se senza i vietati molluschi. Gli ebrei sono sempre stati famosi per i loro dolci tipici e ricercati. Nell’area nord era popolare la spongata, mentre al centro si preperiva il tortolicchio (miele e mandorle), dolce speciale della festa di Purim (carnevale degli ebrei) dalla origini medievali. http://www.taccuinistorici.it/

Medrota giudea


Tagliare del formaggio Cheddar (o parmigiano) a tocchetti, e friggerlo in un tegame con olio e spicchi d’aglio interi affinché non prenda un colore dorato. Aggiungere nella casseruola una melanzana pelata e fatta a dadini, salare, amalgamare gli ingredienti, e versarvi dell'acqua lasciando bollire il preparato a fuoco lento per un quarto d’ora. Consigliamo di servire la Medrota giudea come primo piatto. http://www.taccuinistorici.it/


La cucina israeliana ha le sue origini nella commistione delle diverse tradizioni gastronomiche delle comunità ebraiche che nel 1948 si riunirono per la fondazione dello stato. Le caratteristiche unificanti di questa cucina sono da attribuire al sistema delle regole religiose e al calendario delle feste (il sabato gli osservanti non accendono nemmeno il fuoco).
Per gli ebrei cibarsi è un atto sacro e il modo di preparare il cibo è regolato da un codice severo di leggi d’ordine igienico, psicologico, estetico, religioso. Secondo la precettistica ebraica un cibo può essere consumato dall’uomo solo se è permesso, cioè dichiarato “kasher”, ossia conforme alla legge dalla Torah, composta di cinque libri dove si raccoglie ben 613 precetti, molti dei quali riguardano il comportamento alimentare.
La normativa ebraica riferita all’alimentazione riguarda soprattutto i cibi d’origine animale che vengono suddivisi in leciti oppure vietati; frutta e ortaggi sono tutti quanti permessi. Molto rigorose le leggi che regolano la macellazione rituale, effettuata solo da uno “shochet” che ha seguito un cammino specifico ottenendo il permesso a macellare dal rabbino. Quest’atto consiste nella recisione istantanea della trachea e dell’esofago dell’animale, assieme alle vene giugulari, allo scopo di limitarne la sofferenza, ed eliminare quanto più sangue possibile, il cui consumo è vietato poiché simbolo di vita. Per accertare che ogni residuo di sangue sia eliminato si ricorre alla lavatura e salatura. Gli animali definiti leciti sono quelli che hanno lo zoccolo diviso e appartengono ai ruminanti. Vietati tutti gli animali carnivori, oltre a maiale, cinghiale, cavallo, asino, mulo, coniglio. Tra i volatili sono leciti quelli tipici da cortile come oca (da alcuni definita il maiale degli ebrei), pollo, tacchino, colombi, tortore. Vietata la selvaggina da piuma perché uccisa con mezzi contrari al rituale ebraico. Come animali acquatici sono leciti tutti quelli che hanno pinne e squame (pesce azzurro, tonno, sardine, aringhe, carpe, salmoni ecc.). Divieto viene fatto di consumare le anguille, tutti i crostacei (aragoste, gamberi, granchi), frutti di mare e molluschi.
Secondo la Torah è vietato anche mescolare carne e derivati con latte e suoi derivati. Questa proibizione pone una serie di problemi anche pratici in cucina e nell’organizzazione della dispensa. Pentole, padelle, piatti, vassoi, posate, usati per cucinare, tagliare o consumare la carne non possono essere adoperati per mangiare i latticini. Nelle mense ebraiche tutti gli utensili vanno dunque destinati all’uso di una o dell’altra categoria e riposti in contenitori e ambienti separati. Lo stesso discorso vale per la conservazione nei frigoriferi.
Sono definiti “parve” gli alimenti che non sono ne carne ne latte (vegetali o derivati della soia) che possono essere mangiati con tutto. Vengono inoltre proibite le bevande fermentate ad eccezione del vino, il quale a sua volta deve essere realizzato secondo un rigoroso sistema di produzione e certificazione.
Le varie comunità ebraiche applicano queste norme con diversi gradi di rigore, ma in sostanza la cucina elaborata nello stato d'Israele si basa su latte, yogurt e formaggio (zefat e labana), sugli spiedini di carne (kebab e shashlik), e sul pane preparato nelle molte varianti, dal pane azzimo (khubz), ai panini dolci destinati al “Shabbat” (brahes). http://www.taccuinistorici.it/

Gerusalemme

Auguri Israele!

Dopo sessant'anni c'è ancora chi, odiando la democrazia israeliana e la libertà fino alla morte, nega la stessa esistenza dello Stato di Israele e ne profetizza una fine inesorabile. Ma Israele, consapevole della propria identità e di una crescente solidarietà internazionale, si dimostra più forte dei suoi nemici. Per questo è importante dichiarare la propria amicizia verso lo Stato di Israele, terra del popolo ebraico ma anche patrimonio dell'intera umanità. Essere amici di Israele, tengo quindi a precisarlo, non significa da questo punto di vista essere contro i palestinesi o i Paesi arabi, ma al contrario credere in un futuro di tolleranza, di convivenza, di libertà e di pace per tutti, ed in particolare nel Mediterraneo, che deve diventare sempre più un mare di dialogo e di convivenza solidale. Difendere l'esistenza e la sicurezza di Israele ci porta a scommettere sulla possibilità della convivenza tra Occidente e Oriente, civiltà giudaico-cristiana e islamica, e a guardare ad un avvenire migliore per i popoli del Mediterraneo; un avvenire dove diritto, democrazia e benessere siano considerati i principali strumenti per promuovere la dignità della persona, i diritti dell'uomo, la solidarietà tra il genere umano, l'amore per la creazione di Dio. Davvero Auguri Israele! Con immenso rispetto e rinnovata amicizia.
Cordialmente, Matteo Prandi il mio Bloghttp://matteolibero.splinder.com/

mercoledì 4 giugno 2008


L'ARTE DELLA CUCINA ISRAELIANA

La cucina israeliana per come è conosciuta al giorno d'oggi trova le sue origini nel 1948 quando venne creato lo stato d'Israele. Quando il popolo d'Israele si riunì da ogni parte del mondo, molti portarono con sé le ricette tradizionali delle loro prime comunità ebraiche.Ci sono state diverse influenze sulla cucina ebraica nell'arco dei secoli. La religione era unica, come si può vedere nei molti piatti speciali preparati per feste particolari nel corso dell'anno. Diverso era l'impatto delle abitudini culinarie dei paesi dove le famiglie ebree si stabilirono. Un buon esempio di quanto detto è il pesce Gefilte che era originariamente un piatto dell'Europa orientale adottato e sviluppato dai cuochi ebrei nelle diverse forme nelle quali viene ora servito – dolce, in agro, guarnito con nocciole o come polpette di pesce.Il Goulash ungherese ha la sua versione ebrea e la pasta – così spesso associata alla cucina italiana - ha un'ampia varietà di stili kosher (ricette permesse dalla religione ebraica). Un'altra influenza ancora sull'alimentazione ebraica furono le tradizioni culinarie dei piatti ebrei originari conservati dalle casalinghe che hanno conservato attentamente le ricette preziose. In Israele si possono trovare tutte. La cucina israeliana racchiude tutte queste influenze e chiunque apprezzi la buona cucina può trovare grande piacere nell'assaporare i vari piatti. http://www.cookaround.com/

FRITTATA DI FORMAGGIO

INGREDIENTI: 6 uova, 4 cucchiai di latte, 1 cucchiaio di farina, formaggio
morbido a piacere, olio, sale.
TEMPO DI COTTURA: 10 min per cottura in padella, 10 min in forno.
PREPARAZIONE: Mescolare le uova con il sale, la farina e il latte. Preparare tre
frittate in padelle grandi e sottili. Disporle in una teglia mettendo tra l’una e l’altra il formaggio a fettine e
terminando con il formaggio grattugiato. Infornare finché non è fuso il formaggio. Servire caldissima.
Beteavòn!
da Sullam n. 10 bollettino Comunità ebraica di Napoli


RAOUL WALLENBERG (Giusto tra le nazioni)

Come Giorgio Perlasca , un'altra figura chiave, nel quadro dei tentativi di salvataggio in Ungheria, fu il giovane Svedese Raoul Wallenberg. Discendente di famosi banchieri, diplomatici e industriali, Wallenberg, che aveva 32 anni, era un uomo d'affari affascinante ed istruito, dirigente di una società di import-export. I suoi legami con il giudaismo erano deboli: il suo trisnonno era un ebreo tedesco che aveva cercato rifugio a Stoccolma dall'antisemitismo che lo perseguitava in patria. Il ruolo ufficiale di Wallenberg a Budapest era quello di addetto alla delegazione svedese; lo scopo principale del suo soggiorno però era quello di indurre il Consiglio dei Profughi di Guerra, una nuova agenzia governativa degli Stati Uniti, ad aiutare le vittime ebree.Wallenberg giunse a Budapest il 9 luglio 1944, giorno in cui la deportazione degli ebrei ungheresi ad Auschwitz fu sospesa. Si mosse con rapidità per espandere la rete che rilasciava salvacondotti agli ebrei; non molto dopo 10.000 documenti svedesi erano in circolazione. Come i documenti forniti dalle legazioni svizzere, spagnole e di altre nazioni, i salvacondotti di Wallenberg non avevano un effettivo valore, nè avevano precedenti nelle leggi internazionali. Wallenberg si dimostrò tuttavia così abile nel blandire e corrompere gli ufficiali ungheresi, che il governo li riconobbe formalmente e li rispettò.L'attività di Wallenberg e dei suoi collaboratori divenne febbrile nel corso dell'autunno. A metà ottobre i tedeschi macchinavano per rovesciare l'ammiraglio Horthy, dopo che questi aveva tentato di negoziare una pace separata con l'Unione Sovietica, il cui esercito era già giunto in Ungheria. Le SS si servirono degli estremisti fascisti ungheresi noti come Croci Frecciate ed indussero Adolf Eichmann a riprendere le deportazioni. Wallenberg, lavorando giorno e notte con un gruppo di quasi 400 ebrei ungheresi, organizzò un asilo per bambini ed una mensa. A novembre tenne dei negoziati per la creazione di un "ghetto internazionale" in cui migliaia di ebrei trovarono un'abitazione sotto la protezione di un gruppo neutrale; egli si precipitava nelle stazioni con passaporti svedesi pei salvare gli ebrei dai treni diretti ad Auschwitz; con grande disappunto della polizia tedesca ed ungherese si arrampicò addirittura sul tetto dei convogli per fornire di lasciapassare coloro che ne erano sprovvisti Quando Eichmann, di fronte allo scarseggiare di carrozze ferroviarie disponibili, cominciò a costringere decine di migliaia di ebrei a marciare a occidente verso il lavoro forzato in Austria, Wallenberg e il diplomatico svizzero Charles Ludtz si affiancarono alle colonne di deportati, allontanandone coraggiosamente centinaia provvisti di salvacondotto. A Budapest ora quasi 100.000 ebrei erano alloggiati al sicuro sotto l'egida delle nazioni neutrali. Come i quasi 25.000 altri ebrei che vivevano in città non erano immuni dagli attacchi imprevedibili e crudeli delle bande delle Croci Frecciate, ma erano almeno al sicuro da Auschwitz , dalla marcia verso la morte, fino alla liberazione di Budapest da parte russi nel gennaio del 1945.
Wallenberg, subì una fine misteriosa. Fu arrestato dai russi che lo sospettavano di spionaggio e scomparve. Più di un decennio dopo la fine della guerra, i russi dichiararono che era morto in una prigione sovietica nel 1947. Non si ha la certezza di questa testimonianza sulla sua morte
IL 1966 YAD VASHEM HA RICONOSCIUTO RAOUL WALLENBERG GIUSTO TRA LE NAZIONI .

martedì 3 giugno 2008

Dan Bahat

ARCHEOLOGO ISRAELIANO DEDICA LA VITA ALLO STUDIO DEI MACCABEI

I Maccabei sono celebrati per tutto il mondo giudeo per aver riconquistato Israele agli ebrei, ri-dedicando il Tempio ed accendendo le lampade con una scorta d’olio per un giorno che miracolosamente durò invece per otto.
Meno noto al mondo, secondo un eminente archeologo israeliano, è che i Maccabei furono anche maestri costruttori che trasformarono il volto di Gerusalemme e restaurarono la centralità del Tempio nella vita degli ebrei.
“Il problema è che Erode il Grande costruì in modo così diffuso, che molti dei resti dei Maccabei sono quasi scomparsi” spiega Dan Bahat, un lettore anziano dell’Università di Bar-Ilan, che sta trascorrendo l’anno accademico presso il St.Michael College dell’Università di Toronto.
I Maccabei, che fondarono la dinastia degli Asmoneani, ispirarono probabilmente la visione del tempio di Erode, sostiene Bahat, specializzato nella Gerusalemme del periodo del Secondo Tempio.
Negli anni recenti, l’ex capo archeologo di Gerusalemme ha supervisionato gli scavi del tunnel del Muro Occidentale, l’antico passaggio sotterraneo che si estendeva lungo il perimetro occidentale del Monte del Tempio.
Un ampio canale d’acqua, scoperto nel tunnel è stato accettato da molti archeologi come parte di un acquedotto costruito dai Maccabei, secondo Bahat la più notevole testimonianza del passaggio dei Maccabei nella Città Antica.
“Si tratta di un enorme fossato, scavato dalla superficie in ordine a rifornire d’acqua la fortezza chiamata Baris, che fu la sede della famiglia dei Maccabei prima che si spostassero ad un’area dell’attuale Quartiere Ebraico.”
Il Libro apocrifo dei Maccabei offre ampie evidenze che i leader leggendari della rivolta ebraica contro i Greci furono grandi costruttori. Come ulteriore evidenza, Bahat cita i raffinati mosaici e gli affreschi scoperti in vari palazzi Maccabei a Gerico. Ma le impronte architettoniche dei Maccabei furono quasi completamente cancellate a Gerusalemme, specie dal Monte del Tempio, dai massicci progetti di costruzione del Re Erode.
Malgrado il Libro dei Maccabei riporti che i suoi eroi intrapresero progetti per elevare le mura del Monte del Tempio e rimuovere una collina come misura protettiva contro i Greci, vi sono poche possibilità di scoprire perfino le più piccole tracce fisiche di questi sforzi, secondo Bahat.
Senza evidenze archeologiche. “è piuttosto difficile per noi decifrare esattamente quel che fecero” ha spiegato. “Ma non vi è dubbio che i Maccabei abbiano contribuito in misura significativa” alla nazionale “consapevolezza dell’importanza del Tempio. Dopo il periodo Maccabeo, non vi sono questioni che il Tempio divenne il centro della vita ebraica sotto tutti i profili.” E aggiunge: “I Maccabei fecero del Tempio il luogo più sacro di tutta Gerusalemme”.
Nel ricostruire il Tempio, Re Erode fu guidato dalle misurazioni contenute nel Libro dei Re, ma andò oltre i riferimenti testuali quando arrivò alle decorazioni e agli abbellimenti del Tempio.
“La mia domanda è: quando egli fece tutto questo, da dove trasse le sue competenze? Dove prese tutte queste nozioni? Dovevano provenire dai Maccabei” continua Bahat.
Nato nel 1938, Bahat è cresciuto nel Yishuv in un tempo in cui l’accesso degli ebrei alla Città Vecchia di Gerusalemme sembrava un sogno lontano. E’ stato il famoso modello del professore Michael Ave-Yonah dell’antica Gerusalemme all’Holy Land Hotel che ispirò il suo studio di tutte le scritture disponibili sulla Città Antica.
“Ho pensato ” ricorda Bahat. “Non avevo mai immaginato che sarei potuto andare davvero nella Città Vecchia di Gerusalemme, così pensavo che almeno teoricamente, avrei potuto conoscerla bene.”
Ha scelto di specializzarsi nel Periodo del Secondo Tempio perché è l’era che segnò “l’apice di Gerusalemme come città ebraica” ha dichiarato. “Ricorda il detto, o ancora il detto
Quando Bahat ottenne la sua laurea alla Università Ebrea nel 1964. Gerusalemme era ancora divisa e vi era scarsità di testi letterari in ebraico sulla Città Vecchia.
“La maggior parte dello studio su Gerusalemme è stato condotto da non-ebrei, principalmente da cristiani interessati alla città in cui Gesù trascorse parte della sua vita” ha ricordato.
Il restauro della sovranità ebraica sulla Città Vecchia nel 1967 determinò un boom senza precedenti di indagini archeologiche di parte ebraica.
“Il risultato di ciò è che oggi la nostra conoscenza di Gerusalemme è aumentata immensamente” ha dichiarato Bahat. “Non possiamo paragonare la nostra conoscenza di Gerusalemme nel 1967 a quella attuale.”
Probabilmente la massima autorità al mondo sulla topografia di Gerusalemme nel Medio Evo, Bahat è un fervente nazionalista e amante della storia che conosce molti passaggi delle scritture a memoria ma si dice non osservante della religione.
Bahat ha insegnato a gruppi cristiani attorno al mondo su Gerusalemme al tempo di Gesù ed una volta è stato invitato da Papa Giovanni Paolo II a fare lo steso in Vaticano. Sembra ugualmente preparato sulla Gerusalemme agli occhi dell’Islam, e ha tenuto la sua tesi di dottorato su Gerusalemme nel periodo delle Crociate.
Nel corso dei suoi 40 anni come archeologo, Bahat ha prodotto dozzine di libri ed articoli, inclusi il famoso “Atlante Illustrato di Gerusalemme” ed volume illustrato due anni or sono sul tunnel del Muro Occidentale che ha ottenuto grande successo di pubblico.
Malgrado la sua specialità sia Gerusalemme, Bahat ha anche lavorato ad alcuni dei principali scavi archeologici in Israele, inclusa l’antica sinagoga di Beit Shean e la sommità della fortezza di Masada. Proprio a Masada ha fatto una delle sue scoperte più rimarchevoli: un gruppo di cocci con nomi ebrei su essi, databile al momento della drammatica caduta della roccaforte ebraica sotto i romani nel 73 d.C.
Ma Bahat continua a concentrare la maggior parte della sua attenzione di studioso sulla città alla quale ha dedicato tanta parte della sua carriera.
“Tutta la mia vita si basa sullo studio di Gerusalemme” ha dichiarato. “E’ un lavoro di tutta la vita, non una cosa semplice. E’ una città sfaccettata. Il campo è così complesso e così complicato, ma anche tanto interessante. Così, sono una sorta di “Gerusalemme-dipendente”.
http://www.laportadeltempo.com/archeologia%20biblica/archbibl_161104.htm

Tommy Lapid

ISRAELE: MORTO TOMMY LAPID, FONDATORE DEL PARTITO SHINUI, RIFERIMENTO PER LA LAICITA', UN GRANDE RIFERIMENTO PER I RADICALI.

1° giugno Comunicato del Partito Radicale Nonviolento:

"Con la morte dell'amico Tommy Lapid, si e' spento oggi uno degli ultimi intellettuali e politici laici, liberali e democratici israeliani sopravvissuti alla Shoa. Con la sua storia personale Lapid impersonava quella recente del popolo ebraico che e' storia pienamente e drammaticamente europea e mediterranea, di ricerca e speranza sionista - e quindi laica. Una speranza che egli aveva voluto infondere alla politica israeliana con la creazione del partito Shinui che, sull'onda di un movimento di opinione democratica, voleva un futuro per Israele che non fosse ostaggio delle minacce di integralismi e ortodossie religiose esterni e interni, bensi' affermazione della laicita' dello stato fondata sulla supremazia del diritto. Mai come oggi restano necessarie e urgenti gli obiettivi di Tommy Lapid".
Nel novembre 2006 una delegazione del Partito Radicale, composta da Marco Cappato, Sergio Rovasio e Sharon Nizza, lo incontrò nella sua abitazione di Tel Aviv. Si era appena ritirato dalla vita politica ed espresse la sua felicità nel sapere che un partito come il Shinui si batteva per la laicità dello Stato insieme a un grande leader come Marco Pannella cui era molto affezionato. Si incontrarono l'ultima volta a Gerusalemme al King David Hotel durante una conferenza sul Medio Oriente nell'ottobre 2005.
Sui quotidiani israeliani di domani il Partito Radicale farà pubblicare un necrologio in sua memoria.

lunedì 2 giugno 2008


Forze unificate della difesa d’Israele (IDF Israel Defense Forces) ovvero l'esercito (Tzahal)

L'IDF è considerato una delle forze militari più forti nel Medio Oriente ed è quella che ha maggior esperienza pratica avendo difeso il proprio paese in più di cinque conflitti. Punti di forza dell'IDF sono l'alta qualità dell'addestramento e l'uso di armamenti tecnologicamente avanzati prodotti in Israele o importati dagli Stati Uniti. La maggior parte degli israeliani, maschi e femmine, sono chiamati alle armi all'età di 18 anni ad eccezione degli Arabo-israeliani per i quali il servizio militare è facoltativo. Sono esonerati i pacifisti dichiarati solo se giudicati tali da una speciale commissione non militare e le donne che si dichiarano religiosamente osservanti. I refusenik sono coloro i quali rifiutano di prestare servizio per motivi politici legati all'occupazione della West Bank. Vengono giudicati dalla Corte marziale e rischiano pene detentive fino a un massimo di tre anni. Israele non dispone nel suo ordinamento di una legge sull'obiezione di coscienza. Il servizio obbligatorio è di tre anni per gli uomini e di 20 mesi per le donne. I Circassi e Beduini si arruolano attivamente nell'IDF. Dal 1956, i Drusi vengono considerati come israeliani sotto coscrizione, su richiesta della comunità drusa. Gli uomini che studiano a tempo pieno nelle istituzioni religiose possono ottenere un rinvio della leva; la maggior parte degli ebrei Haredi estendono questi rinvii fino a raggiungere un'età in cui sono troppo vecchi per la coscrizione. A seguito del servizio obbligatorio, gli uomini israeliani diventano parte delle forze di riserva dell'IDF e solitamente sono tenuti a servire per parecchie settimane ogni anno da riservisti, fino ai loro 40 anni.

Galilea - Monte Tabor

Nella città dove fu concepito Gesù i malati ebrei aiutano quelli arabidi Stefano Lorenzetto

(è un articolo di qualche anno fa, ma credo abbia comunque un valore senza tempo nr)

Nazareth.È il miracolo della normalità. Medici ebrei che si fanno assistere da infermieri arabi, e medici arabi che si fanno assistere da infermieri ebrei. [...] A tenere in piedi un´istituzione così è Giuseppe Fraizzoli, di Verona, 37 anni, laurea in economia, master in business administration negli Stati Uniti. Uno che cominciò nel 1991 all´ospedale San Raffaele di Milano, occupandosi di controllo gestionale e marketing sanitario. Uno che nel ´97 fu chiamato a far parte della task force incaricata di ristrutturare la Olivetti. E poi nel ´98 l´assunzione in Ibm, negli Stati Uniti.Stava dunque nell´executive briefing center di Rochester, Minnesota, a occuparsi di internet e di finanza, il dottor Fraizzoli, quando ricevette una telefonata da un ex collega del San Raffaele: "Cercano un direttore disposto ad andare in prima linea, dove si spara, mi capisci? È per l´Holy Family Hospital dei Fatebenefratelli di Nazaret. Ti interessa?". [...]Era l´estate del 2001. Al quartiere generale Ibm di Rochester informò i suoi superiori. Comprò un biglietto di sola andata. L´11 settembre stava per imbarcarsi. Vide in tv le Torri Gemelle di New York che bruciavano. Aspettò qualche giorno, il tempo che riaprissero gli aeroporti. Gli fu ancora più chiaro che doveva andare.
Era mai stato prima a Nazaret?
"No, mai. Nonostante sia cattolico, la Terra Santa non mi attirava. Ora non so se riuscirei a staccarmene". [...]
Che cosa ricorda del suo primo giorno in questo ospedale?
"Mi accompagnava fra´ Giampietro, l´economo della provincia lombardo-veneta dei Fatebenefratelli dal quale l´ospedale dipende. Mi presentò le persone e la struttura. E scoprii che non avevo un ufficio". [...]
E dove si sistemò?
"Nella sala d´attesa accanto alle cucine. Per qualche mese ho lavorato lì, senza computer, né telefono, né fax, né segretaria. Circonfuso dall´aroma di hummus, la tipica salsa a base di ceci e sesamo". [...]
Quali attività svolgete?
"Tutte. Pronto soccorso, chirurgia, ostetricia, ginecologia, neonatologia, medicina interna, ortopedia, urologia, geriatria, cardiologia, oncologia. Abbiamo 109 letti e accogliamo più di 50mila pazienti l´anno. Ci manca solo la psichiatria".
Non ci sono pazzi in Galilea?
"Ci sono, ci sono".E che fanno i pazzi da queste parti?"Si fanno saltare in aria".
Chi paga per i ricoveri?
"Dipendiamo dalle casse mutue, che sono quattro. [...] Sono le prime clienti del mio ospedale e vogliono sborsare pochi quattrini. Hanno un peso contrattuale fortissimo. Dal governo israeliano non arriva alcun sussidio. [...]".
E se un paziente non ha i soldi per pagare?
"Accade spesso. Lo curiamo gratis, si capisce".Non è facile far tornare i conti, in queste condizioni."Infatti quando tornano è solo perché ci pensa la provvidenza. Spendiamo intorno ai 25 miliardi di vecchie lire l´anno e i ricavi arrivano a 20-22. Se non ci fossero i benefattori che ogni tanto mi contattano attraverso la buca della carità...".
Sarebbe?
"La buca delle lettere, la posta elettronica: g.fraizzoli@hospitalnazareth.org". [...]
Quanti medici ha?
"Cinquanta. Quasi tutti laureati in Italia".
Di che religione?
"Di tutte le religioni. Come gli infermieri. E come i pazienti, che per il 71 per cento sono musulmani e per il 17 per cento cristiani di diversi riti e confessioni: cattolici latini, melchiti, greco-ortodossi, siriani, armeni, caldei, maroniti, copti, protestanti. Poi un 10 per cento di ebrei. La rimanenza sono circassi, cioè musulmani di etnia non araba, e drusi, che professano una religione esoterica affine a quella islamica. Con la differenza che circassi e drusi prestano servizio di leva nell´esercito israeliano".
Da perdere la bussola.
"Ma no, basta regolare il traffico delle festività. Ho deciso così: Natale ed Epifania festa per tutti, anche perché la seconda ricorrenza coincide col Natale ortodosso. Poi ognuno sceglie il giorno di riposo in base al suo calendario religioso: i musulmani il venerdì, gli ebrei il sabato, i cristiani la domenica. L´unico costretto a lavorare sette giorni su sette è il qui presente, dal momento che la domenica equivale per gli ebrei al nostro lunedì e quindi segna la ripresa della settimana lavorativa. Ma ci si abitua in fretta".
La fa facile.
"Siamo la prova vivente che la convivenza è possibile. Nessuno geneticamente tende ad amare o a odiare. L´uomo teme solo ciò che non conosce. Se lavoriamo nello stesso turno, se stiamo vicini, se ci parliamo, alla fine ci capiamo. Non subito, magari. Le dieci suore di Maria Bambina mi hanno raccontato che una quindicina d´anni fa una di loro doveva essere presente in corsia 24 ore su 24 per impedire che gli infermieri arabi picchiassero quelli ebrei e viceversa. Finché un giorno arrivano al pronto soccorso alcuni palestinesi feriti negli scontri con la polizia israeliana e trovano di turno un medico ebreo. I parenti delle vittime, inferociti, vogliono pestarlo. E accade che in sua difesa intervengono le infermiere arabe".
Miracolo.
"E poi c´è Ester, ebrea immigrata dall´Argentina, che viene ricoverata d´urgenza e non sa a chi lasciare i due figli piccoli. Allora Fatme, il marito di un´infermiera musulmana, si prende cura di loro. E c´è la ricca ebrea americana che fa una donazione alla Società israeliana per la lotta al cancro e ci consente di aprire un centro di prevenzione del tumore alla mammella per le donne palestinesi. E c´è l´anziano paziente ebreo che dopo anni di afasia ritrova la parola in punto di morte per ringraziare la suora cattolica che lo ha accudito. E c´è la malata ebrea che allontana le infermiere dalla camera perché vuole assistere personalmente la compagna di stanza musulmana giunta agli ultimi giorni di vita. Per voi sono miracoli. Per noi sono la quotidianità". [...]
Chi governa a Nazaret?
"In consiglio comunale siedono otto musulmani e otto cristiani. Il sindaco è cristiano. Gli hanno bruciato l´auto ed è stato salvato dal linciaggio: s´era recato a far visita a una ragazza musulmana che aveva votato per lui".
Dov´è la grande moschea che doveva sorgere davanti alla basilica dell´Annunciazione?
"Non nascerà. Si farà un parcheggio, com´era previsto in origine".
Così il panorama che si gode dalla finestra del suo ufficio è salvo.
"Non è questo il punto".E qual è allora?"Che senso aveva erigere un tempio islamico proprio nel luogo dove l´angelo annunciò a Maria il concepimento di Gesù? Nessuno. Ce ne sono già venti, di moschee, a Nazaret. Quel progetto ha diviso la stessa comunità araba, è stato usato come arma politica. Non c´erano mai stati attriti prima d´allora. La moschea aveva l´unico scopo di oscurare la basilica, per dimostrare che qui sono loro, i musulmani, i padroni".
Pellegrini se ne vedono ancora a Nazaret?
"No. Da due anni non arriva più nessuno. Se capita una comitiva di fedeli, è una notizia da mettere sul giornale. Ogni tanto vado a Gerusalemme e sosto nel Santo Sepolcro quanto mi pare. Prima bisognava fare una coda di quattro ore e non ti lasciavano più di dieci secondi per sfiorare la pietra su cui fu deposto il corpo di Cristo. Il venerdì santo alla Via Crucis ho incontrato soltanto i domestici filippini che lavorano per le famiglie ebree o nelle ambasciate. Mi sembra una paura esagerata. In fin dei conti nel Medioevo i pellegrini facevano testamento, si raccomandavano l´anima a Dio e partivano. A piedi o a cavallo. Ma partivano. Non credo che corressero meno rischi di adesso".
È alto anche a Nazaret il livello di vigilanza?
"L´ospedale fa parte dell´Aran, la rete israeliana per le grandi emergenze. Quando scatta il codice Aran significa che devi essere pronto ad accogliere un grande numero di pazienti in brevissimo tempo. All´inizio dell´intifada abbiamo avuto quattro morti e 170 feriti in tre giorni per gli scontri fra arabi e polizia. Finita la rivolta di Jenin, palestinesi e israeliani sono venuti a consegnarci una targa per ricordare l´umanità con cui li abbiamo curati".
Che cosa pensa della convivenza fra cattolici e musulmani?
"Commettiamo l´errore di guardare agli islamici con la nostra mentalità. Per questo non riusciamo a capirli. Per esempio, paragoniamo le loro moschee alle nostre chiese. Non è così. La moschea, più che luogo di culto, è un centro di ritrovo sociale, è più politica che religione. Per entrare in dialogo con loro dobbiamo dire con chiarezza chi siamo, senza paura, senza nasconderci. Gli islamici non hanno rispetto per il nulla. E noi col nostro buonismo questo sembriamo, ai loro occhi: il nulla. Il fatto che gli occidentali non credano in niente è il vero scandalo per loro. Il mio ospedale è zeppo di crocifissi ma nessuno, né musulmano né ebreo, s´è mai sognato di chiederci di staccarli dalle pareti. Dobbiamo testimoniare chi siamo, non nasconderci. Chi ha un´identità è rispettato".
Lei ha adottato precauzioni particolari per la sicurezza?
"No. Però il pericolo permanente ti modifica nell´inconscio. Quando torno in Italia e vedo un assembramento di persone negli aeroporti o nelle stazioni ferroviarie, d´istinto giro al largo: senza volerlo, ho imparato a considerare un capannello di gente un possibile obiettivo terroristico".
Chi sta pagando il prezzo più alto?
"Tutti. La gente normale. Israeliani e palestinesi. Sono tutti stanchi di questa follia. In ospedale la responsabile dell´accettazione è ebrea. Il marito è stato richiamato come riservista per due settimane. Al ritorno dai Territori occupati la figlioletta di 4 anni gli ha chiesto: "Papà, chi hai ucciso?". Non erano preparati a una domanda come questa. Le pare una cosa da poco?".
I kamikaze si possono fermare?
"No, senza la collaborazione delle autorità palestinesi no".
Chi deve smettere per primo?
"Ci vuole un atto di coraggio da parte di entrambi. Il coraggio di non essere schiavi dell´estremismo. La stragrande maggioranza della gente chiede solo una vita normale, ma è ostaggio d´una minoranza di fanatici".
Riusciranno mai a mettersi d´accordo?
"Appena arrivato, dicevo: peggio di così non può andare. Adesso non lo dico più. Secondo me fra israeliani e palestinesi è in corso una trattativa all´orientale, sotterranea. Ma il mondo interferisce di continuo. C´è troppa attenzione sul Medio Oriente. Io capto via satellite i telegiornali che si vedono in Italia e sono francamente sconcertato dal diluvio quotidiano di notizie. Se il mondo smettesse per due anni di occuparsi della faccenda, sono sicuro che troverebbero un accordo in quattro e quattr´otto. Ma sotto la lente d´ingrandimento dei mass media ogni concessione rischia d´apparire eccessiva. E così si disfa di notte la tela tessuta di giorno". [...]
Un giorno tornerà a lavorare in Italia?
"Da economista attento ho investito sulla città delle tre persone che hanno contato di più nella storia dell´umanità: Gesù, Maria e Giuseppe. Mi sembra un investimento a lungo termine, lei che dice?". http://chiesa.espresso.repubblica.it/

deserto del Neghev - kibbutz Neot Semadar

Vivere da uomini liberi

Sono tornato dal più bel viaggio della mia vita . Sono arrivato a Roma da Israele a Gennaio del 2007 ed ero felice perché avrei potuto raccontare a tanti amici della mia esperienza. Avevo conosciuto un Paese fatto di intelligenze, di spiriti, di umanità varie e ricche di fermenti. Ero entusiasta del fatto che con la mia testimonianza, molti “nemici” d’Israele si sarebbero posti delle domande, avrebbero incominciato a porsi degli interrogativi. Quanto tortuosa potesse essere la mia “missione” non l’ immaginavo, nonostante i preavvisi di mia sorella Chicca (esperta in materia d’ intolleranza). Quando inizi a parlare d’ Israele avverti una sorta di imbarazzo da parte del tuo interlocutore, quasi che tu dichiarassi d’essere un “diverso” di qualunque natura. Noti che ti ascoltano preoccupati di non essere intercettati da altri, provano, taluni, ad interloquire con le solite menate del tipo “ma i bambini palestinesi…”, come se gli israeliani fossero quegli orchi descritti da tempo ( ma i mangiatori di bambini non erano i comunisti?Allora non sono solo loro!) e che ospedali, scuole, strutture in Israele fossero ad esclusivo beneficio dei figli di Sion. Spesso mi è capitato di intercettare l’ imbarazzo in chi ti ascolta, perché, in realtà, la gente non conosce, non sa , vive solo di “ ho sentito dire”, oppure di falsità macroscopiche che fanno parte di un bagaglio di pressappochismo ed intolleranza becera trasversale ma, spesso, appartenente alla sinistra più oltranzista. Purtroppo ho un caro amico che appartiene a quest’ ala politica e con lui abbiamo discusso vivacemente d’ Israele e di Palestina. Ho capito che è radicato in intellettuali ( quest’ amico è docente di storia e filosofia presso un liceo classico) il concetto di Israele come fonte del male del medio oriente e , costoro, fanno una fatica immane a pensare che, per comprendere, è necessario vedere e sapere la verità, qualunque essa sia , anche a costo di smentire le convinzioni di una vita e quelle certezze di sempre che hanno costruito il vero muro d’incomprensione e d’ odio verso gli ebrei e la loro terra. Comunque non mi arrendo! Continuerò a battermi e a lottare per la verità che conosco , perché la consapevolezza della ragione mi da’ un’energia talmente forte da non temere la battaglia! Shalom a tutti.
Luca Scarabello


Medioriente: il sogno di Mussa

E’ un giorno come tutti gli altri in una base militare israeliana. Siamo in pieno deserto del Negev, una delle zone piu’ aride e inospitali del pianeta, a due passi dalla linea di demarcazione che separa Israele dall’Egitto. Ultimi momenti di relax, prima che parta in perlustrazione una nuova pattuglia. Al comando c’e’ Mussa. Mussa e’ beduino, musulmano, la sua lingua e’ l’arabo, anche se parla perfettamente l’ebraico. Per quanto possa sembrare singolare, sono abbastanza numerosi i beduini che prestano servizio nell’esercito d’Israele. Quella militare, degli abitanti del Negev, e’ una tradizione antica che li ha visti, negli ultimi secoli, prima sotto le bandiere dell’Impero Ottomano, poi sotto quelle della Corona britannica, e infine, a partire dal 1948, con l’uniforme dell’esercito israeliano. Combattenti fieri, coraggiosi, leali, che una volta si spostavano solo con l’inseparabile dromedario e che oggi, invece, usano jeep, armi, attrezzature di uno degli eserciti piu’ moderni e sofisticati del mondo, per sorvegliare, palmo a palmo, la zona di confine con l’Egitto, fra montagne e sentieri di cui conoscono ogni singolo granello di sabbia. “Ogni volta che partiamo in pattugliamento –spiega Mussa- ci portiamo dietro acqua e viveri per star fuori a lungo. Puo’ capitare –spiega- di dover seguire le tracce anche per giorni”. Una fascia di terreno, per alcuni metri di larghezza, a ridosso della rete metallica, viene spianata periodicamente, e arata, in modo che risulti piu’ facile individuare le impronte di un intruso. Quando le individua, Mussa fa fermare la pattuglia, scende dalla jeep, si avvicina per studiare la direzione delle impronte, poi si prepara a seguirle. Giubbotto anti-proiettile, mitra spianato, radio accesa, e la jeep alle spalle che lo segue a passo d’uomo. Soltanto in questo momento, a piedi, e’ come se Mussa tornasse ad essere quel che sono sempre stati i beduini del Negev. Cacciatori instancabili, cercatori infallibili di tracce. Nel nostro caso, la caccia all’uomo dura poco. I suoi due commilitoni, a cui erano stati fatti indossare abiti beduini per inscenare l’operazione, vengono individuati rapidamente e immediatamente circondati e arrestati. “Questo lavoro l’ho imparato da mio padre, e mio padre da mio nonno che aveva servito prima con i turchi e poi con gli inglesi. A 12 anni, fui spedito da solo a seguire le tracce di quelli che ci avevano rubato alcuni cammelli. E li trovai –dice- dopo due giorni di marcia”. Faide, rivalita’ fra tribu’ di beduini, una volta nomadi, che ancora oggi vivono nell’immensa area desertica a cavallo fra Israele, Egitto, Giordania, Iraq, Arabia Saudita. Ma che a causa di frontiere sempre piu’ impenetrabili, –aggiunge- sono ormai clan, tribu’ quasi del tutto separate, senza piu’ alcun rapporto”. Quando gli chiediamo chi tenta di entrare di nascosto in Israele, e perche’, Mussa sorride imbarazzato, fa finta di non capire, si trincera dietro il segreto militare. E’ evidente che non se la sente di tirare in ballo i cugini beduini che vivono dell’altra parte della rete. Ma poi ammette che e’ all’ordine del giorno il traffico di droga, di clandestini africani, di prostitute provenienti dall’Europa dell’est, e qualche volta anche di armi e munizioni. - Quali rapporti avete con i soldati egiziani? “Praticamente nessuno”, risponde, mentre intanto quelli, dall’altra parte della rete, sono impegnati in un’accanitissima partita di calcio. Scene di vita quotidiana, al confine fra due Paesi, Israele ed Egitto, che quasi 30 anni fa hanno firmato un trattato di pace, una pace pero’ rimasta fredda, come la notte che sta per calare nel deserto del Negev. Il pattugliamento e’ terminato. Nessuna infiltrazione. Si ritorna alla base. Dopo 3 giorni ininterrotti di turno, Mussa torna a casa per 24 ore. Come ogni soldato d’Israele, non riconsegna l’arma. E’ tenuto a portarla sempre con se’, pronto ad essere richiamato in servizio in qualsiasi momento. Il viaggio dura un’ora circa. Il suo villaggio, se villaggio si puo’ chiamare, e’ a poca distanza da Dimona, la localita’del Negev in cui sorge l’unica centrale nucleare del Paese, e dove – in gran segreto e fra mille misure di sicurezza- gli scienziati hanno sviluppato la bomba atomica d’Israele. E’ in uno spoglio cubo di cemento, ovviamente abusivo, senza acqua corrente, che vive la famiglia di Mussa, moglie e sei figli, assieme allo zio, sheikh, ossia il capo-tribu’, e al vecchio padre, che non vede l’ora di raccontare per l’ennesima volta la storia di famiglia, una famiglia beduina, come tante in Israele, ormai sedentaria, non piu’ nomade, ma non ancora integrata, orgogliosa del proprio passato, ma anche consapevole di vivere comunque meglio dei propri cugini separati del Sinai egiziano. “Abbiamo i nostri cammelli, le nostre pecore, ma non possiamo coltivare granche’. L’acqua basta a stento per noi e per gli animali. Per irrigare la terra, dobbiamo sperare che piova. Eppure noi siamo leali cittadini, rispettiamo la legge. Malgrado cio’ – dice - lo Stato pretende di essere il proprietario della terra che invece ci appartiene da piu’ di 400 anni. Certo, abbiamo gli ospedali e quasi tutti i nostri bambini, maschi e femmine, ormai vanno a scuola”, interviene lo zio di Mussa. “Alcuni riescono anche ad andare all’Universita’, a diventare dottori, ingegneri, ma poi non tornano piu’ qui al villaggio, dimenticano le nostre tradizioni, le antiche consuetudini. Mussa no, Mussa e’ un uomo speciale, integro, onesto. Tutti noi gli vogliamo un gran bene, siamo orgogliosi di lui”. Segno che qualcosa si e’ rotto nei rapporti fra i 130mila beduini del Negev e lo Stato ebraico, il fatto che da alcuni anni sono sempre meno numerosi quelli che, come Mussa, prestano il proprio servizio nell’esercito israeliano. Tradizionalmente apolitici, alle elezioni sempre piu’ beduini votano per i partiti nazionalisti arabi-israeliani, che rivendicano le terre perdute e pari dignita’, pari opportunita’ con gli altri cittadini dello Stato d’Israele. Sepolta, forse per sempre, l’immagine letteraria, romantica, del beduino nomade, libero, che col suo cammello attraversa il deserto, oggi il sogno e’ quello della modernita’ associata al profondo rispetto delle proprie antiche tradizioni e consuetudini. E’ il sogno di Mussa, che per i propri figli spera in un futuro normale da medici, ingegneri, avvocati, in una bella casa nel Negev, ovviamente con acqua corrente ed energia elettrica. di Marc Innaro http://www.articolo21.info/
(Nelle città beduine, che sono ormai una realtà in Israele, c'è acqua corrente ed elettricità nr)

domenica 1 giugno 2008

















Studenti immigrati e veterani presso l’Università ebraica
No. 392 - 26.10.07

Il programma "B’bayit B’yachad": migliaia di famiglie israeliane al fianco dei nuovi immigrati
L’Agenzia Ebraica, Osem e YNet invitano le famiglie israeliane veterane ad unirsi al programma dell’Agenzia Ebraica “B’bayit B’yachad” (A casa insieme). Il programma cerca famiglie israeliane disposte ad accompagare i nuovi immigrati mentre questi intraprendono i loro primi passi in Israele, ad aiutarli a superare i problemi dell’integrazione, ad affrontare la burocrazia, a orientarsi nella sfera sociale e a trovare un impiego. Migliaia di famiglie israeliane veterane sono già parte del programma. Ora tocca a te seguire il loro esempio.
Ogni anno arrivano in Israele decine di migliaia di nuovi immigrati provenienti da tutto il mondo. Hanno deciso di costrire il loro futuro in Israele e per far questo si sono lasciati alle spalle appartamento, lavoro, paesaggi familiari, parenti e contatti sociali coltivati per anni. I problemi d’integrazione con cui i nuovi immigrati sono costretti a combattere nella fase di transizione non sono semplici e includono l’acquisizione di una nuova lingua, trovare lavoro, i problemi legati alla casa, lo stress finanziario e persino il dover affrontare le piccole questioni di ogni giorno come fare la spesa in un supermercato, aprire un conto in banca, pagare il conto del telefono, prendere appuntamento per un controllo medico, ecc.
Il processo d’integrazione comporta isolamento sociale e alienazione ambientale. Per esempio, i soldati che sono immigrati in Israele da soli di solito preferiscono trascorrere i fine settimana all’interno della base militare, poiché non hanno una famiglia che li possa ospitare. Il trauma della fase di transizione può spesso durare per anni.
Decine di migliaia di nuovi immigrati in Israele vivono situazioni simili, ma la maggior parte degli israeliani li incontra solo al supermercato o alla stazione di servizio e quasi mai ha occasione di condurre con loro una tranquilla conversazione nel salotto di casa. Per cambiare tutto ciò l’Agenzia Ebraica ha attivato il programma “B’bayit B’yachad”.
Contatto iniziale
L’idea che sta dietro al programma è semplice: “abbinare” famiglie israeliane di vecchia data a nuovi immigrati per costrire una relazione duratura, cosicché la famiglia israeliana possa accompagnare e guidare la famiglia immigrata o l’immigrato singolo nei loro primi passi in Israele.
I membri della famiglia li aiutano ad affrontare i problemi burocratici e a trovare casa e lavoro attraverso la rete di connessioni sociali di cui noi tutti disponiamo. Il contatto diretto che il programma “B’bayit B’yachad” stabilisce tra famiglie veterane e famiglie immigrate permette a queste ultime di espandere la propria rete sociale e di integrarsi senza intoppi nella società israeliana.
Coloro che si occupano di localizzare e arruolare i partecipanti al programma “B’bayit B’yachad” sono i coordinatori regionali che operano in tutto il Paese. Di solito l’abbinamento tra due famiglie viene fatto dopo numerosi incontri tra gruppi di israeliani di vecchia data e gruppi di nuovi immigrati, durante i quali le famiglie hanno l’opportunità di scegliersi a vicenda. Dopo che le famiglie si sono conosciute, vengono accompagnate e guidate da membri del programma e invitate a partecipare insieme ad attività di gruppo, come serate canore, gite, ecc.
Il contatto personale tra i veterani e i nuovi immigrati viene stabilito abbinando aree d’interesse. Vicinanza fisica, professione, hobby, età dei figli e lingua sono solo alcuni dei punti di contatto iniziale tra le persone. Gli israeliani veterani interessati ad aiutare i nuovi immigrati in aree più specifiche, senza coinvolgere la famiglia, possono iscriversi al programma “B’bayit B’yachad” come “volontari di missione”. Questi volontari possono aiutare gli immigrati a scrivere i loro curricula vitae, a trovare un lavoro adeguato, a imparare l’ebraico, ecc.
Programma social-nazionale
Il “B’bayit B’yachad” non è solo un programma che mette in relazione le persone, offrendo a tutti l’opportunità di dare una mano a coloro che hanno difficoltà ad integrarsi. È anche un programma social-nazionale che mira a facilitare l’integrazione degli immigrati, colmando i divari tra le popolazioni e incrementando l’immigrazione attraverso i contatti tra i nuovi immigrati e i loro parenti nella Diaspora che potrebbero, a loro volta, prendere in considerazione l’idea di immigrare in Israele. Il programma offre alle famiglie israeliane di vecchia data l’opportunità di dare un contributo alla società, di esporsi a nuove culture e di espandere i propri legami famigliari e sociali.
Il programma “B’bayit B’yachad” viene supervisionato da un consiglio pubblico presieduto da Ofra Strauss. Fino ad oggi circa 15.000 famiglie israeliane veterane, famiglie di nuova immigrazione e soldati “solitari” si sono iscritti al programma. Altri 1.700 volontari aiutano personalmente i nuovi immigrati durante il loro periodo d’integrazione.
Campagna pubblica per arruolare famiglie volontarie
Al fine di espandere il programma l’Agenzia Ebraica e Osem hanno lanciato una costosa campagna pubblica nella quale le famiglie israeliane sono invitate a unirsi al programma “B’bayit B’yachad” e ad accompagnare i nuovi immigrati nelle fasi iniziali del loro inserimento in Israele.
Per
incentivare le adesioni, Osem dona un pacco regalo a tutte le famiglie israeliane che si offrono di accompagnare una famiglia di immigrati nel programma.


Missione della giovane leadership greca

26 giovani greci sono arrivati in Israele il 30 aprile per una missione di sei giorni. Il loro programma era straordinario, commovente e divertente allo stesso tempo.
La delegazione ha visitato lo Yad Vashem, I tunnel del Kotel, il museo dell’aeronautica militare e Sdeh Boker.
Hanno visitato il confine settentrionale, hanno conosciuto gli studenti del villaggio studentesco “Ayalim” nel Negev, hanno incontrato nuovi immigrati etiopi nel centro di accoglienza di Hanita e hanno trascorso un po’ di tempo con i ragazzi del villaggio giovanile Ben Yakir – tutti progetti sponsorizzati dal Keren Hayesod.
I momenti di svago li hanno visti impegnati in sport estremi a "Danny Hi" e in una biciclettata nella valle di Hula.
I partecipanti a questa missione hanno concluso il loro indimenticabile viaggio dicendo di aver avuto allo stesso tempo l’occasione di vedere aspetti diversi del Paese e di essersi divertiti moltissimo.


Missione dalla Finlandia

Un gruppo di amici cristiani finlandesi del Keren Hayesod e dello Stato d’Israele, membri dell’organizzazione Patmos, hanno visitato Israele in maggio. Circa 30 amici d’Israele sono venuti ad esprimere la loro solidarietà con Israele durante Yom Ha'atzmaut. Una visita a Sderot era inclusa nel loro itinerario, così come la partecipazione ai due eventi principali organizzati dal Keren Hayesod in occasione di Yom Ha'atzmaut: il ballo all’Avenue Hall e il picnic a Neot Kdumim. Il gruppo Patmos era felice di celebrare Yom Ha'atzmaut con le missioni del Keren Hayesod e ha promesso di tornare presto a trovarci.



















Picnic del giorno dell’Indipendenza per i membri della Missione Neot Kedumim

8 maggio 2008

Circa 800 membri della Missione del KH hanno partecipato a un simpatico picnic del Giorno dell’Indipendenza nell’atmosfera informale del parco naturale di Neot Kedumim, dove li aspettava una piacevole sorpresa.
L’intero parco era stato trasformato in un variopinto mercato con moltissime bancarelle che servivano specialità israeliane e presentavano il lavoro di artisti e artigiani locali, tra cui molti nuovi immigrati. A completare il tutto sono stati chiamati gruppi folkloristici e musicali che si sono cimentati in spettacoli gioiosi e commoventi.
Gli ospiti sono stati invitati a fare il giro del parco con un treno speciale e con una guida che ha mostrato e spiegato le caratteristiche uniche del parco. Tutti hanno avuto modo di apprezzare la vista spettacolare e il tempo magnifico.
Il picnic ha dato ai membri della Missione l’opportunità di vivere il giorno dell’Indipendenza in autentico stile israeliano, trascorrendo la giornata all’aperto e assaporando i sapori e gli aromi tipicamente israeliani.


Cerimonia della posa della prima pietra di un importante progetto per bambine con bisogni speciali

11 maggio 2008

Domenica 11 maggio 2008 decine di membri di una delle più grandi campagne sud-americane del KH, che si trovavano in Israele per celebrare il 60° compleanno dello Stato con una missione del Keren Hayesod, si sono riuniti a “Gan Assif”, presso l’ospedale Assaf Harofe vicino a Ramle. La ragione di questa riunione era la posa della prima pietra di una scuola per bambine con bisogni speciali. Alla cerimonia hanno partecipato il prestigioso Rishon Lezion, il rabbino capo d’Israele Shlomo Amar, il presidente mondiale del Keren Hayesod ambasciatore Avi Pazner e il membro del consiglio esecutivo del KH Danny Liwerant.
Le bambine hanno accolto gli ospiti con una canzone e due di loro hanno letto un messaggio di ringraziamento. Tutti coloro che hanno preso la parola hanno sottolineato l’importanza di aiutare questi bambini e il bisogno di fare tutto il possibile per dare loro pari opportunità di successo nella vita. Hanno anche fatto moltissimi complimenti al personale della scuola che, insieme al direttore, lotta per ogni bambina e riesce ad ottenere risultati straordinari. Molte bambine riescono ad inserirsi con successo nel sistema scolastico regolare, completano gli studi e fanno il servizio militare. La cerimonia si è conclusa con la firma del rotolo fondatore della nuova scuola, che poi – come da tradizione – è stato sepolto nel terreno su cui questo importante e meritevole progetto verrà costruito.